L'analisi del nuovo articolo di Franco Gabbani si sposta questa volta nel mondo di un associazionismo antesignano, le confraternite, necessarie per togliere dall'isolamento e dal mutismo le popolazioni delle campagne, anche se basate esclusivamente sui pricipi della religione.
E d'altra parte, le confraternite, sia pur "laiche", erano sottoposte alla guida del parroco.Sono state comunque i primi strumenti non solo di carità per i più bisognosi, ma soprattutto le prime esperienze di protezione sociale verso contadini ed operai.
FINALMENTE DOMENICA!
Nella lingua, si sa, in questi ultimi anni di “privatizzazioni”, era quasi scomparsa l’espressione “patrimonio pubblico”. Così, quando un complesso architettonico medievale, dopo quasi due secoli di proprietà privata e da molto tempo in degrado passa al pubblico con una prospettiva di tutela, recupero e ristrutturazione, è giusto festeggiare. Questo storico giro di proprietà, in un paese normale sarebbe la via maestra, mentre da anni si assiste all’esatto opposto: privatizzazioni e svendita del patrimonio pubblico. La mia sensazione (e non solo mia) è che, mentre si parla di memoria, in Italia si stia recidendo un filo che ci collega al passato. Non c’è regione italiana che non abbia molti antichi edifici pubblici e antiche chiese in abbandono.
Aria di festa per Italia Nostra, che scrive: “Siamo lieti di annunciare che la Rocca di San Paolino a Ripafratta, significativo esempio di fortificazione del XII secolo posta al confine tra Pisa e Lucca, al centro di un sistema di fortificazioni contrapposto delle due antiche città-Stato, nella lista rossa nazionale dei beni culturali in pericolo di Italia Nostra, da oggi è proprietà pubblica!” Con il punto esclamativo, detto una volta punto ammirativo.
Il passaggio da mani private a proprietà collettiva del nostro patrimonio artistico, nel nostro caso di un castello in rovina, in un momento in cui aumentano le disuguaglianze, è un elemento di equità, perché ora la sovranità su quel castello appartiene ai cittadini. Lo scopo principale di utilizzo di un bene comune è quello sociale, una volta fruibile da tutti potrà diventare un fattore formidabile per consentire “il pieno sviluppo della persona umana” e la coesione sociale. Stavo per metterci il punto esclamativo o ammirativo.
Festeggia il nostro Sindaco Sergio Di Maio. La Rocca di San Paolino a Ripafratta è diventata “del Comune di San Giuliano Terme, quindi patrimonio pubblico”, l’atto che sancisce il definitivo passaggio di proprietà del monumento al patrimonio del Comune di San Giuliano Terme è stato firmato lunedì 1 febbraio, dice il Sindaco e un’intervista aggiunge: “Questo risultato è una vittoria della comunità.” E poi prospetta un “futuro progetto di recupero della fortificazione con l’obiettivo finale di renderla centrale nell’offerta turistica e culturale del nostro territorio, con inevitabili ricadute positive anche sulla frazione di Ripafratta”. Percorso che il Comune vuole portare avanti con l’Università di Pisa, l’Associazione Salviamo la Rocca, riuniti nel “Comitato promotore per il recupero della Rocca di Ripafratta”, in stretto rapporto con la cittadinanza.
La prima cosa da fare ora è metterla in sicurezza e fare tutto quello che serve per trovare i fondi statali ed europei, stendere il progetto, cominciare il restauro e portarlo a termine nel più breve tempo possibile, altrimenti il degrado avanza e il rischio è quello di perderla per sempre. Il Sindaco Di Maio questo l’ha chiaro. Per quel poco che vale quello che scrivo, starei attento a pronunciare la parola “valorizzazione”, così ambigua da contenere anche il suo contrario. Valorizzazione, nel significato stabilito dall’articolo 6 del Codice dei Beni Culturali, “consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio … al fine di promuovere lo sviluppo della cultura”.
Anche l’Associazione Salviamo la Rocca festeggia insieme ai cittadini di Ripafratta:
“Si mette dunque una firma in calce a un percorso che l’amministrazione comunale ha portato avanti nel tempo grazie al contributo decisivo di cittadini, associazioni, consiglieri comunali e altri enti che nel corso del tempo hanno abbracciato la causa. Come la Regione Toscana, che ha cofinanziato l’acquisto insieme al Comune: rispettivamente 100 mila e 30 mila euro.”
Sul sito dell’associazione si legge un comunicato in cui si annuncia:
“Proprio per celebrare questo grande risultato, ‘Salviamo la Rocca’ ha prontamente organizzato una giornata straordinaria di visite alla rocca di San Paolino per domenica 7 febbraio, con visite guidate dalle 9.00 alle ore 16.00 (con numero chiuso nel rispetto delle misure anti Covid e prenotazione obbligatoria ai seguenti recapiti: info@salviamolarocca.it o WhatsApp al 3398358584). Per l’occasione e per festeggiare l’evento, tutti gli esercizi commerciali di Ripafratta rimarranno eccezionalmente aperti.”
Sul sito di questa benemerita associazione c’è una ricostruzione storica della Rocca di Ripafratta, nota anche come Castello San Paolino (patrono di Lucca). L’ho letta come uno scolaro diligente o un pensionato curioso di fare un tuffo nel passato.
Andando all’indietro nel tempo forse, prima della Rocca, sul colle Vergario c’era una torre longobarda. La rocca fu costruita dai nobili Da Ripafratta con l’intenzione di estendere il proprio dominio sulla zona, in particolare su un piccolo villaggio dipendente dalla pieve lucchese di Montuolo, Ripa, in posizione strategica per la riscossione dei pedaggi. Per questo i lucchesi, nel 1104 e 1105, mossero guerra ai Da Ripafratta, e conquistarono la Rocca. Ma i Da Ripafratta chiesero aiuto ai pisani che attaccarono Lucca, e recuperarono Ripafratta, che passò sotto l’influenza pisana.
Nel 1109 i Da Ripafratta donarono parte del castello all’Arcivescovo di Pisa. La Repubblica di Pisa, in conflitto con Lucca, costruì una serie di torri di avvistamento sul lungomonte sangiulianese e fortificò la Rocca che, tra i secoli XII e XIII, fu ingrandita e rafforzata con mura a protezione del borgo attorno al castello.
Nel corso del XIII secolo la Rocca rimase al centro dei conflitti tra Pisa e Lucca, per poi passare sotto il dominio fiorentino.
All’inizio del XVI secolo subì importanti modifiche: le torri medievali furono portate all’altezza delle mura, che furono rinforzate con la “scarpa”, la porta sul versante lucchese fu protetta da “rivellini”.
La situazione politica cambiò e la Rocca perse la sua importanza strategica di “sentinella” del confine tra Lucca e Pisa. Già nel 1607 risultava abbandonata.
Nel 1628 passò, tramite livello per “uso d’orto”, a Orazio Angelini. Nel 1678 il livello passò al fattore della tenuta granducale di Collesalvetti, che dopo pochi mesi la cedette ai Roncioni, che poi ne rilevarono la proprietà nel 1845.
Nel corso dei secoli le condizioni della Rocca sono andate deteriorandosi. Fino al secondo dopoguerra del Novecento la Rocca è stata utilizzata come orto coltivato, smessa questa attività si è ricoperta di vegetazione. Ha riconquistato il suo fascino nel contrasto tra bellezza recuperata e stato di decadenza a seguito degli scavi archeologici degli anni ’80 del Novecento, che hanno riportato alla luce le strutture sottostanti. Finiti gli scavi, la Rocca è tornata e ricoprirsi di vegetazione.
Insomma, dopo quasi due secoli di proprietà della famiglia Roncioni, la Rocca di Ripafratta ora è sotto la tutela dell’amministrazione pubblica. C’è da augurarsi che questo bene di interesse storico e architettonico diventi al più presto uno straordinario centro culturale attrattivo per il territorio e bene comune per i cittadini e per le scuole, cuore del nostro stare insieme. La scuola, penso, debba essere la prima destinataria di questo bene storico e architettonico, l’arte e la cultura non sono solo sui libri, sono oggetti concreti del paesaggio, non sono svaghi domenicali, usciamo di casa e ce li troviamo davanti tutti i giorni. Ma prima di tutto è necessario che siano trovati in fretta i soldi per la ristrutturazione e le idee per un progetto di “valorizzazione” che dia verità e sostanza all’articolo 9 della Costituzione. Scrive il poeta Franco Marcoaldi: “chi non sa apprezzare un albero / non può apprezzare un quadro / Perché comune a entrambi / è la profonda vastità delle radici”. La nostra vita affonda le sue radici nella nostra storia. Riprendersi la Rocca, riscoprire il nostro passato, vedere che è stato diverso, ci aiuta a immaginare anche un futuro diverso. Perfino a me prende la voglia di fare festa in un momento in cui c’è poco da festeggiare. Anche se propriamente non sono poeta, sapere che la Rocca è diventata un bene nostro mi intenerisce il cuore, provo un senso di felicità e così sento più forte di voler molto bene a San Giuliano che ci ha fatto questo bel regalo.