Tornano, dopo la pausa estiva, i racconti storici di Franco Gabbani.
Un articolo, come per altri in precedenza, legato interamente alle vicende personali di una persona dell'epoca, una donna che ha vissuto intensamente una vita, ragionevolmente lunga, che potremmo definire di ribellione al ruolo che ai tempi si riconosceva alle donne, in aperta opposizione ai vincoli, alle scelte e al giudizio che la società di allora le riservava.
Il primo maggio è la festa dei lavoratori e delle lavoratrici.
Le lavoratrici che sono state purtroppo la sottocategoria dei lavoratori uomini. Pagate meno e di solito con un doppio lavoro, di cui uno gratuito. Quello esterno e quello di cura all'interno della propria casa. Affidata quasi esclusivamente a loro la gestione dei figli e degli anziani. A proposito di figli, che dovrebbero rappresentare una risorsa per la società dato che sono il suo futuro, prova ad essere una giovane donna ed una futura mamma. Scatta la mancata assunzione lavorativa o in alternativa quella con clausola di licenziamento prefirmato in caso di gravidanza, e per ultimo un certo mobbing se ti assenti per i figli. Poi qualcuno si arroga pure il diritto di decidere per te se non vuoi tenere un figlio. O perlomeno ci prova, incurante di una legge che le donne hanno conquistato palmo a palmo.
Molte battaglie sono state fatte, molti diritti conquistati... adesso si tratta di difenderli. Mamma ha incominciato a lavorare a 8 anni, come raccoglitrice di olive. La chiamavano la gobba perché era sempre china, qualcuno cercava pure di vuotarle il sacco, difeso con i denti. Poi c'è stato il lavoro in una fabbrica di mattoni, in Mandria, alle serre, come operaia in un calzaturificio. Il suo modo di opporsi ad un sistema di sfruttamento è stato "voglio attaccate le marchette" cioè i contributi lavorativi. Era la sua forma di ribellione. Non mi importa la durezza del lavoro ma voglio il rispetto di questo diritto. Una sua personale lotta di donna. Allo stesso modo mia figlia ribadisce che nessun paziente si dovrà permettere di chiamare lei signorina e il collega uomo dottore. Sono orgogliosa delle mie due donne. Ognuna di loro mette o ha messo un punto fermo su un diritto. Non scontato, credetemi.
Mia madre si chiamava Franca Rossi, nome e cognome per l’unicità che ha rappresentato.
Che ognuno di noi rappresenta.
Permettetemi, buon primo maggio sorelle.
Daniela Vanni
p.s. articolo scritto molto prima di quello di Mauro…non ho corretto il tiro…sono sempre io, le donne hanno tante sfaccettature…