L'analisi del nuovo articolo di Franco Gabbani si sposta questa volta nel mondo di un associazionismo antesignano, le confraternite, necessarie per togliere dall'isolamento e dal mutismo le popolazioni delle campagne, anche se basate esclusivamente sui pricipi della religione.
E d'altra parte, le confraternite, sia pur "laiche", erano sottoposte alla guida del parroco.Sono state comunque i primi strumenti non solo di carità per i più bisognosi, ma soprattutto le prime esperienze di protezione sociale verso contadini ed operai.
UN LUNGO SALOTTO
“ La vita che fo qui è mangiare, dormire, bagnarsi, e passeggiare, per lo più lungo la marina, la quale davvero è magnifica per la vista di un mare interminato, da una parte, e di monti dall’altra... “.
Così scriveva Alessandro Manzoni alla moglie, e aggiungeva:
“ Ma è una spiaggia senza strada, e si cammina nella rena, dove s’entra fino alla noce del piede... “.
Era l’estate del 1856, Viareggio, come città, era appena una neonata, stava tracciando alcune strade per seguire lo sviluppo edilizio, ma non aveva ancora un vero e proprio lungomare. Poi, anno per anno, la fascia
lungo la costa si andò popolando di costruzioni, nel 1871 fu tracciato il viale Daniele Manin, nel 1902 fu portata a termine la passeggiata, che si allungò dal Molo alla Grotta artificiale di piazza Mazzini, e alla quale fu dato il nome di viale Regina Margherita. Da allora la “passeggiata” divenne un’ossatura fondamentale della città, un crocicchio del mondo, un cardo e, insieme, un decumano, uno scenario distensivo, gaio, frivolo, colorito di verde e di fiori, arredato festosamente, illuminato di sole.
A volte un salotto quieto, signorile a volte, un canale popoloso e rumoroso come una fiera. E, sempre, una strada simpatica, cordiale, accogliente. E, sempre, una strada di casa, una strada di famiglia, anche per gente venuta da lontano.
E, sempre, un bel posto per viverci. [...]
FANTASMI TRA LE MACERIE — Alle 23,15 del 17 ottobre 1917 il cinema Nereo era vuoto. Le rappresentazioni in programma per quella sera erano terminate da poco, gli spettatori se n’erano andati, il custode aveva spento le luci, chiuso il locale. Ma ben presto il Nereo s’illuminò di nuova sinistra luce, per un nuovo, non previsto, spettacolo. Forse a causa di un corto circuito, in qualche parte del locale scoccò una scintilla, si accese una piccola fiamma, che subito s’ingrandì, trovando facile esca nella materia prima — il legno — con la quale erano costruiti, quasi interamente, gli edifici della passeggiata nella Viareggio “belle époque”.
Il vento di ponente, che quella sera spirava abbastanza forte, fece sì che in breve tempo il fuoco divampasse con inarrestabile furia, e che un intenso bagliore rossastro circondasse il cinema Nereo.
Qualcuno che si era attardato sulla passeggiata, vide, gridò, dette l’allarme.
“ Al fuoco...! Al fuoco...!!! “
Accorsero i militi della Pubblica Assistenza, i fratelli della Misericordia, i carabinieri, i marinai con le loro pompe. Accorsero anche pescatori, calafatari, artigiani, operai, commercianti, professionisti, centinaia di viareggini, insomma. Un esercito volenteroso, ma scarso di mezzi, impotente a circoscrivere l’incendio. Infatti, via via che avanzava la notte, avanzarono anche le fiamme, che ora attaccavano il bar Principe Umberto, il ristorante La Fiorentina, la galleria del Nettuno con i suoi trenta negozi, le preziose vetrine degli orafi, le botteghe dei barbieri, le facciate degli stabilimenti, e che stavano minacciando il caffè-concerto Eden. Nel rogo immane bruciavano le insegne e i fastigi del liberty, i tavoli dei caffè, i banchi dei pasticceri, le preziose pellicce, i vestiti e i cappelli alla moda, la biancheria intima per signora, ed anche le trine, i ricami, anche le lozioni dei parrucchieri, anche i giornali del mattino che riportavano il bollettino con le notizie del fronte (sulle pendici settentrionali del San Gabriele nuclei nemici furono fugati a fucilate... ).
Dal vicino presidio militare accorsero tutti gli uomini di truppa disponibili. Da Lucca e da Pisa arrivarono i pompieri. Ma la lotta era impari. Il vento, ora mutando, ora rinforzandosi, distribuiva per ogni dove — lungo il palcoscenico ligneo della passeggiata — le fiamme divoratrici. Il viale Manin era un fiume di folla, formato da mille rivoli riversatisi dalle case nelle strade, e poi confluiti affannosa mente verso l’apocalittico bagliore che saliva al cielo e si allungava sul mare con la forza di centinaia di riflettori. Davanti ad un’immensa platea — silenziosa, sbigottita, smarrita— il fuoco distruggeva un locale dopo l’altro, spazzava via il lavoro umano, divorava anni di sacrifici, straziava impietosamente una bellezza che era stata amica dei viareggini e degli ospiti.
Infine la prima luce del giorno permise di fare tristissimi conti, di elencare tutto ciò che era scomparso per sempre nella fornace. Per un vasto spazio la passeggiata non era più, come si vede nelle due foto. Ovunque, rovina, squallore, bruttura, desolazione. Muri informi, macerie carbonizzate. Benché abituati ai disastri, anche i cronisti sentirono la ferita, parlarono di Viareggio come di una persona cara.
“Il fuoco passato sulla tua faccia marina, così gaiamente provvisoria — scrisse un giornalista fiorentino — è passato in verità anche sulle nostre anime. Le fiamme che hanno devastato i tuoi stabilimenti, dai nomi che ci furono così cari, hanno bruciato in verità anche qualcosa dentro di noi... Il grande, disastroso, rogo, aveva spazzato via un mondo, cancellato un’epoca. ... I nostri sogni e i nostri fantasmi sono tra le macerie... “.
Tratto da “La Versilia com’era” di Giorgio Batini, Bonechi editore, 1976