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In questo nuovo articolo di Franco Gabbani le vicende storiche, incentrate tra la fine del '700 e l'inizio dell'800, travalicano i confini della Valdiserchio, come già accaduto in diverse occasioni, e d'Italia, espandendosi in Europa.E' la storia di un giovane costretto a seguire la carriera militare per problemi e ripicche amorose, con l'inevitabile nefasta conclusione, raccontata utilizzando le stesse parole dell'ussero, che ci danno uno spaccato di un'esistenza iniziata negli agi della famiglia gentilizia e terminata sui campi di battaglia 

Comune di Vecchiano
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Massimiliano Angori sindaco
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La ricerca è attiva in tutta Italia
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Migliarino Nodica Pisa e Vecchiano.
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. . . dalla parte della Palestina ? Perché il governo .....
Com’è noto il generoso 110% e i suoi fratelli, .....
Bravo Bruno da o di ovunque tu sia, sono con te. .....
. . . prima che siano passati almeno 30/ 40 anni chiederà .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Vivrò con la faccia che tu amavi
Coi miei giochi sempre nuovi
Col difetto di sognare
Lo so che ho imparato a dirti amore
Quando ormai ci era di andare
Dove .....
Se i limiti di velocità servono a tutelare la sicurezza, non capisco perchè le auto della Polizia Municipale si debbano nascondere per poi rilevare .....
Racconto breve di: Giuseppe Pierozzi
Il prete in Calabria

28/11/2019 - 17:19

Il prete in Calabria
 
Quella sera don Gianni, il giovane parroco del paese di  *** centro agricolo dell’interno della Calabria era stato chiamato a somministrare l’estrema unzione a un vecchio morente che abitava in una casa tra i vicoli della parte vecchia del paese che si inerpicavano fino alla cima dove sorgeva la chiesa.

Don Gianni era un giovane coraggioso che si era sempre battuto per affermare nelle azioni e nelle coscienze della gente, la parola di Cristo. Ma nel quartiere della città di XXX dove gli era stata assegnata la cura di una delle chiese, le sue prediche che parlavano di carità e di giustizia, avevano suscitato il malcontento della maggior parte dei fedeli che appartenevano a classi borghesi agiate, proprietari terrieri, commercianti e professionisti per cui questo malcontento era giunto alle orecchie del vescovo e gli erano state portate da diversi personaggi importanti della diocesi. Anche il sindaco gli aveva rappresentato i propri timori che le prediche del giovane prete potessero turbare la pace sociale specie in quei tempi dove si verificavano nelle città  scioperi e manifestazioni “sovversive”.

Il vescovo aveva più volte avuto degli incontri con don Gianni in cui gli aveva raccomandato moderazione e di non insistere su dei temi che non erano di sua competenza ma che si occupasse della salute delle anime dei suoi fedeli. Ma don Gianni non poteva reprimere la sua indignazione di fronte ai soprusi e alle ingiustizie che vedeva nella società per cui era stato deciso dalla curia vescovile di trasferirlo nella parrocchia di un paese dell’interno. In questo paese dominava una potente famiglia di mafiosi che taglieggiava gli abitanti  imponendo pizzi, controllando ogni attività, corrompendo, truccando gli appalti, inquinando con i rifiuti tossici il territorio e soprattutto investendo i profitti nel traffico di droga che distribuiva e diffondeva trai giovani.

Anche in questo paese  don Gianni non esitò a denunciare questi delitti ad alta voce e i cittadini lo ascoltavano a capo chino senza osare di fare commenti e  se ne andavano tacendo. Cominciarono a giungere minacce al giovane prete, per telefono, con delle lettere anonime. Poi gli fecero trovare un gatto morto sulla soglia della canonica. Ma il massimo della tensione nel paese fu raggiunto quando il coraggioso parroco indicò inequivocabilmente chi era la persona cui facevano capo tutte le scelleratezze che rovinavano la vita del paese e della gioventù. Intorno a lui si fece il vuoto.
Quella sera che don Gianni ritornava a casa dopo aver impartito l’estrema unzione al vecchio morente, era una notte buia senza luna, fredda e ventosa e in giro non c’era anima viva. Il prete percorreva ora una viuzza in salita che, a destra aveva un muretto che la proteggeva da uno strapiombo di almeno 15 metri. Quando giunse a metà della salita sentì i passi di due persone che venivano verso di lui: uno dall’alto e uno dal basso.

Essi si avvicinavano e lui riuscì a scorgere  nel buio che erano due giovani che una volta frequentavano l’oratorio ma che da qualche tempo erano stati assoldati nel clan mafioso che dominava il paese e non ebbe dubbi su quello che stava per succedere. Il capo li aveva mandati per ucciderlo e questa sarebbe stata la prova per mezzo della quale i giovani sarebbero stati ammessi nella società mafiosa.
Quando i due gli furono vicini e avevano estratto le pistole, don Gianni gridò loro protendendo le braccia: “Fermi! non lo fate! Siete dannati! Penso io!”.

E scavalcò il muretto gettandosi  nel vuoto.






Fonte: Giuseppe Pierozzi
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