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Il mese scorso è stato presentato un nuovo libro pubblicato dall'Editore MdS, "Il coraggio tra i fiori di ortica", un'opera intensa e profonda cheracconta l'infanzia non solo nella sua dimensione più luminosa, ma anche nelle sue ombre, fatta di giochi e risate, ma anche nelle sue ombre, tra segreti, paure, abusi e battaglie quotidiane che i più piccoli affrontano con straordinaria forza.

Un libro che ci ha subito colpito e per il quale si preannunciava un sicuro interessamento e successo a livello nazionale.

Pas - Marina di Vecchiano
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Cooperativa Teatro del Popolo- Miglarino
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Massimiliano Angori, Presidente
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X non dimenticare £1936, 27=1€
Grazie a Prodi .....
•Governo Renzi
Presidente Mattarella
•Governo .....
Ricordate il tubo di refrigerazione della nuova pista .....
. . . come minimo si risponde due volte altrimenti .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Raccontino di Giancarlo Montin
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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di Angela Baldoni
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Magnifico salvifico silenzio
È il primo maggio, uno splendore
Grazie all'esodo di tutte le persone
che lontane da casa
vivon la percezione
di fruire .....
ad oggi la situazione è peggiorata
ora anche tir, pulman turistici , trattori, camion con cassoni per massi,
etc. . E ad alta velocita,
inquinamento .....
Eroi Dimenticati
Pietro Rigosi (La locomotiva)

17/8/2018 - 8:55

“Non so che viso avesse, neppure come si chiamava,con che voce parlasse, con quale voce poi cantava,quanti anni avesse visto allora, di che colore i suoi capelli,ma nella fantasia ho l’immagine sua:gli eroi son tutti giovani e belli”


E invece il protagonista della canzone di Guccini un nome e un cognome preciso ce l’ha: Pietro Rigosi. Sarà lo stesso cantautore a parlarne diverso tempo dopo l’uscita di una delle canzoni di maggior successo della sua storia musicale.


I fatti sono riportati dettagliatamente anche in un articolo del Resto del Carlino il 21 luglio 1893. Il giorno prima alle 16 e 45 il telegrafo della stazione di Bologna aveva trascritto un messaggio proveniente da quella di Poggio Renatico. Il contenuto era chiaro: la locomotiva del treno merci 1343 era stata sganciata dai vagoni e si dirigeva ad una velocità di 50 km orari, parecchio per l’epoca, verso il capoluogo senza alcun permesso. Si sollecitava i colleghi di Bologna e di tutte le stazioni che la precedevano a far transitare il treno su binari sgombri affinché l’azione non provocasse un disastro.


A guidare quella “locomotiva impazzita” il ferroviere Pietro Rigosi, classe 1860, sposato e padre di due bambini. Aveva approfittato di una distrazione del macchinista del treno merci per prenderne possesso e poi, facendo fischiare la motrice come un forsennato, lanciarsi al galoppo verso il suicidio. Si perché l’intento di Rigosi era chiaro: uccidersi. E lo dimostrò quando entrando alle 17 e 10 alla stazione di Bologna e vedendo che era stato deviato su un binario tronco, usci dalla cabina e si piazzò sul fanale di fronte della locomotiva. 
 
Impattò violentemente con i carri merci che si trovavano sulla linea morta. Unico coinvolto nell’incidente, Rigosi ne uscì vivo ma ferito gravemente; perse una gamba e fu segnato da profonde cicatrici al volto. Secondo alcune ricostruzioni il suo obiettivo era un treno di prima classe che in quell’orario stazionava quotidianamente a Bologna.


Tanto la stampa dell’epoca quanto la direzione delle Ferrovie bollò il suo gesto come quello di un matto. Uno squilibrato da pensionare e graziare misericordiosamente. L’azione di Rigosi fu invece, probabilmente, l’eclatante gesto di un ferroviere che più volte aveva dimostrato di mal digerire le durissime condizioni di lavoro e le dure punizioni aziendali riservate a chi non rispettava la ferrea disciplina.


Erano anni in cui i macchinisti spalavano quintali di carbone per percorrere pochi kilometri, facevano turni massacranti che li portavano a guidare spesso per più di 24 ore consecutive e avevano una speranza di vita assai breve. Evidentemente quello di Rigosi era un atto estremo che voleva porre l’accento sul mondo dei ferrovieri, e più in generale dei lavoratori, che in quell’Italia di fine ottocento lottavano non si vedevano riconosciuti i diritti più elementari.
Grazie a Cannibali e Re

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22/8/2018 - 21:20

AUTORE:
giò

oggi in casi del genere, che pur continuano ad accadere, si preferisce quando possibile, deviare subito il treno in corsa non autorizzata, su un binario di scalo, comunemente detto morto.

Ma anche allora, non si scherzava, anzi i ferrovieri erano militarizzati, il capo stazione aveva in custodia in ufficio un fucile modello 91, piombato da utilizzare con giustificazione annessa....

mi sorprende, l'ipotesi del suicidio, perché il ribelle, essendo ferroviere avrebbe saputo certamente che la ferrovia non è una strada normale, ed i movimenti sui binari devono essere autorizzati, dopo la disposizione coerente degli enti come scambi, staffe, passaggi a livello, via libera da altri convogli e altre precauzioni, non dipende certo dal macchinista, che percorre un itinerario disposto suo malgrado.... il treno non ha il volante, solo il freno....