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L'articolo di oggi non poteva non far riferimento alla festa del SS. Crocifisso che Pontasserchio si appresta a celebrare, il 28 aprile.Da quella ricorrenza è nata la Fiera del 28, che poi da diversi anni si è trasformata in Agrifiera, pronta ad essere inaugurata il 19 aprile per aprire i battenti sabato 20.La vicenda che viene narrata, con il riferimento al miracolo del SS. Crocifisso, riguarda la diatriba sorta tra parroci per il possesso di una campana alla fine del '700, originata dalla "dismissione" delle due vecchie chiese di Vecchializia. 

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Colori u n altra rosa
Una altra primavera
Per ringraziarti amore
Compagna di una vita
Un fiore dal Cielo

Aspetto ogni sera
I l tuo ritorno a casa
Per .....
Oggi è venuto a mancare all’affetto di tutti coloro che lo conoscevano Renato Moncini, disegnatore della Nasa , pittore e artista per passione. .....
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SPEDALI, MEDICI E GETTATELLI: ASSISTENZA SANITARIA DELL’800.
di Franco Gabbani e Sandro Petri

2/10/2022 - 10:49

 
Eccoci ad un nuovo capitolo dell'analisi relativa alle realtà e alle condizioni sociali delle popolazioni del nostro territorio nell''800, incentrato questa volta sul problema sanitario e della salute in generale.
Proprio con l'inizio del secolo e grazie alle maggiori consapevolezze derivanti dalla rivoluzione industriale, le disastrose condizioni igieniche ( non solo del popolo) e l'indifferenza sociale verso la gestione delle malattie che caratterizzavano il '700 cominciarono un lento cammino di sviluppo e di compartecipazione, con l'affermarsi della figura del vero medico, a fianco del padrone e del parroco, e dell'assistenza ai poveri.
Da rimarcare che nel 1839 si tenne a Pisa il primo Congresso degli Scienziati Italiani.
Nella foto la copertina del manuale di Massime e Istruzioni per gli Ospedali, redatto dal Granducato di Toscana nel 1818.
 
Sandro Petri
 
 
SPEDALI, MEDICI E GETTATELLI: 
ASSISTENZA SANITARIA NELLA TOSCANA DELL’800.
 
di Franco Gabbani
 
Fino a tutto il Settecento la salute era un fatto privato a cui le persone dovevano provvedere a proprie spese (tranne nei casi di malattie contagiose).
Solo nell’Ottocento inizia qualche cambiamento: con la rivoluzione industriale, si assiste, infatti, ad una serie di trasformazioni sociali.
Anche in Italia, nonostante sia un paese ancora prevalentemente agricolo, si verifica una forte emigrazione dalla campagna alla città.
Nelle fabbriche gli operai hanno paghe bassissime, con orari di lavoro che superano le dodici ore, vivono in case malsane, le malattie sono frequenti e spesso portano alla perdita del lavoro. Perdere il lavoro significava non avere più salario e andare a far parte della categoria dei poveri. Nacquero, così, le società di mutuo soccorso nelle cui casse gli operai versavano delle quote mensili che venivano utilizzate per aiutare gli iscritti e le loro famiglie nei momenti di bisogno.
Queste associazioni di lavoratori riguardavano in particolare le città, mentre nelle campagne i contadini continuavano a vivere in ambienti dove lo sporco era dominante, le malattie erano frequenti e si cercava di fronteggiarle ricorrendo a ciarlatani (la gente li sentiva più vicini a sè e alle proprie tradizioni) o a rimedi dettati dalle superstizioni.
I medici, non solo erano scarsi, ma, si erano anche trovati, per lungo tempo, in una posizione di inferiorità rispetto al parroco: fino ad allora  contava soprattutto la salvezza dell’anima, che veniva prima di quella del corpo, e il medico poteva avvicinarsi all’ammalato e visitarlo solamente dopo che era stato confessato.
 
Sono i medici che parlano del mondo contadino attraverso il filtro della medicina e dell’igiene, una medicina ottocentesca che è molto attenta alle origini del male.
Medici che si rivolgono ai padroni chiedendo giustizia sociale,  medici che entrano in contrasto con il parroco che, come abbimo detto rappresentava la figura egemone nelle realtà rurali dell’Ottocento.
I parroci, provenienti in gran numero da famiglie contadine (il seminario era stato, e lo sarà fino alla metà del ‘900, una scorciatoia per quanti volevano proseguire negli studi), ne conoscevano bene le miserabili condizioni di vita, dovevano, quindi, essere loro a far sentire le esigenze di quel mondo, di tutte quelle persone che non avevano mai avuto voce, che non avevano mai avuto giustizia.
La maggioranza, invece, risultò la meno disposta a concessioni e segui le direttive delle gerarchie superiori esortando i contadini “all’onestà, al dovere di non ingannare il padrone e all’obbligo di sopportare la povertà e le fatiche terrene, in vista di una superiore giustizia e ricompensa divina nell’altro mondo”.1 Ma, anche se in misura certamente minore, non mancarono preti che spinsero per una maggiore giustizia sociale.
 
I medici, inoltre, avevano sempre denunciato alla classe politica, con maggiore forza durante l’Ottocento, che le misere condizioni di vita dei contadini, unite all’assoluta mancanza di norme igieniche e all’ignoranza, erano le causa principale delle malattie.
Ottennero, così, un primo risultato allorché i sindaci furono chiamati a vigilare sull’esercizio della medicina e a denunciare interventi di persone non autorizzate, anche se questa azione incontrò una forte resistenza soprattutto nelle zone rurali dove le donne tradizionalmente partorivano assistite da altre donne, possibilmente anziane esperte.
Di parto si moriva, tant’è che alle donne in travaglio di frequente si dava l’estrema unzione. Una conseguenza tragica del parto era la febbre puerperale, un’infezione che derivava da mani e ferri sporchi.
A morire non erano solo le madri, anche la mortalità infantile era elevatissima, conseguenza delle più volte rammentate condizioni di vita al limite della sussistenza che avevano creato anche gravi alterazioni morali riguardo agli affetti familiari: le contadine si rassegnavano facilmente alla morte dei figli, consapevoli che veniva loro risparmiata una vita di sofferenze e di stenti.
Nel pisano quando a morire era un bambino di nascita c’era il detto “un piantino e un buatino e l’anima va al su’ destino”.   
             
A mettere un po’ d’ordine nel sistema sanitario fu il Granduca Ferdinando III di Lorena che, nel 1818, emanò  le “Massime ed istruzioni da osservarsi generalmente in tutti li Spedali degli Infermi”.
Gli Ospedali erano di due classi: quelli Regi (Firenze, Siena, Pisa, Pistoia e Livorno) dove il Rettore era di nomina granducale: lì si studiava l’arte medica e vi si svolgevano grandi interventi. I secondi erano ospedali Comunitativi ed erano amministrati dalla Magistratura Comunitativa.
Tutti gli ospedali avevano letti paganti, a mezza paga per i poveri, e gratuiti per i miserabili. Il requisito della povertà e della miserabilità era attestato da un certificato del parroco, vistato poi dal gonfaloniere.
Deve essere stato estremamente difficile stabilire dei precisi confini tra una condizione familiare che configurava uno stato di povertà e un’altra che ne determinava uno di miserabilità.
Altrettanto difficile, per il parroco, deve essere stata la scelta tra due individui di uguale condizione economica, ma il primo osservante dei precetti religiosi mentre l’altro animato da sentimenti irreligiosi: con tutta probabilità, in questo caso, la scelta avveniva anche sulla base di valutazioni soggettive e strettamente in linea con l’abito talare indossato.
 
Deve essere sottolineata, infine, l’importanza che rivestì il  primo Congresso degli Scienziati Italiani che, nel 1839, si riunì a Pisa. Nelle sue dichiarazioni conclusive lanciò un preciso appello affinché le autorità si facessero carico di un miglioramento della qualità dell’aria, dell’acqua e dei cibi a disposizione dei contadini. Molti di quelli scienziati cominciarono ad assumere posizioni liberali e patriottiche, sostenendo il progetto di un’Italia unita, di uno stato nazionale che si prendesse davvero cura dei contadini.  
 
Anche la comune di Vecchiano, subito dopo la sua nascita ( nacque nel 1808, quando il Granducato di Toscana era parte integrante dell’Impero Napoleonico), pensò all’assistenza sanitaria dei componenti le sue comunità e presentò un Decreto, da sottoporre all’approvazione del Prefetto, che prevedeva la nomina di un Medico Condotto per “assistere, e curare con grande assiduità tutti i Poveri e Indigenti di questa Comune tanto in Medicina che in Chirurgia, in ogni sorta di malattie che potessero essere attaccate, senza che possa pretendere da dette persone, ricognizione alcuna.
Per Poveri e Indigenti dovranno intendersi tutti gli individui i quali o dal Prodotto delle loro fatiche, o da quello dei Terreni che coltivano non hanno il mezzo per alimentare per intero le loro famiglie, e che non siano portati sul Ruolo dell’Imposizione personale per essere stati riconosciuti incapaci a soffrire detta tassa, e che all’occorrenza gli saranno dal Maire fatti conoscere”2 .
 
Parlando della situazione sanitaria nell’Ottocento è poi d’obbligo soffermarci anche su quelli che erano chiamati gli Ospedali dell’infanzia abbandonata.3
Nel granducato di Toscana i bambini abbandonati erano definiti “esposti”, “bastardini”, “trovatelli”, “gettatelli”, “orfanelli”, “innocentini”.
Nel XIX secolo la donna delle classi più umili non conosceva i metodi contraccettivi, praticati in genere dalle prostitute, l’unico modo per non rimanere incinta era il coitus interruptus: non molto seguito alla luce dell’elevato numero di figli che ogni coppia metteva al mondo.
Ho accennato in precedenza alla durezza di condizioni e di esistenza della maggior parte delle famiglie, era questo il principale motivo dell’abbandono dei figli alla ruota dell’ospedale o alla porta di una chiesa.
A questi abbandoni si accompagnavano quelli di nati da coppie che vivevano in una situazione di concubinaggio, dove la donna convivente, molto spesso, figurava come serva, quelli nati da prostitute, quelli nati da nubili, da donne vittime di violenza, nonchè quelli provenienti dagli ospedali perché nati da donne dichiarate “gravide occulte”.
Il fenomeno degli abbandoni, della quantità degli “esposti”, divenne particolarmente elevato verso la fine del 1700, anche perché nei secoli precedenti, per risolvere il problema del peso dei figli sulla famiglia, veniva, di frequente, fatto ricorso all’infanticidio e alle “suffucationes”.
La sopravvivenza di questi bambini era affidata alla possibilità di trovare una balia che si sostituisse alla madre naturale nell’allattamento, e, poiché i brefotrofi non disponevano né di attrezzature né di personale adeguati, ci si rivolgeva all’esterno.
La maggior parte dei “gettatelli” veniva, infatti, “dato a balia”, affidato cioè ad un “tenutario” (capo famiglia). In generale la famiglia accoglieva un bambino o nel periodo successivo alla morte di un neonato, o quando il proprio figlio veniva svezzato.
I motivi di questa scelta erano diversi: potevano dipendere dal fatto che il prolungarsi dell’allattamento diminuiva il rischio di nuove gravidanze, o anche dal fatto che lo si riteneva un buon investimento, infatti la balia riceveva un compenso, “la mesata”; infine ad invogliare balie e tenutari era la prospettiva di potersi valere, in futuro, di una forza-lavoro gratuita attraverso l’adozione del gettatello.
Molti di questi bambini venivano lasciati nelle ruote con qualche segno particolare: un fiocco, un biglietto dove era riportato il nome che  era stato dato al bambino, una medaglia, un’immagine sacra.
Tutto questo veniva registrato negli “atti d’ingresso” del brefotrofio, e si riteneva che tali segni potessero indicare la volontà delle madri di rintracciare un giorno i propri figli.
Questo metodo, infatti, era adottato da parecchie madri illegittime, che poi si presentavano agli Istituti come nutrici per ottenere i figli a baliatico esterno: ciò era possibile perché le balie potevano scegliere il neonato che intendevano allattare.
Il controllo sulla famiglia che prendeva un trovatello era affidato ai parroci i quali verificavano se la donna era in grado di allevare il bambino affidato e rilasciavano un documento che la balia doveva presentare al brefotrofio per ricevere un gettatello.
Scelto liberamente un bambino, la balia riceveva un libretto con tutti i dati del trovatello che doveva poi esibire per riscuotere la mesata, assieme a un certificato di sopravvivenza del gettatello, vistato dal parroco.
Il Granduca legiferò abbondantemente per vigilare sulla buona custodia degli esposti e sull’istruzione a loro impartita quando, ormai più grandicelli, restavano nella famiglia del tenutario che li aveva adottati.
 
Anche la Comune di Vecchiano si interessò al problema dell’infanzia abbandonata, ne veniamo a conoscenza da un Avviso del Maire del 813:
 
Gli Ospizi di Pisa a causa delle circostanze economiche sono prossimi a rinunziare di ritenere negli Ospizi medesimi gli Esposti e gli Orfani. (…) Abitanti!
Voi dovete alleggerire il peso delle loro disgrazie. Voi dovete prendere parte nella loro sorte. Voi avete i mezzi per favorire il più sacrosanto dei doveri della natura, e della Religione. Affrettatevi dunque ad offrire un alito all’indigenza non meritata.
Conducete nelle vostre case questi Esseri miserabili, dateli quella educazione che conviene alle vostre circostanze, e la Società applaudirà i sentimenti generosi che vi animano, mentre questi sventurati vi colmeranno di tutte le possibili benedizioni per avere preso parte alle loro disgrazie.
Presentatevi dunque a questa Mairie dove sarete istruiti del modo che dovrete tenere per compiere il primo dei doveri della Religione e della Umanità.
Io vivo nella dolce fiducia che voi non rinunzierete a questo dovere, ma che preferirete senza dubbio dare a questi infelici quei Frutti di Beneficenza che formano il più lusinghiero elogio dei vostri sentimenti, e che avrete incessantemente esercitati sopra persone straniere, che non vi sono mai appartenute.4
 
Dalla Mairie di Vecchiano lì 16 Marzo 1813
 
                                                                           Prato
 
 
Molto spesso, però, gli esposti, bambini e bambine, fin da piccolissimi erano impiegati nei lavori dei campi, nelle fabbriche, nelle miniere, con orari proibitivi e con paghe modestissime.
Da un lato, la classe padronale si serviva del lavoro minorile per tenere basso il livello dei salari, dall’altro le famiglie erano costrette a mandare prestissimo i figli al lavoro per le condizioni di estrema miseria in cui versavano.
Solo nel 1886 venne promulgata una legge che fissava a nove anni il limite minimo di età per il lavoro dei fanciulli, stabilendo una giornata lavorativa di otto ore per quelli dai nove ai dodici anni.
 
Vorrei soffermarmi sull’argomento “lavoro minorile” che ho introdotto parlando dei “bambini dell’Ospedale” (così venivano spesso indicati i gettateli) ma che interessò anche molti  bambini che una famiglia l’avevano.
Erano le condizioni di estrema indigenza, la miseria  infinita, la fame di pane, che spingevano i genitori ad affittare i figli per assicurargli il cibo. La conferma ci è data anche dai registri di “Stato delle anime” delle parrocchie e dai registri di “Stato delle famiglie coloniche” delle fattorie, nei quali, leggendo la composizione delle famiglie, in molti casi troviamo, in fondo all’elenco, il nome e cognome di uno o due giovanissimi con indicato “garzone”, come rapporto di parentela con il capoccia.
 
E’ opportuno specificare, infine, che l’elevato numero dei gittatelli nell’800 derivava dal modello di famiglia che, a partire dal Medioevo, era rimasto lo stesso.  
Si trattava di una famiglia dominata da una disciplina patriarcale, dove i matrimoni avvenivano non per una libera scelta, dove la donna, ritenuta inferiore all’uomo, doveva avere l’autorizzazione del marito per compiere qualsiasi azione, dove i figli avevano diritti diversi a seconda del sesso e dell’ordine di nascita.
Questa struttura di famiglia dà una spiegazione alle numerose nascite illegali e ai numerosi abbandoni.
 
 
1 Prosperi A., Un volgo disperso. Contadini nell’Italia dell’Ottocento .Giulio Einaudi editore s. p. a., Torino, 2019. Pag. 98.
 
2 Archivio Storico Comune di Vecchiano: Registro “Deliberazioni della Comune di Vecchiano da 1809 a 1811”.
 
3 A Pisa l’Ospedale dei Trovatelli si trovava all’inizio di via S. Maria. L’edificio, annesso alla Chiesa di S. Giorgio dei Tedeschi, alle origini era un ospizio per malati, ma, dall’inizio del XIV secolo diventa ricovero per bambini abbandonati.
 
4 A. S. C. V., da raccolta  “Documenti diversi”.
 
 
 
 

 

 
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3/10/2022 - 10:28

AUTORE:
Luigi

Complimenti, veramente interessante.
Ci sono voluti secoli per cambiare la struttura della famiglia (oggi, forse, troppa grazia S.Antonio!)
figuriamoci come si possa pensare di cambiare la mentalità di talebani, di iraniani, arabi in genere semplicemente "esportando" la democrazia. Ci vogliono alcune generazioni e qualche capo carismatico che li sappia guidare in un processo che sarà comunque lungo.