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L'articolo di oggi non poteva non far riferimento alla festa del SS. Crocifisso che Pontasserchio si appresta a celebrare, il 28 aprile.Da quella ricorrenza è nata la Fiera del 28, che poi da diversi anni si è trasformata in Agrifiera, pronta ad essere inaugurata il 19 aprile per aprire i battenti sabato 20.La vicenda che viene narrata, con il riferimento al miracolo del SS. Crocifisso, riguarda la diatriba sorta tra parroci per il possesso di una campana alla fine del '700, originata dalla "dismissione" delle due vecchie chiese di Vecchializia. 

. . . non discuto. Voi riformisti fate il vostro cammino .....
. . . l'area di centro. Vero!
Succede quando alla .....
. . . ipotetica, assurda e illogica. L'unica cosa .....
. . . leggo:
Bardi (c. d) 56% e rotti
Marrese ( c. .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Ecco la lista di Vicopisano in Cammino.
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di Umberto Mosso
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di MARIAROSARIA MARCHESANO (Il Foglio)
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di Vittorio Ferla
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Di Alexia Baglivo
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Di Gavia
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di Michelle Rose Reardon a cura di Giampiero Mazzini
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di Mollica's
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Di Siciliainprogress
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Se oltre a combattere
quotidianamente
Con mille problematiche
legate alla salute
al reddito
al lavoro
alla burocrazia
al ladrocinio
alla frode
alla .....
La Proloco di San Giuliano Terme, attenta alla promozione e alla valorizzazione dell'ambiente indice il concorso "il giardino e il terrazzo più bello" .....
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Cento anni fa a Livorno
Massimo Ceccanti,
Ovidio Della Croce

24/1/2021 - 11:42

FINALMENTE DOMENICA!
 
Il centenario del Partito comunista italiano rievocando quelle incredibili giornate dal 15 al 21 gennaio 2021 del Congresso socialista di Livorno, andando indietro nel tempo grazie soprattutto a un documentario restaurato dalla Cineteca di Bologna. L’articolo completo, con le fotografie d’epoca, sul sito "massimocec.it" da lunedì 24 gennaio.
 
Un anniversario così rotondo, cent’anni, è un forte richiamo a cui non ci si può sottrarre. Sui social gira il simbolo del Pci. Sono usciti una decina di libri e altri ne usciranno, è stato messo a disposizione un documentario ritrovato da Cecilia Mangini e restaurato dalla Cineteca di Bologna che costituisce il primo documento cinematografico di un importante evento politico.
(…)
Se pur il Partito comunista italiano non ci sia più da trenta anni, ci pare che stia prevalendo un senso di rivincita nei confronti dei fondatori del Partito comunista d’Italia, sezione italiana della Terza Internazionale, denominazione che fa pensare a un’enclave dell’Internazionale comunista, nata a Mosca nel 1919, che si forma nel nostro paese. E forse quel primo nucleo di comunisti guidati da Bordiga si sentiva così, una sorta di sezione del partito comunista internazionale tant’è vero che il primo nome dato al partito sarà quello di Partito comunista d’Italia, quasi a sottolineare la natura di sezione del partito uscito dal congresso di Livorno rispetto a un partito internazionale. Solo nel dopoguerra il Partito comunista diventerà il Partito comunista italiano. Si tende a considerare quella lontana scissione di Livorno un errore, addirittura c’è chi sostiene che in qualche modo rese più facile l’ascesa al potere del fascismo. Ma è anche vero che senza quella svolta rivoluzionaria non avremmo avuto quella storia che il Partito comunista italiano con il tricolore nel simbolo ha rappresentato, né quella delle famiglie che al comunismo si richiamano cercando di arricchire e rifondare quella storia.
 
Al di là di ogni demonizzazione o esaltazione proviamo a tornare indietro nel tempo: “là”, ovvero al teatro Goldoni di Livorno, e “allora”, ovvero al 21 gennaio 1921, con curiosità e leggerezza, ma anche con l’amore e il rispetto per quelle vicende e per l’atto di nascita di quel partito che appartiene alla storia d’Italia ed è stato un elemento fondamentale per la nascita della Repubblica e dell’identità italiana.
 
Per cominciare si fa uno di quei salti del tempo nel passato che sono possibili soltanto grazie un po’ all’immaginazione e un po’ di più alle fotografie d’epoca, difficili da reperire, ma soprattutto grazie a quel filmato che ci fa rivivere modo diretto quella vicenda.
(…)
E ci si ritrova cent’anni fa davanti al teatro Goldoni, il vecchio teatro dell’opera di Livorno, che ha sulla facciata un grande striscione: XVII° CONGRESSO NAZIONALE SOCIALISTA. Il clima nella città è elettrico, ci sono giornalisti da tutta Italia, perfino l’ing. Biadene, segretario della federazione della Stampa. All’ingresso del teatro, per la prima volta nella storia di un congresso politico, c’è anche una macchina da presa che inquadra la sfilata di onorevoli, sindacalisti e militanti.
 
Intanto: come si è arrivati al Congresso di Livorno?
Durante la Grande Guerra, nel 1917, c’è la rivoluzione russa. Dopo ci sono le lotte del “biennio rosso” 1919-1920, ma l’ondata rivoluzionaria è passata, il movimento dei Consigli sconfitto “con la complice sordità di tutto il Psi” (Guido Liguori, Quella scissione “alla livornese”, in “Profondo rosso”, supplemento a il manifesto, 21 gennaio 2021).
(…)
La sinistra del partito, invece, guarda alla rivoluzione come a una prospettiva possibile, “fare come in Russia”, è la mitica parola d’ordine. La rivista Soviet di Bordiga punta a creare un partito rivoluzionario ristretto, ma fortemente organizzato e vede il socialismo come inevitabile. Per il gruppo torinese dell’Ordine Nuovo di Gramsci dovevano essere i Consigli di fabbrica protagonisti, insieme al partito, di uno sbocco rivoluzionario e della costruzione di una democrazia consiliare più che parlamentare.
 
Dunque, accettiamo di trovarci a Livorno nei giorni in cui si tiene il Congresso socialista e, senza avere la pretesa di farne la cronaca, vediamo semplicemente di coglierne l’atmosfera, chi possiamo incontrare e quali sono le posizioni che si confrontano.
 
Il video realizzato durante il congresso ci aiuterà a seguire i lavori. Intanto c’è da dire che il congresso si tiene a Livorno “per la fama che gode di essere ospital sede in cui generosa e cordiale è l’accoglienza” (Il Telegrafo, 14 gennaio 1921). In realtà doveva tenersi a Viareggio solo che, per paura di disordini, gli albergatori della città versiliese non avevano dato la loro disponibilità. Il primo problema per i congressisti è stato quindi quello di trovarsi una sistemazione, perché Livorno non è una città attrezzata per accogliere un così gran numero di persone. Si costituisce addirittura una commissione per favorire il reperimento degli alloggi.
 
Il congresso si apre sabato 15 gennaio. Arrivano i congressisti, tessere alla mano, si parla di tremila delegati. Sfilano davanti ai nostri occhi, tutti con il cappello in testa, i rappresentanti dell’Internazionale socialista. L’on. Filippo Turati, sessantaquattro anni, tra i fondatori del Psi, si sofferma davanti a una cinepresa, accenna un sorriso ed entra nel teatro. Seguiamo la folta barba bianca e grigia di Turati, figura centrale del socialismo italiano.
 
Eccoci all’interno del teatro gremito di delegati, sia in platea che sui palchi e persino in loggione. Attirati da un’altra grande barba bianca e grigia perdiamo di vista quella di Turati. È quella di Karl Marx, il cui grande ritratto campeggia al centro del teatro sotto un gigantesco striscione: PROLETARI DI TUTTI I PAESI UNITEVI! Questo richiamo all’unità suona un po’ come rimprovero anticipato alla scissione.  E a tutte le lacerazioni future delle varie famiglie socialiste e comuniste.
 
C’è un fotografo ufficiale che, con la sua macchina con il flash, cattura le immagini del congresso. È il famoso fotografo livornese Gino Giambruni, assistito dal figlio Alessandro. Rimangono impresse nella sua pellicola soprattutto le barbe dei riformisti: quella di Filippo Turati è la più venerata; quella di Ludovico D’Aragona è la più lunga; quella di Giacinto Menotti Serrati, che nel 1914 aveva preso il posto di Mussolini alla direzione dell’Avanti!,  è la più bella e coltivata; quella “eroica” del fratello maggiore di Modì, Giuseppe Emanuele Modigliani, Mené per gli amici. “Con la barba di Mené noi farem gli spazzolini per pulire gli scarpini a Benito Mussolini.” L’inseparabile moglie Vera lo supplicherà di tagliarsela per non essere riconosciuto, ma lui rispose spazientito: “Fai conto che con la barba ci sia nato. Non me la taglierò mai. Lo dico e lo ripeto. Non intendo lasciarmi sorprendere con documenti falsi e la barba tagliata. Meglio morto con la barba che vivo senza.” (Aldo Santini, Quando le barbe erano antifasciste, Il Tirreno, 15 dicembre 1999).
 
Dopo queste divagazioni iconografiche ed estetiche, per non dar troppo nell’occhio, meglio raggiungere un posto un po’ nascosto, dal palco numero 28 spunta la cinepresa che riprende la platea e i palchi del congresso, quella sembra la postazione ideale per capire la geografia politica dalla disposizione dei congressisti. Il loggione per ora è stranamente poco rumoroso.
 
In platea si percepisce subito la differenza anagrafica e d’aspetto. Sulla destra ci sono i riformisti di Turati, al centro gli unitari di Serrati, a sinistra i comunisti, riconoscibilissimi perché tutti giovani e imberbi, al massimo spunta qualche baffo.
 
Sopra di loro, in un palco, forse il numero 3, Antonio Gramsci, trent’anni tondi, un po’ in disparte, pur essendo presente non gioca la parte del protagonista del congresso e, durante l’intervento di Terracini, dalla platea parte un coro ritmato che ripete due volte il suo cognome, “GRAM-SCI GRAM-SCI”, lui non si alza e rimane mimetizzato nella penombra di quel palco. Da qualche parte, tra i comunisti, c’è Camilla Ravera. Tornato a Torino, Gramsci è deluso dall’esito del Congresso e si sfoga con lei dicendole: “Livorno, che disastro! Una rottura necessaria e insieme una sciagura”. Sarà poi eletto nel Comitato Centrale del nuovo Partito Comunista e nel 1926 verrà arrestato. Sul palco con Gramsci c’è Bordiga che, a soli trentadue anni, gioca il ruolo di capo della frazione comunista e, con una capacità oratoria molto forte, trascina la sua componente nel congresso. Palmiro Togliatti, detto in modo letterale “il migliore”, non è a Livorno, rimane a Torino, dove scrive il primo commento per l’Ordine Nuovo, da poco diventato un quotidiano.
 
Non mancano momenti di tensione anche di carattere personale. Il quarto giorno registra l’episodio più drammatico, “il fattaccio”, nel documentario rappresentato dall’animazione di un coltello e una pistola che, opposti e complementari, duellano e alla fine si danno la mano. Vincenzo Vacirca si dichiara contro “le inutili stragi cainesche che ci darebbe una rivoluzione prematura” e mentre parla, si legge nel resoconto del Telegrafo (l’antenato de Il Tirreno), Nicola Bombacci, una testa matta non ben visto all’interno del partito, “sventola la bella barba e l’abbondante chioma terribilmente arrabbiato” in quanto l’oratore lo avrebbe apostrofato con un insultante “rivoluzionari da temperino” agitando appunto un temperino, a quel punto Bombacci addirittura estrae una pistola e cerca di raggiungere la tribuna, ma viene trattenuto a stento dai suoi compagni. (Fabio Demi, La storica scissione del 1921: nasce il Partito comunista, Alto Adige, 25 febbraio 2017).
 
Dalla tribuna del Congresso Bombacci dirà: “Sono per la creazione del Partito comunista perché lo ritengo indispensabile per la realizzazione del comunismo internazionale”. Poi seguirà Mussolini fino a Salò.
 
Tra i personaggi principali del congresso c’è l’inviato di Lenin, Christo Kabakčiev, barba, occhialini dorati e fiocchino, afferma: “Non è l’Internazionale, ma è Serrati che si trova in contraddizione con i principi del socialismo rivoluzionario scientifico.”  Il rappresentante del Comitato esecutivo della Terza Internazionale Comunista, in un discorso scritto in francese, porta le condizioni di Mosca: per aderire alla Terza Internazionale il Partito deve rompere con i riformisti di Turati, Treves, Serrati, Matteotti, Modigliani, cambiare il nome abbandonando la dizione di Partito Socialista per diventare Partito Comunista. L’ondata rivoluzionaria è già passata, le prospettive della rivoluzione si sono indebolite, i rapporti di forza dopo il “biennio rosso” sono cambiati. Il Partito socialista rimane un grande partito con i comunisti al proprio interno, e avrebbe voluto aderire alla Terza Internazionale, ma il pomo della discordia è l’ultimo punto delle rigide “21 condizioni” che il Comintern aveva dettato l’anno prima ai partiti che volevano entrare a far parte dell’Internazionale: “I membri del partito che rifiutino in via di principio le condizioni e le tesi elaborate dall’Internazionale Comunista debbono essere espulsi dal partito. Lo stesso vale specialmente per i delegati ai congressi straordinari.” Ciò avrebbe comportato l’espulsione dei riformisti dal partito, nominati e bollati al punto sette come “noti opportunisti”, con tanto di nomi e cognomi, compresi i riformisti italiani.
 
Si apre la seduta. È quasi impossibile seguire il dibattito, bisognerebbe leggere i resoconti, e poi anche perché il clima nel teatro si scalda. Argentina Altobelli, alla Presidenza, agita le mani per invitare alla calma. Gli oratori parlano dalla tribuna senza microfono e debbono urlare per farsi sentire. Serrati sostiene la causa degli “unitari” e spera che il partito non si divida per salvaguardare l’unità delle masse proletarie. Alla terza giornata c’è lo scontro politico tra l’on. Costantino Lazzari e l’avv. Umberto Terracini. 
 
Costantino Lazzari dice che è indispensabile l’unità del proletariato, che avrebbe dato forza alla Terza Internazionale e ritiene incomprensibile la distinzione fra comunismo e socialismo. Queste le sue parole: “… Evitare più che sia possibile al nostro proletariato il pericolo dei dolori, dei terrori, e degli orrori che le disfatte del 1831, 1848, e 1871 in Francia e del 1919 in Germania e in Finlandia, in Ungheria hanno straziato la storia del proletariato moderno.”
Applausi dal centro della sala.
 
Umberto Terracini, ventisei anni, ebreo che in quel momento diventerà comunista, e dopo altri ventisei anni firmerà la Costituzione, sostiene la necessità di modificare un partito nato decenni prima con obiettivi diversi da quelli attuali ed esorta il congresso a conformarsi ai “21 punti”. Dice: “Dobbiamo decidere se stare nella Terza Internazionale o no.”
 (...)
La quarta giornata è la più tempestosa. L’Avanti! di domenica 20 gennaio apre in prima pagina con questo titolo: “Il pensiero delle varie frazioni sull’unità del Partito”. Sottotitolo: “Incidenti e tumulti provocati dall’impeto delle passioni contrastanti”.
 
Colpisce la dichiarazione dell’operaio meccanico on. Baccigalupi: “Nelle sezioni meno bar e più biblioteche.” Al delegato dei tranvieri romani, sguardo penetrante e semplici baffi, va il nostro sentito applauso.
 
Commuove la passione dell’on. Pietro Abbo: “Ricordiamoci tutti che la prima vittoria è su noi stessi, nel senso che la nostra personalità, le nostre ambizioni, devono scomparire, per ricordarci solo che tutto ciò che abbiamo di più caro, di più santo, lo dobbiamo dare entusiasticamente al Partito.” Ricordiamoci che esistono persone che fanno politica in vari modi senza chiedere nulla in cambio.
 
Ma veniamo al dunque. Questi i risultati dei congressi locali che hanno determinato la composizione dei delegati per ciascuna corrente del Congresso nazionale: dei 172mila votanti su 215mila iscritti, gli “unitari” ebbero 98mila voti; i comunisti 59mila; i riformisti 15mila. Sulla base di questi numeri la mozione comunista viene battuta, vince la mozione unitaria guidata dal direttore dell’Avanti! Serrati, che ottiene quasi il doppio dei voti dei comunisti.
 
Visto il risultato, l’ing. Amadeo Bordiga va alla tribuna e pronuncia più o meno queste parole con tono freddo e perentorio: “I delegati che hanno votato la mozione della frazione comunista abbandonino la sala; sono convocati alle 11 al teatro San Marco per deliberare la costituzione del Partito comunista, sezione italiana della Terza Internazionale.” Ecco la scena centrale della scissione, si consuma la separazione fisica dei rivoluzionari dal resto del partito tra applausi e urla: quel venerdì mattina del 21 gennaio 1921 i comunisti se ne vanno, un militante raccoglie una bandiera rossa dal palco, escono dalla sala cantando l’Internazionale, sfilano con quella bandiera, mentre all’interno risuona l’Inno dei lavoratori scritto da Filippo Turati. Le due musiche fanno da contrastante colonna sonora quando nel teatro si assiste alla tumultuosa scena della scissione, segnata dall’abbandono da parte dei comunisti della casa fino a quel momento condivisa.
 
Lasciamo il teatro Goldoni, vediamo dove vanno i comunisti guidati da Bordiga. Duemilacentoventi passi più in là, arrivano al teatro San Marco, questa è la distanza che separa i due teatri e che misura la separazione tra i socialisti e i comunisti, tra riformisti e rivoluzionari.
 
I comunisti si incamminano intonando l’Internazionale scortati da guardie regie e carabinieri, ma anche da gruppi di operai. Raggiungono infatti il teatro San Marco nel cuore del quartiere Venezia, un teatro che aveva conosciuto anni di splendore; ma, rovinato dalla guerra, in quel 21 gennaio del 1921 si trova in stato di abbandono. Ha il tetto bucato da cui scende la pioggia e le pozzanghere sul pavimento. Ma è sufficiente per ospitare il congresso dei comunisti che serve soltanto per approvare un ordine del giorno che dichiara costituito il Partito comunista d’Italia, sezione della Terza Internazionale.
 
Nasce il nuovo partito con un unico simbolo: la bandiera rossa del vecchio partito socialista che un militante ha preso dal palco e ha portato dal teatro Goldoni al teatro San Marco. Un partito piccolo, con una disciplina ferrea e ideologicamente rigido, tuttavia forza attiva contro la dittatura imminente. E alla fine un partito importante per la lotta antifascista durante il ventennio, per la Resistenza, per la conquista e lo sviluppo della democrazia, per il ruolo di guida di masse di lavoratori e nuovi cittadini.
 
Per concludere, rifacciamo un altro salto del tempo di cent’anni nel futuro rispetto a quel congresso. Eccoci al 21 gennaio 2021. Pensiamo che non sia stato facile decidere cosa fare al Congresso socialista del 21 gennaio 1921. Dopo la catastrofe della guerra e di fronte all’avanzata violenta del fascismo, la difficoltà a giocare un ruolo politico attivo nella lotta contro l’autoritarismo, per la difesa della libertà e dei diritti cresce fino a diventare insostenibile con le armi della dialettica politica. Conosciamo la storia, sappiamo come è andata a finire. Sappiamo però che la storia non è finita, le diseguaglianze e le ingiustizie sono aumentate.
 
Nei tempi ideali e materiali delle lunghe durate ci sarà sempre in ogni parte del mondo la necessità di riaffermare quegli ideali di libertà e di “futura umanità” che cantavano a Livorno, pur divisi, i socialisti e i comunisti. E ci sarà qualcuno che raccoglierà alla meglio uno straccio rosso, fosse anche preso dai  panni stesi alle finestre, di per sé già delle bellissime bandiere. , come si dice a Livorno, che chissà cosa voglia dire.

Fonte: “Foto: Il teatro Goldoni durante il congresso socialista", da Internazionale.it
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30/1/2021 - 11:59

AUTORE:
Antonietta Timpano

Lette entrambe le ricostruzioni di Ovidio e di Massimo, mi sento assalire da un senso di vertigine perché la ricostruzione di quei fatti, quindi la Storia, non permette l'oblio,né altre forme di rimozione.
La politica si viveva sulla pelle , allora , ai tempi dei nostri genitori. La Politica camminava con la Storia e tracciava scie di entusiasmi, di desideri comunitari, di spiriti egualitari.
Il Rosso che spicca sul grigio nelle foto di Ceccanti testimonia il focus della memoria , l'elemento messo a fuoco, nel grigiore dell'attualità.
E torna la nostalgia struggente di un periodo di 'militanza di gruppo', della quale si è persa ogni traccia.

25/1/2021 - 19:10

AUTORE:
Ovidio DC

Innanzitutto ringrazio, anche a nome di Massimo Ceccanti, Daniela e Antonio Ceccherini per i due graditi commenti.

Per chi fosse interessato segnalo che è disponibile il testo completo dell'articolo, integrato da foto in gran parte tratte da un filmato d’epoca, a questo indirizzo:

https://www.massimocec.it/a-tempo-perso/cento-anni-fa-a-livorrno/

(da copiare e incollare nella finestra del browser).

Dopo l'introduzione troverete un link: CENTO ANNI FA A LIVORNO: TESTO INTEGRATO DA FOTO D'EPOCA che vi porta a un PDF sfogliabile.
Buona lettura.

25/1/2021 - 13:40

AUTORE:
Antonio Ceccherini

... ricostruisce atmosfera e sensazioni di quei tempi lontani (ma in verità anche vicini), per di più piacevole da leggere...

25/1/2021 - 12:55

AUTORE:
Daniela

Articolo interessantissimo e ricco di notizie. Il finale poi fa struggere il cuore.