none_o


L'articolo di oggi non poteva non far riferimento alla festa del SS. Crocifisso che Pontasserchio si appresta a celebrare, il 28 aprile.Da quella ricorrenza è nata la Fiera del 28, che poi da diversi anni si è trasformata in Agrifiera, pronta ad essere inaugurata il 19 aprile per aprire i battenti sabato 20.La vicenda che viene narrata, con il riferimento al miracolo del SS. Crocifisso, riguarda la diatriba sorta tra parroci per il possesso di una campana alla fine del '700, originata dalla "dismissione" delle due vecchie chiese di Vecchializia. 

. . . non discuto. Voi riformisti fate il vostro cammino .....
. . . l'area di centro. Vero!
Succede quando alla .....
. . . ipotetica, assurda e illogica. L'unica cosa .....
. . . leggo:
Bardi (c. d) 56% e rotti
Marrese ( c. .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
Di Gavia
none_a
di Michelle Rose Reardon a cura di Giampiero Mazzini
none_a
di Mollica's
none_a
Di Siciliainprogress
none_a
Se oltre a combattere
quotidianamente
Con mille problematiche
legate alla salute
al reddito
al lavoro
alla burocrazia
al ladrocinio
alla frode
alla .....
Oggi è venuto a mancare all’affetto di tutti coloro che lo conoscevano Renato Moncini, disegnatore della Nasa , pittore e artista per passione. .....
Le Lavandaie.
Lavare i panni al fiume.

26/3/2022 - 19:14

 

Quando il fiume rallenta, fa una curva e ristagna un po’ lì, a quell’acqua fredda e pulita un tempo alcune donne andavano a lavare i panni.
Quanto tempo fa? Diciamo cento anni, ma forse anche un po’ di meno.
Ricorro ai racconti di mia madre nata a Pisa nel 1904 che ci parlava di quando era piccola e la sua famiglia era molto numerosa e non troppo povera. I panni, i tanti panni di tutta quella gente non venivano lavati in casa ma affidati alle lavandaie, donne che venivano in città dai paesini limitrofi qualche volta a piedi, qualche volta sul barroccio di un conoscente. Venivano una volta alla settimana a prendere nelle case i panni sporchi e a riportare indietro quelli puliti.
Tutto veniva raccolto in una o più tovaglie le cui “cocche” annodate le trasformavano in enormi fagotti da mettere sulla testa o sotto braccio per venir più facilmente trasportati.
“I panni sporchi si lavano in famiglia” recita metaforicamente un vecchio detto ma forse si parla di quelli proprio molto sporchi di un sudicio intimo, personale che il pudore impedisce di mandare in giro. Per il resto i panni sporchi li lavavano quelle donne al fiume.
Allora l’acqua non era ancora piena di scorie industriali, veleni colorati e chimica come invece è ora. D’inverno dopo qualche abbondante pioggia l’acqua poteva essere terrosa ma la terra si sa che come viene se ne va senza troppo macchiare.
Così le donne andavano alle pozze e in ginocchio tra qualche pietra cominciavano a lavare: si bagna, si insapona, si sfrega, si torce. Si battono quelle stoffe. Un lavoro faticoso con le mani che si “strinano” , con le ginocchia che a forza di stare nell’umido fanno male.
 Quella vita era dura come del resto lo era quella di tante altre donne.
Ma uno degli aspetti felici di quel pesante mestiere era la socializzazione perché il lavoro era individuale ma non solitario. Nonostante la fatica, o proprio per esorcizzarla, quelle donne trovavano piacere a parlare tra di loro, a scambiarsi notizie e a fare anche qualche inevitabile pettegolezzo. Qualche volta, specie col bel tempo, prendevano anche a cantare.
Il sapone allora era un bene prezioso da usare con parsimonia e maestria, e se il pezzo del sapone scivolava di mano lo si rincorreva fino dentro al fiume.
Al fiume le lavandaie andavano o a lavare o a risciacquare il bucato fatto nelle case. L’acqua bollente buttata sulla cenere del camino messa in un colino fitto fitto diventava il “ranno” un ottimo detersivo per i panni più robusti.
E ora nella conca panni, acqua bollente, ranno e un bastone a girare tutta quella roba. Ma nelle case non c’era tanta acqua per risciacquare quei panni che venivano portati al fiume, all’acqua corrente finché a forza di sbatterli non ne usciva acqua chiara segno che tutto quel lavoro era da considerarsi finito.
Poi la strada all’indietro, dal fiume a casa. Un cencio veniva arrotolato a formare una specie di caciottina, “il cercine” da mettere sulla parte alta della testa. Sopra in perfetto equilibrio la tinozza con dentro i panni puliti e bagnati. Lì vicino c’era sempre qualcuna pronta ad aiutare a mettere la pesante tinozza sulla testa dell’altra. Intorno a quelle acque un po’ tranquille le donne infatti si aiutavano l’un l’altra. I panni più lunghi come lenzuola o tovaglie venivano strizzate da due donne, una ad un capo una all’altro girando e torcendo fino a che non ne fosse uscita l’ultima goccia d’acqua. Le lenzuola, anzi, i” lenzoli”, a quei tempi erano pesantissimi fatti di cotone, di lino o di canapa molti ancora tessuti con i telai domestici di legno.
Poi è cambiato tutto.
Quelle donne di insudiciare, oggi si direbbe di “inquinare” l’acqua del fiume non se lo ponevano proprio come problema. L’acqua scorreva, se ne andava via verso il mare grande, grande, infinito fino all’America dove erano andati a cercare fortuna molti dai paesi vicini. E il sapone era fatto con ingredienti vegetali e grasso animale, tutte cose che il mare nel tempo aveva imparato ad accogliere e domare.
Ma quelle lenzuola pesanti e ingombranti non si cambiavano dai letti tutte le settimane come si usa fare oggi in molte case. Allora sull’igiene si avevano idee diverse- A noi oggi magari ci sembra che prima fossero più sudici di noi perché si cambiavano meno spesso e si lavavano denti e capelli meno di quanto facciamo ora noi, ma molti di loro si sarebbero rifiutati con senso di schifo di immergersi nel nostro bel Tirreno conciato nel modo in cui è oggi.
Così il fiume portava via quella schiumetta superficiale che un po’ più in là era già sparita.
E i panni puliti e asciugati tornavano in città nelle case da cui erano stati presi, alle volte col profumo di lavanda “lo spigo” messo a mazzetti sparsi tra i vari strati delle stoffe.

 Matilde Baroni
Concorso antichi mestieri editrice Carmignani 2015

Fonte: foto collezione privata u.m.
+  INSERISCI IL TUO COMMENTO
Nome:

Minimo 3 - Massimo 50 caratteri
EMail:

Minimo 0 - Massimo 50 caratteri
Titolo:

Minimo 3 - Massimo 50 caratteri
Testo:

Minimo 5 - Massimo 10000 caratteri

2/4/2022 - 15:42

AUTORE:
Lettore Pisano

Veramente interessante.
Un grazie a Matilde Baroni e alla Voce del Serchio per la pubblicazione di questi articoli che rappresentano la nostra storia. E' attraverso questi racconti che rivivono le figure del nostro passato e ci permettono, soprattutto, di farle conoscere alle nuove generazioni.