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Nei giorni 26-27-28 aprile verranno presentati manufatti in seta dipinta: Kimoni, stole e opere pittoriche tutte legate a temi pucciniani , alcune già esposte alla Fondazione Puccini Festival.Lo storico Caffè di Simo, un luogo  iconico nel cuore  di Lucca  in via Fillungo riapre, per tre mesi, dopo una decennale  chiusura, nel fine settimana per ospitare eventi, conferenze, incontri per il Centenario  di Puccini. 

. . . per questo neanche alle 5. 50 prima di colazione. .....
. . . alle nove dopocena non ciai (c'hai) da far altro? .....
. . . il plenipotenziario di Fi, Tajani, ha presentato .....
Ieri 19 Marzo ci ha lasciato un Vs. concittadino Renato .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Il sole nutre
col suo splendore
il croco il bucaneve
la margherita. . .
Il cuore
cancella il dolore
se alimentato dall'amore
essenza della vita
Quando .....
Oggi è venuto a mancare all’affetto di tutti coloro che lo conoscevano Renato Moncini, disegnatore della Nasa , pittore e artista per passione. .....
Tutto sulla famiglia, la mia: (terza puntata)

22/9/2022 - 14:09


Novembre 1918: ritorno a casa di Alfonso


Ho raccontato all’inizio della partenza di Alfonso per la guerra, un giorno di maggio del 1915. Solo da grande ho saputo del particolare episodio al suo ritorno. Aristea lo raccontava spesso a mia mamma.
Era un freddo pomeriggio di novembre del 1918, da mesi non avevo notizie del mi’ marito, era partito tre anni prima per la guerra. La Grande guerra. Ricordo ancora il giorno in cui arrivò la cartolina: richiamato a servire la Patria. Lontano su montagne a noi sconosciute. Il Carso. Non sapevamo nemmeno dove fosse il Carso, non lo so neanche ora. Radunò le poche cose che aveva e partì. Il 30 di giugno nacque Amelio. Non fu facile allevare quel figliolo da sola, sola come le tante mogli rimaste in un paese animato da vecchi, donne e bambini.
Quella mattina faceva particolarmente freddo: le cime dei castagni si muovevano sotto la forza del vento, una pioggia fine mista a neve cadeva silenziosa. Dopo avere munto la capra e sistemato gli animali, io e il mi’ Amelio ci ritirammo in casa. Da giorni lavoravo a una trina da mettere sullo scaffale della credenza e dopo avere mangiato continuai con il mio lavoro mentre lui giocava con dei pezzi di legno, mentre un ciocco scoppiettava nel camino. Lavorai fino a che la luce dalle finestre smise di entrare. Poi accesi il lume a petrolio e preparai la pentola sul fuoco per cuocere la polenta. Avevamo della ricotta fresca della mattina.  Sarebbe stata la nostra cena. Non avevo messo il chiavistello alla pesante porta di castagno come facevo di solito all’imbrunire, me ne accorsi solo quando questa si spalancò e fece entrare una folata di vento e nevischio insieme a un uomo in divisa che riempì lo spazio della porta in tutta la sua altezza. Rimasi impietrita. Quel volto stanco e scavato. Era lui Alfonso il mi’ marito. Si tolse il cappello e a braccia aperte mi venne incontro.
Il mi’ Amelio fece cadere la torre di legno che aveva costruito e senza che lo potessi fermare allungò la mano fino al coltello che avevo lasciato sul tavolo. Fu un attimo, sentii il bimbo gridare “Lasciate sta´ la mi’ mamma”!  Vidi l’arma sfrecciare in direzione dell’Alfonso, lui la schivò. Quello che doveva essere un giorno felice fu l’inizio di un rapporto difficile tra padre e figlio.
Dopo la nascita di Amelio i rapporti tra Alfonso e la famiglia di Aristea migliorarono. Alfonso, dopo la guerra riprese il suo lavoro nelle selve. Alla fine della quinta elementare Amelio doveva scegliere il suo futuro: o nella bottega di falegname del nonno materno o nelle selve con il padre. A lui non piaceva nell’una e nell’altra. Sapeva che lungo il fiume c’era una ferriera. Si presentò in cerca di un lavoro. In pochi anni diventò un bravo fabbro.
 
Amelio: le adunate del sabato e l’oro alla Patria

 
Erano i primi anni trenta del secolo scorso, la propaganda di regime arrivò nel piccolo paese di montagna ma nessuno poteva immaginare che quegli uomini in camicia nera che obbligavano gli abitanti a partecipare alle adunanze del sabato: Il sabato fascista, nel giro di qualche anno avrebbero sconvolto il mondo trascinando l’Italia in guerra. Amelio il nero non lo amava e nemmeno i raduni del sabato. Dopo avere lavorato tutta la settimana in ferriera il sabato pomeriggio lo dedicava agli amici o alla fidanzata di turno.  
Il fatto in paese non passò inosservato tanto che una mattina il postino “a lui la camicia nera piaceva” con un sorrisetto recapitò a Aristea una lettera. Lei sbiancò. Arrivava dalla Provincia: gli organi del partito erano stati avvisati delle assenze di Amelio alle adunate del sabato e per questo era stato invitato a presentarsi per dare spiegazioni. Amelio che di solito scherzava su tutto, quella sera non ne trovò il motivo. L’appuntamento era per il sabato.
La mattina di buonora Amelio si alzò, Alfonso e Aristea erano già in cucina. Fecero colazione con i necci avanzati dalla sera e il caffè d’orzo ancora fumante e dopo le raccomandazioni dei genitori Amelio uscì. La sede della Provincia era affollata di persone, lo fecero attendere nel corridoio per un tempo che a lui sembrò infinito, fino a che la grande porta dell’ufficio si aprì per farlo accomodare. Due uomini in divisa gli si pararono davanti, lo invitarono a sedersi e iniziarono le domande:
“Amelio Giannecchini, come mai voi non vi presentate alle adunate del sabato in paese, lo sapete che sono importanti”
“Parteciperei volentieri ma nessuno mi ha avvisato” Amelio disse la prima cosa che gli venne in mente
“Bene ora siete avvisato, vi consigliamo di presentarvi. Siete libero vero?”
“…?”
Amelio non ebbe il tempo di rispondere, vide i due uomini scambiarsi un’occhiata. Sul tavolo in bellavista c’era una bottiglia di vetro trasparente piena di olio di ricino e un bicchiere. Uno dei due uomini in divisa guardò Amelio e disse:
“Siete libero, o no?”
“Si! Sono libero” e fece per alzarsi
“State comodo, state comodo, non abbiamo ancora finito” si girò verso il collega e disse: “quanti gliene diamo uno… o due…” Passarono una manciata di secondi, i due uomini si guardarono e risero, uno dei due disse: “Potete andare”
Amelio si alzò lentamente dalla sedia mostrandosi ancora più impaurito di quello che era.
Si mise in piedi e tenendo lo sguardo basso recitò una delle sue parti migliori. Raccontò loro che per presentarsi in quell’ufficio si era alzato prestissimo “a buio” e non avendo i soldi per la corriera aveva affrontato il viaggio a piedi e con mezzi di fortuna. Ora si trovava nella stessa condizione e avrebbe fatto tardi all’adunanza del sabato. Fu convincente a tal punto che, dopo essersi guardati i due uomini gli misero in mano i soldi per il viaggio. Uscì dalla porta senza voltare le spalle facendo a malincuore il saluto romano. Se ne tornò in paese di buon umore. Raccontò l’accaduto ai pochi amici e con i soldi rimediati dai Gerarchi pagò da bere a tutti. Tranne al postino.
La paura di essere denunciati anche solo per una vecchia antipatia cambiò le abitudini del paese. La cerchia degli amici di Amelio diventò sempre più ristretta per parlare liberamente cercavano spazi aperti dove potevano controllare di non essere ascoltati.
In quei giorni successe un altro episodio che Alfonso raccontava spesso:
Ero uscito di casa come al solito, il sole non era ancora spuntato da dietro i monti quando vidi il mi’ fratello venirmi incontro a passo svelto. Mi mise al corrente delle notizie arrivate la sera prima dalla città. La Patria stava raccogliendo ogni tipo di metallo per costruire armamenti e l’oro, noi d’oro avevamo solo gli orecchini della nonna. Ritornai subito a casa. La svegliai e raccolsi in fretta quello che avevamo: un lavamano in rame, un paiolo di bronzo e un pentolino per il caffè d’orzo in alluminio, lasciai due pentole per cucinare e il resto lo misi in un sacco di iuta. Uscii di casa che stava albeggiando e a passo svelto andai giù per il sentiero fino alla capanna dove tenevamo gli animali. Cercai il punto più morbido nella terra e scavai una profonda buca da poterci nascondere il nostro tesoro. Al momento giusto sarei tornato per riportare in casa quegli oggetti. Quando rientrai in cucina la nonna aveva appena finito di cucire gli orecchini nell’orlo di un vestito.
 
Amelio e il servizio militare   

      
Sul cappello… sul cappello che noi portiamo, c’è una lunga penna nera…
Amelio indossò per la prima volta quel cappello a diciannove anni. Lui e altri ragazzi del paese furono chiamati a servire il Re. Era il 1934 in pieno ventennio fascista. Dopo il periodo di addestramento venne assegnato alla compagnia Julia. Da subito si rese conto che la vita militare non si sposava con il suo carattere poco incline agli ordini. Dopo una lunga marcia Amelio sentì i piedi piagati da vesciche, non ci pensò due volte a salire sul mulo che lo accompagnava. Al rientro in caserma venne notato da un Ufficiale che gli si parò davanti urlando:
“Mi meraviglio vedere un Alpino a cavallo di un mulo!”   
“Io mi meraviglierei di più… Signor Colonnello nel vedere un mulo a cavallo di un Alpino”
La risposta non piacque al graduato tanto che Amelio passò cinque giorni in prigione. Non furono gli unici. Due anni furono lunghi da passare: per due volte chiese la licenza agricola per aiutare i genitori nella pulizia della selva e la raccolta delle castagne. Gli sembrarono delle vacanze dopo le tante ore passate a marciare. Poi finalmente il congedo.
Riprese il suo lavoro in ferriera fino alla primavera del 1939 quando un’altra cartolina lo richiamò all’uso delle armi. L´Italia era entrata in guerra. (continua…)

 

Franca Giannecchini
 
 
 
 
 

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27/9/2022 - 7:54

AUTORE:
adele

ciao Franca, mi sono un po' persa, Amelio è tuo nonno?

22/9/2022 - 16:51

AUTORE:
silvia

Wow....cattura a 360 gradi.