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Il mare
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di presenze
Uno .....
Nel paese di Pontasserchio la circolazione è definita "centro abitato", quindi ci sono i 50km/ h max

Da dopo la Conad ci sono ancora i 50km/ h fino .....
di Alessandro Cappelli (dalla rassegna stampa di Stefano Ceccanti a cura di BB.
La Russia scappa Adesso il crollo del regime putiniano non è più utopia

13/9/2022 - 8:11

La Russia scappa Adesso il crollo del regime putiniano non è più utopia

Alessandro Cappelli

La controffensiva ucraina ha riportato sotto il controllo di Kyjiv oltre 3mila km quadrati di territorio. I risultati militari del Cremlino per ora sono molto al di sotto delle aspettative: potrebbe essere la prima crepa nell’autocrazia di Mosca


L’esercito russo ha attaccato infrastrutture civili in Ucraina, tra cui strutture idriche e una centrale termica a Kharkiv, causando blackout diffusi. «Nessuna struttura militare colpita, l’obiettivo è privare la gente della luce e del riscaldamento», ha scritto ieri in tarda serata il presidente ucraino Volodymyr Zelensky su Twitter.

L’ipotesi più verosimile è che Mosca abbia colpito obiettivi civili per rappresaglia, una risposta alla controffensiva con cui le truppe ucraine nel fine settimana hanno costretto la Russia ad abbandonare i suoi avamposti conquistati nella regione di Kharkiv. Un risultato che rappresenta una potenziale svolta nella guerra.

Le forze ucraine hanno riconquistato in poche ore moltissimi insediamenti occupati dai russi. «Dalle informazioni disponibili, la 810ma Brigata di fanteria navale russa (che ha sede in Crimea, ndr) ha perso quasi l’85% dei suoi uomini», ha spiegato lo Stato Maggiore di Kyjiv.

Anche prima dell’ultimo weekend la controffensiva ucraina stava ottenendo ultimi risultati, sfondando le linee di Mosca nel quadrante Nord-Est del Paese. E non è detto che sia finita qui.

Secondo alcune fonti – qui, ad esempio, il Financial Times – le truppe russe sembrano sfiduciate: se viene offerta loro la possibilità di combattere o fuggire, molti di loro sembrano scappare il più velocemente possibile. Un rapporto dello Stato Maggiore ucraino dice che «i soldati russi stavano abbandonando le loro uniformi, indossando abiti civili e cercando di rientrare nel territorio russo. Il servizio di sicurezza ucraino ha istituito una hotline che i soldati russi possono chiamare se vogliono arrendersi, e ha anche pubblicato le registrazioni di alcune chiamate».
Mantenere i territori riconquistati, sottratti alla Russia, è una priorità per l’Ucraina. Non sarà facile, perché si tratta di un’area di oltre 3mila chilometri quadrati, e perché i teatri di scontri militari si prestano spesso a nuove offensive, in una direzione o nell’altra.

Per il Cremlino, invece, una delle priorità è fermare l’emorragia e tamponare il malcontento interno. Secondo quanto scrive sulla Stampa la giornalista Anna Zafesova, esperta di Russia e autrice del libro “Navalny contro Putin”, il motore del consenso putiniano potrebbe essersi inceppato. Tant’è vero che adesso «il Cremlino è stretto tra due alternative impraticabili: iniziare una guerra totale significa perdere subito il consenso apatico dei russi, ignorare il disastro significa mettersi contro i più passionali, tra cui molti militari e poliziotti, la base del regime».
Segnali di dissenso verso i quadri militari, la gestione delle operazioni in Ucraina e le conseguenze dell’invasione, arrivano da più parti. Tra critici ci sarebbe anche Ramzan Kadyrov, l’uomo forte della Cecenia, messo lì proprio da Vladimir Putin, che ha attaccato l’esercito per la ritirata dai territori del Sud-Est ucraino e ha detto che se la loro strategia non fosse cambiata avrebbe parlato con la «leadership del Paese».

Sembrava impossibile, ma anche la leadership del Cremlino – che non ammette dissenso e opposizione – inizia a mostrare delle crepe. Questo non vuol dire che il regime russo verrà rovesciato nelle prossime settimane da una rivoluzione interna, ma storicamente le autocrazie si sbriciolano proprio a partire da sconfitte roboanti. E se la resistenza ucraina – con aiuti occidentali – dovesse segnare ulteriori successi il sistema putiniano ne uscirebbe certamente indebolito.
Il tracollo militare degli ultimi giorni «ha sottolineato una spaccatura crescente tra il Cremlino e i più ferventi sostenitori dell’invasione», ha scritto Anton Troianovski sul New York Times, domenica scorsa. «Per i fautori della guerra, la ritirata della Russia sembrava confermare i loro peggiori timori: che gli alti funzionari russi fossero così preoccupati di mantenere un’atmosfera normale a casa da non essere riusciti a impegnare le attrezzature e il personale necessari per combattere una lunga guerra contro un nemico determinato».

L’indignazione dei falchi russi dimostra che anche in un regime in cui l’opposizione pro-democrazia è stata abbattuta il rischio di un aumento del malcontento è ancora vivo, e cresce soprattutto negli ambienti più conservatori. E per quanto la propaganda possa provare a oscurare e mistificare la realtà, i fallimenti militari sono in bella vista per tutti. In particolare sui social.
Dall’inizio della guerra, i blogger militari filorussi su Telegram hanno svolto un ruolo decisivo nel plasmare la narrativa della guerra, nel fare il gioco del Cremlino spingendo la narrazione dell’operazione contro uno Stato nazista, ma hanno anche fornito molti più dettagli e informazioni sull’andamento delle operazioni militari rispetto al ministero della Difesa russo, che sta nascondendo le cattive notizie al pubblico.
«Uno dei blogger, Yuri Podolyaka, che viene dall’Ucraina ma si è trasferito in Сrimea dopo la sua annessione nel 2014 – si legge ancora sul New York Times – ha detto ai suoi 2,3 milioni di follower di Telegram che se l’esercito avesse continuato a minimizzare le battute d’arresto sul campo di battaglia, i russi avrebbero “cessato di fidarsi del ministero della Difesa e presto del governo nel suo insieme”».
Allora ecco che anche la tenuta del regime, sul lungo periodo, potrebbe essere più incerta. La verità emersa da questi mesi di conflitto è che la dimensione imperialista di Mosca non può esistere nel XXI secolo, non alle condizioni e nei termini di Putin.
E quando le élite russe si renderanno conto definitivamente che il progetto imperiale non è stato solo un fallimento per Putin, ma anche un disastro morale, politico ed economico per l’intero Paese, allora il suo intero sistema di potere potrebbe essere messo in discussione.
«Dobbiamo aspettarci che una vittoria ucraina porti anche alla fine del regime di Putin», ha scritto Anne Applebaum sull’Atlantic. «Molte cose dell’attuale sistema politico russo sono strane e una delle più strane è la totale assenza di un meccanismo di successione. Non solo non abbiamo idea di chi potrebbe o potrebbe sostituire Putin, non abbiamo idea di chi potrebbe o potrebbe scegliere quella persona. Prepararsi all’uscita di Putin non significa che americani, europei o estranei intervengano direttamente nella politica di Mosca.

Ma questo non significa nemmeno che dovremmo aiutarlo a rimanere al potere».









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