Con questo articolo termina la seconda serie di interventi di Franco Gabbani, attraverso i quali sono state esaminate e rivitalizzate storie e vicende del nostro territorio lungo tutto il secolo del 1800, spaziando tra fine '700 e inizi del '900 su accadimenti storici e vite di personaggi, che hanno inciso fortemente oppure sono state semplici testimonianze del vivere civile di quei tempi.
BELVE, SOLO BELVE.
(un reportage di Paolo Brera inviato di Repubblica)
Il ricordo di un’invasione è nel cestello della lavatrice, nell’armadietto degli attrezzi, sulla corteccia dell’albero in giardino.
Il ricordo di un’invasione esplode e ti uccide, se non sei attento a te. Mine antiuomo, granate, scatolette esplosive piene di chiodi, un’infinità di proiettili inesplosi.
La ritirata dei russi dalle regioni di Kiev e Chernihiv ha lasciato dietro di sé un labirinto di trappole mortali. Il ministero degli Interni ucraino sta diffondendo le fotografie di alcuni di questi ritrovamenti. Sono la testimonianza di una perfidia insensata, una voglia vile di uccidere nascondendo la mano, e di uccidere chiunque, tocchi a chi tocchi, soldato o bambino, nonno o madre di famiglia.
Ecco gli ordigni appesi a un albero, c’è un filo teso che li fa detonare se non ti accorgi di lui. Una granata nascosta dentro una scatola di plastica. Le automobili abbandonate prima della fuga, spiegano gli agenti che stanno lentamente sminando metro per metro le città che sono state occupate, sono un altro pericolo costante: gli ordigni sono stati piazzati in modo da esplodere quando il proprietario, tornato a casa, prova a vedere in che condizioni sono.
Il ministero ha diffuso un video con lo sminamento di una grossa mina nascosta in un pacco. La fantasia perversa di chi vuole uccidere dopo giorni, mesi e perfino anni un presunto nemico sconosciuto, non ha limiti. Le autorità ucraine hanno più volte ripetuto di aver trovato ordigni persino addosso ai cadaveri, per sorprendere i soccorritori uccidendo anche loro.