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I Promessi Sposi nella Vecchiano dell’800
di Franco Gabbani e Sandro Petri

2/1/2022 - 11:46

L'ultimo articolo pubblicato in questo excursus storico delle vicende vecchianesi dell'800 ha esaminato le regole amministrative delle fattorie Salviati, che in realtà governavano la vita quotidiana delle famiglie.
Il grande interesse suscitato, con oltre 900 letture, ci ha fatto considerare la possibilità di approfondire alcuni aspetti legati al matrimonio, una sorta di inserto, prima di riprendere il flusso delle vicende dei Salviati.
Spero che lo troviate interessante come il precedente.
La foto, sempre dell'archivio privato di Umberto Micheletti, rappresenta le donne che lavoravano a Migliarino, le famose pinolaie.

Sandro Petri


Verba de Futuro e Nihil Transeat:
I Promessi Sposi nella Vecchiano dell’800
di Franco Gabbani 


Nel precedente articolo mi sono soffermato sul matrimonio dei contadini delle fattorie Salviati nell’800 e sull’obbligo, stabilito in un articolo del contratto di colonia, che il richiedente potesse contrarlo solamente dopo avere ottenuto il permesso del padrone.
Per l’unione coniugale c’erano, però, un’altra serie di adempimenti alla cui osservanza erano tenuti tutti i giovani della comunità che intendevano contrarre matrimonio, compresi ovviamente, anche gli appartenenti a famiglie coloniche Salviati.
Vorrei soffermarmi sul tema perché, a mio avviso, rappresenta uno dei tasselli fondamentali per la ricostruzione di quello che era uno degli eventi più importanti per la vita dei singoli e della società.
A questo scopo si rende necessario allargare per una volta il nostro ambito di osservazione per cogliere vicende, regolamenti, usanze e personaggi che segnarono anche il nostro territorio durante l’800 e che ci permetteranno poi di comprendere meglio il rapporto tra i Salviati e le nostre comunità.

E’ utile ricordare come i casi che maggiormente lasciano traccia di sé nelle carte siano quelli più problematici e ‘difficili’: non si deve dunque credere che le vicende delle quali parleremo siano rappresentative di come andavano abitualmente le cose in quei tempi.
Ma anche questi episodi possono aiutarci a capire meglio almeno alcuni tratti significativi dell’epoca.

Il matrimonio è del resto materia complessa da trattare.
E’ opportuno sottolineare che il matrimonio, in quanto sacramento regolato da norme precise, fu considerato, fin dai primi anni del ‘500, anche uno strumento necessario a fronteggiare il disordine sociale e il disordine sessuale che rendevano difficile il controllo civile e religioso della popolazione.
Divenne perciò obbligatoria, dopo il Concilio di Trento (tenutosi tra il 1545 e il 1563), la pubblicità del matrimonio, la presenza del parroco e dei testimoni, la celebrazione in chiesa.
Tutti i dati relativi alla celebrazione venivano annotati nel registro dei matrimoni tenuto dal parroco e davano legittimità alla famiglia appena formata.1

Uno dei momenti più importanti del percorso matrimoniale era lo scambio della promessa, in cui la coppia (ma più frequentemente lo sposo e il padre della sposa) si prometteva di prendersi successivamente per marito e moglie: si parla perciò di VERBA DE FUTURO.
La promessa era anche il momento in cui si mettevano per scritto gli scambi patrimoniali fra le due famiglie.
Dalla promessa prendeva avvio il rapporto di coppia ed era il diritto canonico che riconosceva il suo carattere vincolante: vincolo che poteva essere sciolto solo su autorizzazione dell’autorità ecclesiastica.
Va aggiunto, inoltre, che i rapporti sessuali, frequentemente, avvenivano dopo la promessa: spettò al parroco educare il popolo spiegando la differenza fra promessa e matrimonio e il conseguente divieto di congiungersi carnalmente quando l’unione non era stata ancora sancita.

La chiesa, dopo il Concilio di Trento, controllava la società più da vicino e poteva intentare un processo contro persone che non rispettavano le norme stabilite.
E’ proprio quello che accadde a Salvestro e Caterina, due coniugi di Livorno. Il processo ebbe inizio quando Salvestro rivelò, in confessione, al suo parroco di avere iniziato a convivere con Caterina, sua promessa sposa per verba de futuro, senza aver atteso la cerimonia in chiesa.
In precedenza il parroco aveva già rifiutato di celebrare il matrimonio perché non erano stati pubblicati i bandi nel paese di origine di Caterina; quindi i due ragazzi avevano deciso di sposarsi da “soli”.
Dagli atti del processo  è evidente che i due giovani non avevano ben chiara la distinzione fra sponsali e matrimonio (…) Il vincolo fra Salvestro e Caterina fu annullato e il Tribunale inflisse ai due giovani pene molto severe, sebbene non  comuni in altri casi  simili. Salvestro  fu  condannato a due anni di lavori forzati nella Maremma. Caterina a tre anni di esilio dalla diocesi e all’umiliazione pubblica durante la messa domenicale2 .

IL NIHIL TRANSEAT
Molte furono le cause per ottenere l’adempimento, più raramente lo scioglimento, della promessa di matrimonio.
Erano soprattutto le donne che si rivolgevano per questo al foro ecclesiastico, ma spesso dovevano accontentarsi di una somma di denaro da parte del presunto sposo che si ostinava a rifiutare il matrimonio.
Questo denaro rappresentava, per la mancata sposa, una dote che le avrebbe consentito di trovare un nuovo promesso sposo.
La promessa era un vero e proprio contratto (molto articolato per la parte che trattava della dote), stipulato, di frequente, in presenza di un notaio, sottoscritto dagli sposi, dai genitori degli sposi e dai testimoni che assicuravano il rispetto degli accordi nuziali.
La dote rappresentava, quindi, il fulcro della promessa per il futuro vincolo matrimoniale, ma su questo torneremo più avanti.
Soffermiamoci  per prima cosa sulla promessa di matrimonio e sulle possibili conseguenze che potevano derivare da essa non solo se era stata formulata per scritto, ma, anche, se era stata espressa solo verbalmente.
Nei documenti che leggeremo capiterà di imbattersi in un’espressione: NIHIL TRANSEAT.
Questa espressione fa riferimento a un impedimento, una opposizione alle nozze della persona contro la quale era stato interposto e che potrà sposarsi solamente dopo la revoca del Nihil Transeat da parte della Curia arcivescovile.

Ad esempio, all’Archivio Storico Diocesano di Pisa, nel registro Atti Civili N° 424, da 1792 a 1806, con il numero d’ordine 22, risulta che “alla Curia Archiepiscopale di Pisa per parte di una certa M.a Rosa di Pier Giuseppe S. della cura, e popolo di S. Alessandro di Vecchiano sia stato interposto il Nihil Transeat, e Fedi di stato libero per il matrimonio che volesse contrarre Francesco di Antonio P. della d.a cura e la sud.a M.a Rosa S..”.

M.a Rosa, a conferma della promessa matrimoniale da parte di Francesco, presentò due testimoni: Francesco Benassi e Vincenzo Allegrini. I due vennero interrogati e dichiararono di aver sentito separatamente, tanto l’uno che l’altro, parlare di matrimonio e aggiunsero che, quando erano a lavorare di muratore dai P. sentirono dire da Francesco P. “che la voleva per sua sposa”.

Francesco rifiutò il matrimonio, la citazione in giudizio si concluse con la revoca del nihil transeat interposto contro di lui e con la dichiarazione di M.a Rosa in cui si legge: “confesso di esser pienamente quietanzata di tutte, e singole pretenzioni da me promosse per mezzo della Curia Archiepiscopale di Pisa contro Francesco di Antonio P. respetto al nihil transeat”.
La Curia Archiepiscopale riconobbe, infatti, la validità della richiesta di M.a Rosa e Francesco fu condannato a versarle la somma di Lire centoventi che, probabilmente, furono utilizzate da M.a Rosa come dote per la ricerca di un nuovo promesso sposo.
Ritroveremo Francesco, e le vicende che lo interessarono, sia da vivo, sia dopo la morte  quando tratteremo del “matrimonio con dispensa”.


In certi casi il Nihil Transeat rispetto ad un matrimonio poteva anche essere interposto da una donna che accusava un uomo di stupro e intendeva impedirgli di contrarre matrimonio con altra donna.
Nella Cartella n.3 “Cause matrimoniali, separazioni, nullità”, dell’Archivio Storico Diocesano di Pisa, c’è la documentazione relativa  alla  causa M. – L.

A promuoverla è Romualdo di Francesco M., di condizione bracciante domiciliato a Malaventre, contro Agata di Salvatore L., di condizione bracciante domiciliata ad Arbavola, che, il 28 Luglio 1836, interpose il nihil transeat contro il suddetto Romualdo.
Agata aveva sostenuto davanti al Tribunale Criminale di essere stata stuprata da Romualdo, il quale, essendo già stato pienamente assolto, chiedeva la revoca del nihil transeat intimando ad Agata di giustificare le cause per le quali lo aveva interposto.
Fecero seguito le solite dichiarazioni dei testimoni delle due parti dalle quali risultò che Agata “teneva vita disonesta e scandalosa”, “aveva avuto più ganzi” ed era “notorio nel paese che il padre della L. teneva mano alle proprie figlie”. La circostanza pare confermata in una lettera del sacerdote Giò. Battista Coli di S. Alessandro di Vecchiano, dove si  legge:

                                                                   Ill.mo e Rev.mo Monsignore

In questa mattina è venuto a trovarmi Giovanni di Salvatore L. di Malaventre mi ha asserito che Romualdo M. ha ingravidato una sua sorella, questo Romualdo aveva fissato di contrarre il matrimonio con Caterina S. di questa Pieve nel mercoledì prossimo.
Io non poteva ricusare di assistere al matrimonio stante l’aver ottenuto da codesta curia la dispensa dalle tre denungie dell’attestato di Stato libero avuto dal Sig. Curato di Malaventre, come tutto esiste nella curia.
Desidero di sapere da V. S. Ill.ma e rev.ma se debba far sospendere il matrimonio, molto più che in questa mattina ha dato la comparsa in detto Tribunale Criminale il detto L.
Colgo questa circostanza per protestarle la mia servitù, e pieno della più profonda stima ho il bene di segnarmi.3

                                                   Obbl.mo servitore

                                                Prete Gio.Battista Coli

Vecchiano 25 Luglio 1836

Il ricorso al nihil transeat, presso la Curia Archiepiscopale, veniva dunque promosso anche per indurre l’altra parte al matrimonio, sia nel caso che lo stupro fosse vero o inventato. In certi casi poteva anche accadere che la donna si fingesse deflorata e incolpasse della deflorazione o della gravidanza un innocente e non il vero autore, per questo si raccomandava ai giudici di essere particolarmente attenti e vigili nelle querele per stupro. Ma, per la stragrande maggioranza dei casi le denunce per stupro erano conseguenza di un vero e proprio rapporto sessuale violento del quale la donna era stata vittima.


 MATRIMONI ANNULLATI E MATRIMONI CON DISPENSA

Vi sono poi i casi in cui si chiede che venga riconosciuta la nullità di un matrimonio o, al contrario, di avere una dispensa per poterlo celebrare.

Quanto al primo caso, leggiamo ad esempio che:

 “la Sig.ra Luisa … con scrittura esibita nel dì otto Aprile Mille Ottocento Ventisei domanda la nullità del matrimonio da essa contratto con il Signore Virgilio … nel Ventisei Aprile Mille Ottocento Venticinque sul fondamento della naturale e permanente impotenza del detto Signore Virgilio … alla consumazione del matrimonio”.


Il matrimonio venne annullato.4

Quanto al secondo caso, abbiamo invece una richiesta di dispensa dall’impedimento al matrimonio per affinità di primo grado. E’ Giò Battista Coli, Pievano di Vecchiano, che nel Marzo del 1823 scrive al Cardinale Penitenziere di Roma:

Giuliano del fu Antonio P. e Francesca B., vedova di Francesco P. (Francesco l’avevamo già incontrato perché contro di lui era stato interposto il nihil transeat da parte di Maria Rosa S.) di lui fratello germano, dopo l’accaduta morte di questo che seguì nel Novembre del 1819 hanno coabitato, e convissuto insieme in una carnale corrispondenza che per qualche tempo è rimasta occulta, e nascosta sotto il titolo di Parentela, e di rapporti di Famiglia, resasi ora pubblica alla maggior parte del popolo di Vecchiano mia diogesi, per aver preso questa corrispondenza il carattere di scandaloso, e immorale. Esisteva tale corrispondenza anche quando viveva Francesco P., talchè in quel tempo, per quanto asseriscono i postulanti nacquero due figli, del quale almeno di uno è ignota la vera paternità.
Tutti i mezzi di persuasione Evangelica sono stati posti in opera dal loro Parroco, ma conviene confessare con tutto il dispiacere, che non hanno sortito verun utile effetto (…) sembrami che per provvedere alle loro coscienze e togliere sì grave scandalo nel popolo, che non piccola amarezza mi apporta, non siavi altro mezzo che accordar loro la dispensa dall’impedimento dal primo grado di affinità da cui son vincolati.
Imploro pertanto da V. E. E.ma questa Grazia nell’atto, che profondamente al bacio della Sacra Porpora pieno di venerazione e rispetto passo a confermarmi.

Nel 1827 Giuliano e Francesca vengono dispensati dall’impedimento derivante dal fatto che Francesca era vedova di Francesco P. e, quindi, cognata di Giuliano suo futuro consorte5 . 


LA DOTE

L’altra componente cruciale nel processo matrimoniale era la dote: anche se esigua era elemento indispensabile e segno della rispettabilità della famiglia. Era ritenuto disonore maritare una figlia senza dote e la famiglia, molto spesso, doveva affrontare grosse privazioni per dotare una figlia, specialmente quando da maritare ce ne erano più di una.
Ancora nell’800 non era previsto nel mondo femminile il modello della donna nubile e, la mancanza della dote, poteva perfino spingerla alla prostituzione per procurarsela.
Una pratica frequente, in mancanza di dote, era poi il ricorso al concubinato che, però, non garantiva diritti né per la donna né per i suoi figli: i figli nati da questa situazione erano spesso destinati all’abbandono, ad ingrossare le fila dei gettatelli6 .
Risulta evidente che il problema della dote, nella società ottocentesca era ancora molto sentito e diverse erano le istituzioni che avevano tra i loro fini la costituzione di un reddito dotale per chi non lo aveva, o che addirittura erano sorte a questo scopo.

Infatti quando la dote della donna (tanto per matrimonio, quanto per monacazione) non proveniva dalla famiglia, poteva essere provvista dalle Società di Mutuo Soccorso, dalle Confraternite di Carità, dai Lasciti Testamentari e, in Toscana, per concessione del Granduca.
Alla fine del ‘700, Pietro Leopoldo, emanò un Regolamento per le doti ove si leggeva “Sono abolite le doti per la monacazione e dovranno essere dirette solo al matrimonio”.
Egli inoltre ribadiva la frequenza della dottrina cristiana delle aspiranti alla dote, stabiliva dei criteri di selezione, come l’onestà, la povertà, la condizione di orfana, fissava gli anni di domicilio della fanciulla e della sua famiglia nel luogo per le cui doti concorreva7 .


DENARO E CORREDO.

Abbiamo avuto modo di constatare come la promessa di matrimonio (verba de futuro) non fosse solamente l’atto con cui i due giovani assumevano l’impegno di sposarsi, ma era anche uno strumento per trattare della dote.
Nella scritta, infatti, la dote era trattata in modo molto articolato, essa era costituita da una parte in denaro e da un’altra parte in corredo.
Di seguito è riportato un atto relativo alla costituzione di dote e corredo da parte della famiglia della promessa sposa:

                Al Nome di Dio Amen

                A dì 7 Agosto Mille ottocento quattordici in Pappiana

Essendo che fino il dì sette Agosto Anno Corente Mille Ottocento quattordici seguissaro gli sponsali per verba de Futuro fra il Giovine Ferdinando del fu Michelangiolo Mugnaini della Cura di Santa Maria Assunta di Pappiana, comune di S. Giuliano, Dipartimento del Mediterraneo, e la Fanciulla Maria Anna Vittoria Carolina di Luca Giurlani della Cura di S. Bartolomeo di Putignano, Comunità di Pisa, Dipartimento suddetto, per doversi contrarre il Matrimonio per verba de presenti in faccia Ecclesie.

E siccome il matrimonio porta seco delle Spese per sostenere gli oneri del matrimonio inseparabilmente annessi, e specialmente per la sopravvenienza dei figli: quindi Luca Giurlani Padre della Fanciulla sudd.a gli costituisce per dote, e giusta dote, la somma, e quantità di Scudi Cento Fiorentini, qual somma gli sborsa nell’atto della presente Scritta, e più il corredo con Letto, e Veste Sposalizia, da farsi di tutto questo un inventario a parte: E la detta Somma intende, e vuole detto Luca Giurlani Padre, che sia assegnata a detta sua figlia, o chi per essa possa concorrere cogl’altri eredi all’addizione della medesima a suo Tempo. Il Medesimo Ferdinando Mugnaini sposo suddetto nell’atto che dichiara aver ricevuto la Somma, e Corredo suddetto non intende e non vuole espressamente obbligarsi al mantenimento di esso corredo nel caso che dovesse venire alla restituzione di questo, ma soltanto si obbliga a restituire la Dote, e quel Corredo che sarà in essere all’Epoca che dovesse farsi la Suddetta Restituzione: e così espressamente si protesta.

E per la piena osservanza di queste cose Obbligarono, Obbligano le proprie Persone, Effetti, e Beni, e Beni dei suoi Eredi presenti, e Futuri senza lite né veruna eccezione.

Io Luca Giurlani accetto quanto sopra si dice per condizione

Io Ferdinando Mugnaini confesso aver ricevuto la detta Somma a titolo di Dote e mi obbligo … 8





1 Si veda: M. Fubini Leuzzi, Condurre a onore. Famiglia, matrimonio e assistenza dotale a Firenze in Età Moderna. Leo S. Olschki, Firenze, 1999, pp. 115 – 117.

2 B. Albani: Matrimoni e Società a Roma nel primo Seicento attraverso i processi matrimoniali. Università degli Studi di Roma. Facoltà di Scienze Umane. Tesi di Laurea, a.a. 2003 – 2004, pag. 18.

3 A. S. D. P. - Documenti riguardanti le Chiese della Diocesi. Filza n. 4 -  Doc. n. 50.

4 [4] A. S. D. P.: Cartella N. 3, Cause matrimoniali, separazioni, nullità.

5 A. S. D. P..: Atti matrimoniali con dispensa Apostolica da 1827 a tutto 1828. Registro N. 22, numero d’ordine 27.

6 Si veda M. Fubini Leuzzi, Condurre a onore …, cit, passim.

7 Traggo citazione e informazioni da M. Fubini Leuzzi, Condurre a onore …, cit.,pp. 235 – 239.

8 Archivio Storico Diocesano di Pisa, Atti Vari, Registro n. 8.

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