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L'articolo di oggi non poteva non far riferimento alla festa del SS. Crocifisso che Pontasserchio si appresta a celebrare, il 28 aprile.Da quella ricorrenza è nata la Fiera del 28, che poi da diversi anni si è trasformata in Agrifiera, pronta ad essere inaugurata il 19 aprile per aprire i battenti sabato 20.La vicenda che viene narrata, con il riferimento al miracolo del SS. Crocifisso, riguarda la diatriba sorta tra parroci per il possesso di una campana alla fine del '700, originata dalla "dismissione" delle due vecchie chiese di Vecchializia. 

. . . non discuto. Voi riformisti fate il vostro cammino .....
. . . l'area di centro. Vero!
Succede quando alla .....
. . . ipotetica, assurda e illogica. L'unica cosa .....
. . . leggo:
Bardi (c. d) 56% e rotti
Marrese ( c. .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Di Gavia
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di Michelle Rose Reardon a cura di Giampiero Mazzini
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di Mollica's
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Di Siciliainprogress
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Se oltre a combattere
quotidianamente
Con mille problematiche
legate alla salute
al reddito
al lavoro
alla burocrazia
al ladrocinio
alla frode
alla .....
Oggi è venuto a mancare all’affetto di tutti coloro che lo conoscevano Renato Moncini, disegnatore della Nasa , pittore e artista per passione. .....
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Da Oliva si mangiava così.

6/6/2021 - 21:11


 
È il momento della Donna e, dopo l’ingresso nel nostro “giornale” di Matilde Baroni, ecco un'altra scrittrice che non parla di sé ma di sua madre, la mitica Oliva dell’omonimo ristorante al porticciolo di Massaciuccoli
 
“Avevo deciso di scrivere questo libro in prima persona, come primogenita di Oliva, ma poi ho pensato che mi sarei messa in evidenza e la protagonista sarei stata io. Invece questo libro vuole essere un atto di amore ma anche di ammirazione per questa donna, nostra madre, che con la sua semplicità ed il suo naturale buon senso, seppe conquistare quel piccolo mondo che per tanti anni gravitò intorno a lei: i suoi familiari, i suoi amici, i suoi clienti.
Tanti e tanti soprattutto gli amici, spesso a famiglie intere, che provenivano dallo stesso paese di Massaciuccoli, da Lucca, dalla Versilia, da Pisa, da tante parti d’Italia e fra questi anche varie personalità della scienza, della cultura, dell’arte, della politica, dello spettacolo, dello sport, nonché dell’ambiente ecclesiastico, come attestano le dediche sul libro d’oro del Ristorante. Mi piacerebbe citare tutti per nome, ma ho timore che la memoria mi tradisca e non sarebbe giusto dimenticare qualcuno.
Li ringrazio tutti, anche da parte di mia sorella Alba e di mio fratello Luigi, per la fedeltà e l’amicizia che ci hanno sempre dimostrato. È un libro che scrivo come testimone obiettiva di questi anni indimenticabili, come un osservatore che dall’esterno annota e riferisce, parlando in terza persona anche di sé stessa, e dei suoi familiari, e quando i giudizi sono troppo favorevoli vengono riportati tra virgolette essendone altri gli autori.
Fernanda  Lipparelli.”

 

Il volumetto è: “Da Oliva si mangiava così”  e, per averlo frequentato in gioventù, devo dire…e anche molto bene!
A metà degli anni ’80 cessò la sua attività e nel 2011 vennero richiesti permessi per la sua ristrutturazione e riapertura.
Non starò certamente a fare il rendiconto dei piatti anche se la loro particolare cottura e preparazione son da “mettere” sul nostro libro segreto delle ricette, vi mostrerò però quella del “cacciucco”, piatto che fece vincere ad Oliva la medaglia d’oro di un concorso culinario.

 

 Cacciucco
Il cacciucco è un piatto in origine semplice, ma che è stato complicato ed arricchito col tempo. È una zuppa di pesce che i pescatori o Ie loro donne preparavano con pesci rimasti invenduti, per lo più di scarso pregio. Il meglio però è prepararlo con almeno cinque qualità di pesce, una per ogni “C” della parola cacciucco. Alcune “combinazioni”: poIpo, tracina, gattuccio (storzoIa a Viareggio), coda di rospo, nasello; oppure: seppia, pesce prete, razza, pesce nudo, zanchetta; oppure totano (o calamaro), scorfano, palombo, sgombro (ciortone a Viareggio), mostella.
Il segreto del cacciucco è la giusta cottura dei pesci. Finché i polpi, o le seppie, o i totani non sono ben cotti, non si possono aggiungete gli altri pesci, che altrimenti cuociono troppo e si spappolano. I pesci con la lisca vanno cotti brevemente; un po’ di più degli altri vanno cotti la tracina, il pesce-prete e la coda di rospo. Tutti i pesci devono essere ben nettati e lavati; spellati il gattuccio, il palombo, la razza e la   coda di rospo; il polpo va battuto perché diventi più tenero; il palombo e il gattuccio tagliati a tranci o a tocchi.
 Si comincia con un trito di prezzemolo e aglio da soffriggere in olio di oliva, curando che l’aglio sia ancora chiaro quando aggiungeremo i molluschi, o polpo o seppia o totano (il calamaro, se non è troppo grosso, cuoce bene con gli altri pesci), che faremo sfrigolare per qualche minuto, bagnandoli poi con vino rosso robusto, ottimo il Chianti.  
Quando il vino si sarà liberato dall’alcool, aggiungiamo brodo di pesce preparato in precedenza (piccoli pesci lessati con tutti gli odori e passati) ed in esso terminiamo la cottura. Uniamo pomodori pelati i tritati e facciamo cuocere ancora una quindicina di minuti, non dimenticando il sale ed il peperoncino col quale si può essere anche generosi.  
Nell’umido, che dovrà risultare abbondante, deponiamo anche gli altri pesci, prima i più sodi, poi gli altri. Affondiamoli nell’umido bollente   e non li tocchiamo più. Ogni tanto moviamo al tondo la pentola coperta, perché si insaporiscano meglio. Anche col sale avremo un po’ abbondato, altrimenti i pesci restano sciapiti (si può anche introdurre una minuscola presina di sale in ogni pancia di pesce). Dopo pochi minuti serviamo il cacciucco su fette di pane casalingo, tostate ed agliate abbondantemente, se piace.
 
Salumi vari
I vassoi degli antipasti di salumi erano qualcosa di insolito e di memorabile, da Oliva, e molti clienti ci andavano solo per quelli, perché valevano il viaggio: dall’entroterra attraverso il monte di Quiesa o di Balbano, dal mare attraverso la Sarzanese da Massarosa e da Quiesa, dal Pisano (quanti amici tra i docenti dell’Università!) attraverso la bonifica del Massaciuccoli. La bretella autostradale Lucca-Viareggio non usciva ancora a Massarosa, ma i clienti erano entusiasti e non mancavano mai, anche se in media dovevano percorrere almeno una ventina di chilometri.
Prosciutto dolce—salato (come diceva Fernanda, la figlia maggiore di Oliva e  “factotum della ditta”, come la definisce uno dei clienti del ristorante nel libro delle firme), salametto fresco, salsiccia fresca agli aromi vari (non mancava mai quella al peperoncino), salame toscano stagionato, coppa, biroldo o mallegato che dir si voglia, lardo e pancetta magra affettati sottilissimi, soppressata sopraffina (era una verae propria galantina di maiale!).  Da Oliva erano ad altissimo livello. Era stata predisposto un apposito locale, nuovo, pulito ed attrezzato con moderni macchinari artigianali davanti ai quali ci si alternava per insaccare e salare i maiali allevati anche da Oliva. Era il regno di Luigi Lipparelli, il figlio minore di Oliva. Bravo pittore, lasciava tavolozze e pennelli e con le sveltissime mani manovrava affilati coltelli per sezionare le varie parti del maiale, da passare al tritacarne, da salare o da far bollire per biroldi e soppressate.
Da questo piccolissimo salumificio interno del Ristorante Oliva si sono alternati famosi insaccatori che contribuirono alla fama del ristorante.
Tra questi “maestri norcini” non possiamo dimenticare i nomi di Danilo Lunardi e di Antonio Biancalana.
Parlando di insaccati e di maiale non si può fare a meno di celebrare i fegatelli cucinati da Oliva. Quando il maiale era a tiro, la voce si diffondeva per i più impensati canali: “L’hanno ammazzato!” “Domani l’altro lo insaccano!” a buon intenditor poche parole! Il maiale doveva frollare per 36 o 48 ore, ma le sue interiora freschissime, cuore e fegato, si consumavano la sera stessa della mattanza.    Prima alla spicciolata e poi a gruppetti, arrivavano gli amici, e gli amici degli amici, e Oliva ripetutamente doveva affrettarsi in cantina con la sua lunga coltella, a staccare lobi di fegato per i suoi commensali. Lo preparava in tutte le salse: alla lucchese, alla pisana o alla moda di Massaciuccoli, lo friggeva, lo arrostiva allo spiedo con i crostini, sempre immancabilmente col finocchio che lei stessa aveva raccolta sul monte d’estate, ma il suoi capolavoro erano i fegatelli in umido, a pezzi piuttosto piccoli, con cipolla e pomodoro, non troppo cotti perché, come sentenziava “fegato e ova più si còce e più s’assoda!” e lei la cottura sapeva fermarla proprio al punto giusto, a vista, senza orologi…
 
 … e sopra  tutto: il “Torbone” di Luigi
Luigi Lipparelli era l’anfitrione del ristorante Oliva. Nella sua postazione fissa dietro il banco del bar, proprio all’ingresso, accoglieva festosamente i clienti che a fine pranzo gli chiedevano un... liquorino, il caffe e, più spesso, Immancabile “torbone”, o “bomba”, o “torpedine”, potentissimo corretto dalla ricetta segreta, ma dall’effetto digestivo potente.
Proviamo a penetrare in questo segreto proponendo una ricetta non del tutto cervellotica.
La base è un ottimo caffè espresso; non può mancare il rum Jamaica
o anche “Fantasia” a 70 gradi!); necessario il cognac ed anche un po’
di Cointreau; a scaldare col tutto una puntina dj peperoncino piccante
e lo zucchero. Le dosi richiedono... creatività.
Provate anche voi e, se vi riesce bene, bevetelo alla nostra salute.
 
Da Oliva arrivava la corsa più famosa dell'intero Massaciuccolese, quella dei barchini di padule che partivano dall'imbarcadero di Torre del lago. Era una corsa dura e impegnativa che chiamava anche vogatori di Vecchiano e che dura tuttora. 
 
 
 




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