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L'articolo di oggi non poteva non far riferimento alla festa del SS. Crocifisso che Pontasserchio si appresta a celebrare, il 28 aprile.Da quella ricorrenza è nata la Fiera del 28, che poi da diversi anni si è trasformata in Agrifiera, pronta ad essere inaugurata il 19 aprile per aprire i battenti sabato 20.La vicenda che viene narrata, con il riferimento al miracolo del SS. Crocifisso, riguarda la diatriba sorta tra parroci per il possesso di una campana alla fine del '700, originata dalla "dismissione" delle due vecchie chiese di Vecchializia. 

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per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Colori u n altra rosa
Una altra primavera
Per ringraziarti amore
Compagna di una vita
Un fiore dal Cielo

Aspetto ogni sera
I l tuo ritorno a casa
Per .....
Oggi è venuto a mancare all’affetto di tutti coloro che lo conoscevano Renato Moncini, disegnatore della Nasa , pittore e artista per passione. .....
STORIE SENZA TEMPO
Fiaba d’inverno - Atto 1°
Gabriele Santoni alias Carmine Granito

27/12/2020 - 18:30

Questa fiaba è dedicata a Molina mon amour.
Grazie al mio amico del cuore Edi-Ovidio e poi Giulio Paolicchi, Ico Gattai, Marco Azzurrini, Francesco Bondielli, Carlo Boccacci, Elpidio Tombari, Luca Fruzzetti, Faber Bart, gli amici di Eurofisa, Giancarlo Pardini della Voce del Serchio, e tutti i personaggi incontrati.
Un abbraccio a Valter Cecchetti che ha fatto il disegno di copertina.
Buon futuro a tutti e auguri.
Gabriele Santoni - Carmine Granito
 
Un organo ghiacciato che perde la nota bisdrucciola, un jazzista preoccupato e un nobile francese “di mondo e gaudente”. E un bar ombellico del mondo, una barista di temperamento e un prete come ci vuole. Un gemellaggio Parigi-Molina di Quosa che può saltare.
 
Atto 1° - L’accadimento
 
Un 24 dicembre, la vigilia di Natale, un preoccupatissimo Miles Davis entrò di mattinata nel bar alla Botteghina di Molina di Quosa e incontrando don Gigetto, il parroco, che stava gustando un cappuccino, disse d’un fiato - L'organo è ghiacciato e anche se la temperatura salirà di qualche grado non ce la farà a “respirare”. - “respirare”, disse proprio così, come se l’organo fosse un “cristiano”. Il jazzista “nero” era da più di un anno il maestro della banda del paese. Era stato nominato dal Comune e finalmente la prestigiosa banda jazz di Molina, aveva un maestro come si deve. Almeno così dicevano i musicanti di lungo corso che ci capivano, come Fusto di Pipalino, Potsy il trombettista, Torello e lo Strenta. Meno contenti erano stati i rappresentanti del “Casino dei Barbari” che teorizzavano il concetto/slogan “prima i molinesi”, sostenendo che il maestro della banda doveva essere del luogo, foss’anche uno “zuccone”. Ma non avendo in Consiglio Comunale un numero di eletti tale da imporre decisioni, com’era successo invece da altre parti, le loro paturnie razziste finivano regolarmente nell’oblio. Si limitavano a sfogare l’ira all’interno della loro sede, sulla piazza, osservando dalle finestre - I razzisti dietro i vetri - li aveva definiti la barista, militante politica e donna di temperamento.
- Cazzo! - disse don Gigetto, portando subito la mano alla bocca - E ora?
Theo, il marchese Theodorico de Saint Just, seduto ad un tavolino d’angolo, alzò gli occhi da Le Monde, che l’edicola sulla piazza faceva arrivare regolarmente e disse al volo - Facciamo qualcosa!
- Bravo! - disse il prete con la faccia stranita - Ma cosa? Miracoli non ce n’è!
- O Teooo, ci volevi te dalla Francia per fa’ quella pensata lì! - disse “il solito” in un angolo, che leggeva la Gazzetta - Lo sanno tutti che se un organo “diaccia” è come una sincope e prima di rifa’ la nota bòna ci vuole la Gru. È già risuccesso qualche anno addietro, nel dopoguerra.
Il marchese Theo era a Molina di Quosa da tre mesi, arrivato i primi di settembre, era ormai conosciuto da tutti. Colto, garbato, nobile di nascita e ricco, anche se era nato nella bambagia e si capiva, sapeva stare nei bar come se ci fosse cresciuto. Architetto affermato ed esperto di vini, noto per la sua passione verso la bellezza allo stato puro, aveva girato il mondo per conto del governo francese, frequentato donne affascinanti, visto mille luoghi e mille popoli. Quel suo viaggio in Italia era dovuto all’incarico, conferitogli dalla città di Parigi, di preparare il gemellaggio con Molina di Quosa: dopo che lui aveva convinto gli amministratori della “Ville Lumière” che quel paesino della Valdiserchio era il luogo più giusto e prestigioso per dare vita a una vera amicizia internazionale.
Era arrivato in autobus, come si conviene a un nobile eccentrico, seguito da un segretario tuttofare cinese esperto di arti marziali, subito ribattezzato dai perdigiorno “seduti sotto i platani”, Itterizia per la carnagione giallognola. Il marchese portava al seguito un baule e una borsa di pelle piena di carte. Vestiva una cacciatora di velluto marrone e un basco nero. Dormiva vicino al ristorante “I Quattro Venti”, ospite di un vecchio generale conosciuto come Aureliano il Sudamericano, un rivoluzionario affascinante dalla lunga barba bianca che decorava pesciolini d’oro, chiamati “passaporti per la felicità”, che spediva agli amici di mezzo mondo. Aureliano e Theo si conoscevano da tanto tempo e quando furono invitati alla commemorazione del Presidente Sandrino, il partigiano, che si tenne sui monti di Molina, il generale si invaghì talmente di quei luoghi che ci si trasferì.
Il marchese aveva scelto di trascorrere il “periodo molinese” da Aureliano, non solo per passare del tempo col vecchio amico di mille battaglie sacrosante, ma anche perché - sosteneva - che da lassù si sentisse “battere il cuore del paese” e se cercavi il mare, dalla corte di Freghino, nelle giornate di cielo terso, sembrava di toccarlo.
Era ospite - come amico - dell'associazione “Molina Mon Amour”.
- Proviamo a scaldarlo, quell’organo - insistette Theo.
Miles Davis lo fulminò con quel suo sguardo obliquo conosciuto in tutto il mondo - Questo organo non si può scaldare, perché perderebbe la sua forza, - disse il Nero con un velo di tristezza e delusione - solo il sole può riportarlo alla temperatura giusta, ma servirebbero settimane e bisognerebbe aspettare la Primavera. Di questi tempi, con questo freddo, non è possibile. Anche se il tempo restasse sereno, in sette giorni non ce la faremmo mai.
Infatti, il gemellaggio era fissato da mesi per il primo giorno dell’anno e mancava solo una settimana.
Il raffreddamento dell’organo era una questione tecnica molto delicata e niente l’avrebbe risolta, tranne l’esposizione prolungata al calore naturale del sole. La storia raccontava che era già successo, subito dopo la guerra: nel pieno dell’estate calda, lasciato sulla piazza, lo strumento aveva ritrovato la vita. Quell’organo emetteva il famoso “suono primordiale”, unico al mondo. E quella era stata una delle ragioni che avevano convinto Miles Davis ad andare a Molina. E lui, “il maestro dei maestri”, che sapeva trovare la “nota delle note”, eseguire le più armoniose e complesse partiture, conosceva il rischio che avrebbe comportato forzare i tempi: l’organo non sarebbe stato più lo stesso, avrebbe perso l’anima. E questo era proprio un bel problema. Ma neanche tanto per il gemellaggio e il paese di Molina, quanto per la Musica.
 
 
Il 2° atto nella sezione STORIE SENZA TEMPO

Fonte: Illustrazione: Valter Cecchetti
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