Il nuovo articolo di Franco Gabbani non riguarda un personaggio o un evento in particolare, ma esamina un aspetto sociale e lavorativo che, presente da molti secoli, ebbe grande sviluppo nell'800 ( fino all'inizio del '900), ma che fortunatamente terminò relativamente presto, grazie agli sviluppi economici e scientifici.
Si tratta del baliatico, un'attività spesso vista benevolmente, ma che è stata definita "calamità occupazionale"
COSA C’E’ ANCORA DA CAPIRE?
(da un articolo di Francesco Cundari)
In tanti ambigui discorsi sulla necessità della diplomazia e del compromesso sembra implicita l’idea che gli aggrediti abbiano sì diritto a difendersi, ma senza esagerare. Quali e quante città e villaggi abbiamo deciso che sono dunque sacrificabili?
Scriveva ieri sulla Stampa Anna Zafesova che dalle strade di Mosca è scomparso il cartello con l’indicazione per l’Hotel Ucraina, perché così non bisogna più chiamarlo; che dalle autorità è arrivata l’indicazione alla maggiore casa editrice specializzata in testi scolastici di nominare l’Ucraina il meno possibile nei manuali; che al posto di Ucraina, per le zone occupate, si torna a usare il nome di Novorossiya (Nuova Russia), da tempo caro ai separatisti; che deputati russi dicono che i territori ucraini occupati andranno a formare «il distretto federale della Crimea».
La domanda, per i teorici dell’estrema complessità della situazione e per tutti coloro che in questi due mesi hanno parlato senza mezzi termini di responsabilità della Nato, è semplicissima: cosa c’entra l’allargamento dell’alleanza atlantica con la scelta di cancellare il nome dell’Ucraina dai libri di scuola? Intenzioni e motivazioni degli aggressori sono sotto gli occhi di chiunque le voglia vedere. Gli orrori che ogni giorno di più emergono dalle zone occupate non lasciano spazio ad ambiguità. E invece le ambiguità si moltiplicano. E non mi riferisco solo alle modeste acrobazie verbali di Giuseppe Conte.
Tanti a sinistra continuano a formulare sottili distinguo, a ripetere che bisogna sì aiutare gli ucraini, ma bisogna farlo per spingerli a trattare e a trovare un compromesso, perché «l’Ucraina non deve diventare il terreno in cui si vuole battere la Russia», come ha ripetuto ieri Pier Luigi Bersani.
Ma come si possono fare questi discorsi dopo le atrocità di Bucha, dopo le fosse comuni di Mariupol, dopo aver visto intere città rase al suolo?Cosa significa, concretamente, dire che bisogna aiutare gli ucraini ma fino a un certo punto? Cosa significa dire che non bisogna pensare di sconfiggere la Russia? Quali e quante città e villaggi abbiamo deciso che sono dunque sacrificabili, che vanno consegnati nelle mani degli aguzzini di Bucha, quegli stessi macellai che Vladimir Putin non ha esitato a decorare pubblicamente, dando così un segnale inequivoco circa le sue intenzioni?
Cosa c’è ancora da capire?