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L'articolo di oggi non poteva non far riferimento alla festa del SS. Crocifisso che Pontasserchio si appresta a celebrare, il 28 aprile.Da quella ricorrenza è nata la Fiera del 28, che poi da diversi anni si è trasformata in Agrifiera, pronta ad essere inaugurata il 19 aprile per aprire i battenti sabato 20.La vicenda che viene narrata, con il riferimento al miracolo del SS. Crocifisso, riguarda la diatriba sorta tra parroci per il possesso di una campana alla fine del '700, originata dalla "dismissione" delle due vecchie chiese di Vecchializia. 

. . . l'area di centro. Vero!
Succede quando alla .....
. . . ipotetica, assurda e illogica. L'unica cosa .....
. . . leggo:
Bardi (c. d) 56% e rotti
Marrese ( c. .....
. . . vuoi il solito disegnino?
IV con i 5* non ci .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Di Gavia
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di Michelle Rose Reardon a cura di Giampiero Mazzini
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di Mollica's
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Di Siciliainprogress
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Se oltre a combattere
quotidianamente
Con mille problematiche
legate alla salute
al reddito
al lavoro
alla burocrazia
al ladrocinio
alla frode
alla .....
Oggi è venuto a mancare all’affetto di tutti coloro che lo conoscevano Renato Moncini, disegnatore della Nasa , pittore e artista per passione. .....
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Dai ponti al mare: SOTTO I PONTI E SOPRA I PONTI.

19/9/2021 - 17:10


Così era diviso il Serchio secondo la topografia di mio padre, riferendosi ai ponti di Migliarino (quello di muro dell'Aurelia e quello di ferro della ferrovia) e con l'intendimento di voler dire "sotto" per a mare e "sopra" per a monte. Così, per indicare alcuni punti precisi della riva, si riferiva alla morfologia del luogo oppure agli abitanti delle case in golena o ad avvenimenti ivi successi.
C'era il porto del Cinacchino, proprio di fronte alla chiesa, dove la famiglia Cinacchi legava i barchetti della rena che veniva estratta a mano dal fondo del fiume con lunghe pale piatte e forate, portata a riva ed ammassata in cumuli e poi venduta ai muratori che la pagavano un tanto a corbello. Andando verso il mare si trovava "dal Bobo", "da Mario di Pipetta", "il Camposanto", "all'isola", "nel motaio", "al puntone". Questo sulla riva di Migliarino mentre di fronte c'era "il Baldacci", "le vigne", "la piaggia", "il Dal Borgo", "il Marmo", "la pedata dei cammelli".

A proposito di questi due ultimi nomi, si pensa che il primo sia derivato dal porto dove traversavano o attraccavano i carichi di marmo provenienti da Carrara e usati per la costruzione dei monumenti della Piazza dei Miracoli. Il secondo era dovuto alla continua presenza di quegli esotici animali che avevano importati un re d'Italia in quei boschi usati per le reali cacce e che usavano sempre la stessa via per recarsi a bere le "chiare acque del Serchio".
Non bastava però conoscere le rive, ma più serviva conoscere il fondo del fiume, se vi erano secche o buche, pietre o sabbia, erba o alberi sommersi e, piano piano, provando e riprovando, sbagliando e rivedendo, arrivai a conoscere ogni metro di fondo dalla Piaggia di Nodica a Bocca di Serchio, tredici chilometri d'acqua.
Il Serchio, come ogni altro buon fiume che si rispetti, arriva al mare con una bella foce ad estuario. Nato dalla Fossa di Dalli, una località dell'alta Garfagnana, dopo una corsa sinuosa di un centinaio di chilometri e una dirittura finale di tre, esplode nella magnificenza dei grandi fiumi dopo essere stato girato e rigirato in tortuose curve, infossato in gole e canaloni. Un tratto, a metà strada fra i ponti e il mare, è chiamato appunto Oncino per la piegatura ad U che fa un'ansa e così pure la vicina Isola deve il suo nome al fatto che un vecchio percorso del Serchio lasciò una bassata tale che i terreni, trovatisi fra il vecchio e il nuovo corso, sembrava fossero un'isola. Un locale podere dei contadini del duca Salviati è ancora chiamato "Serchio vecchio".
Ritornando un passo indietro nel discorso, equivalente a cinque chilometri di Serchio, si trova la prima curva "del Marmo" dove, chi partiva remando dai ponti, dopo l'ennesima volta che si era girato indietro per vedere se quella sagoma nera di ferro era sempre visibile, non avendo più visione di manufatti finalmente diceva che il viaggio era cominciato addentrandosi nella parte più selvaggia del corso del fiume.
Al ritorno invece quella striscia nera che tremava tutte le volte che un treno la percorreva, era come l'oasi per un assetato per chi arrivava dal mare a remi sfiatato, e le remate si facevano più fitte e potenti vedendo "casa".
Dopo l'Oncino ed altre due curve, il fiume, dai quaranta ai cinquanta metri di larghezza, passa agli ottanta, cento al Puntone, fino alla massima dei duecento dal retone di Argante al mare, in un corridoio dritto che, al contrario del ponte, faceva dire, a chi andava al mare in barca, "siamo arrivati” nel vedere quella sottile striscia gialla della nostra spiaggia, una lingua di sabbia che sembrava chiudere all'orizzonte il Serchio in un lunghissimo lago. Qui è veramente fiume, grosso, panciuto, lento, ricco, ma disgraziatamente prossimo a morire. Non so se preferirlo cosi grande da essere menzionato nei libri di geografia, o piccolo, vispo, allegro, ruscellante; ma forse lo amo, ed è bello, perché nel suo corso riunisce tutti gli aspetti e ti può offrire tutto, come i suoi fratelli maggiori e più famosi.
 Anche gite su battelli fluviali. Queste furono tentate dai metatesi che, un anno, provarono a lanciare un servizio estivo di corse dai ponti al mare.
La barca era bella grossa, con un motore diesel da trattore, aveva il nome esotico di Suzuki e fece il suo primo viaggio con un carico di amici e parenti, una gran mangiata sul mare e il ritorno con l'autostop perché, mentre i naviganti erano a fare il bagno in mare, il barcone affondò in Serchio. Ci rimase due anni sulla spiaggia prima che le mareggiate e i torredellaghesi lo demolissero e servì da trampolino per i tuffi di noi ragazzi ed anche  Marino lo usò una volta.
C'era il vizio fra di noi di tirarsi manate di rena bagnata sia nell'acqua, sia quando si faceva merenda od eravamo sotto le baracche e quella volta qualche scemo tirò una renata a Marino che si stava preparando a buttarsi in acqua dal tetto della cabina della Suzuki. Il ragazzo, preso in piena faccia, si tuffò dalla parte della spiaggia invece che nell'acqua, ma ebbe solo tanta paura, più paura che male.
Nessuno ha mai subito danni a Bocca di Serchio.
Qualche rara puntura di tracina si curava subito se intorno c'era un bambino piccino che non si vergognava a pisciare sulla parte offesa, dato che i vecchi pescatori avevano scoperto che l'orina era la sola medicina per il dolore ed il gonfiore delle spine di quei micidiali pescetti che reagivano pungendo quella montagna di pelle bianca quando questa cercava di calpestarli.
Non era proprio la pipì che curava, era il calore di essa, ma poco importa.
Se le tracine la facevano franca, non lo era per le meduse che facevano gonfiare qualche coscia o braccio di chi aveva la sventura di imbattercisi e sbatterci nuotando in mare. Questi poveri, viscidi, gelatinosi animali pagavano cara la loro intromissione nelle nostre acque e non ci sarebbe stato bisogno della scusa della ritorsione alle loro bruciature per usarli a guisa di ombrelli, messi impalati su spezzoni di canne a struggersi al sole come enormi immangiabili gelati di mare.
Le vespe, che a decine si accalcavano sulla buccia di popone o sulla pera troppo matura gettata a fianco della baracca, qualche volta si facevano intraprendenti ed entravano nella capanna nel momento del pranzo provocando uno smanacchìo di paura. Qualcuno allora si prendeva una puntura forzata dall'animaletto che non ne aveva neanche l'intenzione, ma una lama di coltello premuta contro il punto del pinzotto, calmava in fretta il bruciore.
Non c'erano a Bocca di Serchio ferite da taglio, contusioni da cadute, traumi vari, se si eccettua un po' di rena negli occhi.
Solo Sciatonil si fece male al collo quando si tuffò dallo zeppaino per fare un tuffo scemo e la piroetta all'indietro lo riportò sul battito dove c'era un centimetro e mezzo d'acqua.

 

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