none_o

Nei giorni 26-27-28 aprile verranno presentati manufatti in seta dipinta: Kimoni, stole e opere pittoriche tutte legate a temi pucciniani , alcune già esposte alla Fondazione Puccini Festival.Lo storico Caffè di Simo, un luogo  iconico nel cuore  di Lucca  in via Fillungo riapre, per tre mesi, dopo una decennale  chiusura, nel fine settimana per ospitare eventi, conferenze, incontri per il Centenario  di Puccini. 

. . . per questo neanche alle 5. 50 prima di colazione. .....
. . . alle nove dopocena non ciai (c'hai) da far altro? .....
. . . il plenipotenziario di Fi, Tajani, ha presentato .....
Ieri 19 Marzo ci ha lasciato un Vs. concittadino Renato .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
Il sole nutre
col suo splendore
il croco il bucaneve
la margherita. . .
Il cuore
cancella il dolore
se alimentato dall'amore
essenza della vita
Quando .....
Oggi è venuto a mancare all’affetto di tutti coloro che lo conoscevano Renato Moncini, disegnatore della Nasa , pittore e artista per passione. .....
di Marco Jambe Muroni Sardine d'Italia
“Ad Auschwitz superai la selezione per tre volte.

5/11/2021 - 13:14

Ad Auschwitz superai la selezione per tre volte

.

Quando ci chiamavano sapevamo che era per decidere se eravamo ancora utili e potevamo andare avanti, o se eravamo vecchi pezzi irrecuperabili. Da buttare. Era un momento terribile. Bastava un cenno ed eri salvo, un altro ti condannava.

Dovevamo metterci in fila, nude, passare davanti a due SS e a un medico nazista. Ci aprivano la bocca, ci esaminavano in ogni angolo del corpo per vedere se potevamo ancora lavorare. Chi era troppo stanca o troppo magra, o ferita, veniva eliminata.

Bastavano pochi secondi agli aguzzini per capire se era meglio farci morire o farci vivere. Io vedevo le altre, orrendi scheletri impauriti, e sapevo di essere come loro. Gli ufficiali e i medici erano sempre eleganti, impeccabili e tirati a lucido, in pace con la loro coscienza. Era sufficiente un cenno del capo degli aguzzini, che voleva dire “avanti”, ed eri salva. Io pensavo solo a questo quando ero lì, a quel cenno.

Ero felice quando arrivava, perché avevo tredici anni, poi quattordici. Volevo vivere. Ricordo la prima selezione. Dopo avermi analizzata il medico notò una cicatrice. «Forse mi manderà a morte per questa…» pensai e mi venne il panico. Lui mi chiese di dove fossi e io con un filo di voce ma, cercando di restare calma, risposi che ero italiana. Trattenevo il respiro. Dopo aver riso, insieme agli altri, del medico italiano che mi aveva fatto quella orrenda cicatrice, il dottore nazista mi fece cenno di andare avanti. Significava che avevo passato la selezione!

Ero viva, viva, viva! Ero così felice di poter tornare nel campo che tutto mi sembrava più facile. Poi vidi Janine. Era una ragazza francese, erano mesi che lavoravamo una accanto all’altra nella fabbrica di munizioni. Janine era addetta alla macchina che tagliava l’acciaio. Qualche giorno prima quella maledetta macchina le aveva tranciato le prime falangi di due dita. Lei andò davanti agli aguzzini, nuda, cercando di nascondere la sua mutilazione. Ma quelli le videro subito le dita ferite e presero il suo numero tatuato sul corpo nudo. Voleva dire che la mandavano a morire. Janine non sarebbe tornata nel campo.

Janine non era un’estranea per me, la vedevo tutti i giorni, avevamo scambiato qualche frase, ci sorridevamo per salutarci. Eppure non le dissi niente. Non mi voltai quando la portarono via. Non le dissi addio. Avevo paura di uscire dall’invisibilità nella quale mi nascondevo, feci finta di niente e ricominciai a mettere una gamba dietro l’altra e camminare, pur di vivere. Racconto sempre la storia di Janine. È un rimorso che mi porto dentro. Il rimorso di non aver avuto il coraggio di dirle addio. Di farle sentire, in quel momento che Janine stava andando a morire, che la sua vita era importante per me. Che noi non eravamo come gli aguzzini ma ci sentivamo, ancora e nonostante tutto, capaci di amare. Invece non lo feci.

Il rimorso non mi diede pace per tanto, tanto tempo. Sapevo che nel momento in cui non avevo avuto il coraggio di dire addio a Janine, avevano vinto loro, i nostri aguzzini, perché ci avevano privati della nostra umanità e della pietà verso un altro essere umano. Era questa la loro vittoria, era questo il loro obiettivo: annientare la nostra umanità.”

Queste righe sono tratte da "Fino a quando la mia stella brillerà", di Liliana Segre.

In questi giorni la Segre ha rivelato che ogni giorno riceve circa 200 messaggi d'odio, razzisti, misogini, offensivi.
Ogni giorno 200 persone si svegliano e di loro iniziativa scrivono insulti a una donna di 89 anni che ha come colpa quella di essere sopravvissuta ai campi di sterminio nazisti.
Lei, che fu imprigionata quando aveva 13 anni e che perse ogni membro della sua famiglia nei lager.
Cosa scrivono a Liliana Segre queste persone?
Scrivono cose come questa:
Questa ebrea di me**a si chiama Liliana Segre, chiedetevi che ca**o a fatto (rigorosamente senza h) per diventare senatrice a vita stipendiata da noi ed è pro invasione? Hitler non ai (ancora senza h) fatto bene il tuo mestiere".


Nel frattempo Alessandra Mussolini propone di istituire il reato di Ducefobia, per perseguire penalmente chi insulta o deride suo nonno.





+  INSERISCI IL TUO COMMENTO
Nome:

Minimo 3 - Massimo 50 caratteri
EMail:

Minimo 0 - Massimo 50 caratteri
Titolo:

Minimo 3 - Massimo 50 caratteri
Testo:

Minimo 5 - Massimo 10000 caratteri