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Evento davvero memorabile a san Giuliano Terme il 25 luglio a partire dalle ore 18, all'interno del Fuori Festival di Montepisano Art Festival 2024, manifestazione che coinvolge i Comuni del Lungomonte pisano, da Buti a Vecchiano."L'idea è nata a partire dalla pubblicazione da parte di MdS Editore di uno straordinario volume su Puccini - spiega Sandro Petri, presidente dell'Associazione La Voce del Serchio - scritto  da un importante interprete delle sue opere, Delfo Menicucci, tenore famoso in tutto il mondo, studioso di tecnica vocale e tante altre cose. 

Che c'entra l'elenco del telefono che hai fatto, con .....
Le mutande al mondo non le metti ne tu e neppure Di .....
Da due anni a questa parte si legge che Putin, ovvio, .....
È la cultura garantista di questo paese. Basta vedere .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Mauro Pallini-Scuola Etica Leonardo: la cultura della sostenibilità
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Incontrati per caso
di Valdo Mori
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APOCALISSE NOKIA di Antonio Campo
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Il mare
con le sue fluttuazioni e il suo andirivieni
è una parvenza della vita
Un'arte fatta di arrivi di partenze
di ritorni di assenze
di presenze
Uno .....
Nel paese di Pontasserchio la circolazione è definita "centro abitato", quindi ci sono i 50km/ h max

Da dopo la Conad ci sono ancora i 50km/ h fino .....
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Ricordi di padule.

27/3/2023 - 21:32



IL PADULE
Leva la Bonifica ai nodichesi, Bocca di Serchio ai migliarinesi e non ti farai tanti nemici nei due paesi quanti ne avresti levando il Padule ai vecchianesi.
Nel nostro capoluogo è così innato l'uso di quello "sbordamento del Maciuccoli" che la gente dice "vaggo a padule" o meglio "appadule", come quando si dice "vado a casa" e non "in" come riferendosi ad un luogo indefinito, tipo "in campagna", "in monte".
Ci sono i patiti della caccia, quelli della pesca, quelli delle ribotte serali nei casotti, quelli del perseverare nell'uso delle cose proibite, tramagli foone e bettibelli; tutti i vecchianesi, secondo i gusti e gli interessi, vanno d'estate e d'inverno, di primavera e d'autunno, a padule.
La caccia è quel divertimento, rimasto da un retaggio di sfruttamento del lago e delle sue risorse da parte dei popoli abitanti le sue sponde, che attira come una calamita i vecchi vecchianesi anche con la consapevolezza di ormai magri o vuoti carnieri.
Tutti hanno un casotto per la pesca o per il ricovero del barchino, là, nei fossoni perimetrali, alla fine del viale del Gobbino, sulla destra e sulla sinistra del posto dove aveva la bilancia il compianto e mitico Roma, romano di nascita, vecchianese per domicilio, padulaio per scelta.
Il Padule è come una città con le case nei casotti, le vie nei calatini, le piazze nei chiari ed i negozi nei fossi dove non c'è stagione che non ti offra i suoi prodotti: a primavera grasse e grosse tinche che si svegliano affamate e curiose, buone arrostite o in umido con i piselli; d'estate lucci di metro da buttare interi sulla brace, senza pulirli, rischiando di trovarli con un ripieno di tarpone; d'autunno mugginetti e crognoli per padellate di fritto con contorno di pomodori in picchiata e d'inverno, infine, le sempre amate universali anguille da friggere, stidionare, mettere in umido e diliscare per saporitissime pastasciutte.
Tutti si improvvisano stradini un paio di volte all'anno per tenere pulite quelle viottole di scorrimento, larghe quanto una barca, che uniscono i fossi ai chiari e questi al lago.
Altre volte il lavoro è del taglio e della bruciatura delle vecchie cannelle sui bordi dei chiari e intorno ai casotti, altre invece, e qui occorre la cooperazione di tutti, d'altra parte mai negata, è la pulitura degli specchi d'acqua prospicienti i casotti, dove poggiano le grandi bilance.
Il macerìo delle cannelle crea una massa di truciolame nero e puzzolente che, come nell'antica Grecia dove attribuivano un dio ad ogni luogo della natura, ai nostri vecchi sembrava la forfora del dio Maciuccoli, il quale, pettinandosi continuamente, creava le cannelle e il forforone.
Va quindi lavorato di rastrello e forcone e svuotare, allargare, sfondare il quadro, perchè ci sono solo dieci centimetri d'acqua e due metri di pappone e tutti si danno una mano uniti dalla vita e dalle regole di padule.
Nessuno a Vecchiano è geloso della barca, te la prestano, o del casotto, ti danno le chiavi, o del cane, ce lo mandano se lui ci viene volentieri, o dei pesci, te li regalano, ma attenzione alle botti dei chiari per la caccia agli acquatici, arriverebbero alle fucilate per allontanare l'intruso che occupa la postazione, ben pulita e tenuta un tempo, ora sfondata e affondata, che a giorni stabiliti e prescelti, tocca ai cacciatori vecchianesi.
Il ricovero era detto così perchè fatto, appunto, con una botte od un tinetto, con la parte superiore quasi a pelo d'acqua, messa ancorata con paletti infissi lateralmente, dove entravi dal di sopra tolto e, stando seduto su un panchetto, avevi così il lago all'altezza del naso, il tiro radente e il nascondiglio sicuro.
Ora non vado più a caccia, non c'è più gusto con le nuove regole, non ci sono più le spinte emotive né gli animali, la natura si vive e gusta in altri modi, ma niente è stato più bello, affascinante, coinvolgente, di una notte all'aspetto nella botte in padule.
Era un freddo cane, così intenso che il fucile andava tenuto appoggiato di traverso sul bordo di quella tinozza di legno umido, dove stavi rannicchiato e bagnato, senza poter toccare l'acciaio delle canne, se non volevi lasciarci appiccicata la pelle per il veloce congelamento dell'umidità delle dita.
I piedi, chiusi in stivaloni alti di gomma con due paia di calzini, si gelavano e con loro si addormentavano le gambe e il solo modo di placare il dolore dei nervi offesi era il muoverle continuamente, ma facendo così si faceva anche un baccano cane nel silenzio della notte, sciacquando in quel poco di lago che era sul fondo della botte e tanto valeva allora andare a casa.
Avevo tanto freddo che decisi di bere un sorso di cognac, anche se gli alcoolici non li potevo soffrire e sopportare.
"Passami lo gnacche", chiesi a Toni, il mio compagno di quella notte che aveva avuto la concessione di caccia.
"Tieni, ma 'un fa' come Cordino che lo finiva sempre dicendo che la su' parte era vella sotto!"
"Zitto, zitto, ascolta!"
Nel chiaro le anatre, messe alla pastoia, un filo al piede con un barattoletto di simmental pieno di cemento, si erano messe a cantare tutte insieme, quaquaquà, spinte dal maschio, che invece era tenuto vicino alla botte e che le incitava con un cr-cr-cr sommesso.
Le femmine dovevano essere tenute separate dal maschio e ciò dipendeva dalla frenesia amorosa del germano che avrebbe passato l'intera nottata inseguendo e gallando le compagne, distogliendole dal compito di avvistatrici e avvisatrici degli uccelli che passavano.
"Zitto, zitto, preparati, c'è qualcosa che arriva! Le anatre lo hanno sentito!"
Un altissimo e lontanissimo trombettìo si udì arrivare e poi sparire.
Era un branchetto di folaghe che andavano forse nel padule di Bientina e che non curarono il chiaro e la tesa.
"Accidenti alle stampe! Stai a vede' che se n'è girata una a vento o s'è caporivolta o ce n'è qualcuna impiccata e quelle allora cianno bell'e creduto. Vai, addio nottata! Si vede avevano in mente d'anda' in mare e quando gli uccelli si ficcano 'n capo un'idea, lo sai, nessuno li ferma, si farebbero anche ammazzà!"
"Rieccoli, rieccoli, dai, pronto!"
"O stai bono, senti che cantano solo le femmine, sarà un pipistrello o un barbagianni, le anatre chiamano di tutto, ci vole 'r maschio che canti per sape' se è bastardume o uccelli!"
"Come bastardume o uccelli? Saranno tutte anatre, figlie di anatre e nipoti di anatre!"
"Lo dici te! Te t'intenderai di muggini, ma sai 'na sega di padule! L'uccelli sono e germani soli, il bastardume è tutto vell'artro: moriglioni, fistioni, codoni, mestoloni, tutti boni, ma belli punto!"
Le ore passavano, il freddo aumentava fuori della botte e diminuiva dentro, per l'eccitazione dell'arrivo di qualcosa.
Io non credevo si potesse vedere così distintamente nel buio della notte!
Quando vai fuori di casa a vedere perchè il cane abbaia, il buio ti assale minaccioso, mentre lì, sull'argento dell'acqua, si vede meglio il colore nero.
Quella notte si era nelle botti a est, quelle dette dell'albetta, e si guardava verso ovest, dove si indovinava Viareggio dal chiarore delle poche luci invernali, ed il passo era dalla destra, da nord a sud, da Lucca e le valli interne verso il mare.
La nottata era splendida, il fioco luccichio delle stelle si rifletteva sulla superficie del lago e raddoppiava la lieve luminosità.
Quando il silenzio si prolungava, senza essere rotto dai rari ma distintissimi versi degli abitanti di quel mondo, i gemiti dei porciglioni, il singhiozzo delle sciabiche, il trombettio delle folaghe, il cuccumio dei predatori alati notturni e dai vari cinguettii di uccellini svegliati di soprassalto o dai tonfi nell'acqua e da tutta una serie di misteriosi ma nitidi rumori, allora si parlottava e si fantasticava del da e dove, guardando gli aeroplani che passavano senza rumore. Non vi rendete conto di quante misteriose lucine ci siano in una notte di cielo.
I discorsi però sembravano letti dal giornale, senza tono, mancando lo sguardo in faccia o negli occhi come due interlocutori diurni, parlando con la testa rivolta in avanti e gli occhi fissi al centro del chiaro.
"Non guarda' fisso, perchè ti si 'ntrafunano l'occhi e poi 'un vedi più nulla. Guarda 'nquaellà, mai fisso."
"Ecco, c'è qualcosa che si muove da destra, sparo?"
"Fermo, aspetta. Se è un'anatra con la pastoia lunga si fa come 'r babbo di velle famose ragazze di Vecchiano, 'un ti dio chi, che gli chiedevano come andasse la caccia 'n padule e lu' disse che sarebbe durata tante volte quante erano le anatre da richiamo, perchè tutte le notti n'ammazzava una. Se è 'na folaga, correrà verso le anatre e loro s'allontaneranno scontrose e superbe, spara a quella che rincorre vell'artra. Se invece è un uccello, saranno l'anatre che anderanno verso l'ospite e lui scapperà 'nfastidito, allora spara a quello che va avanti."
"E tanto siamo a mezzogiorno al comune che vedo bianco - rosso e verde! Non ti vedo nemmeno te a mezzo metro!"
"Bimbo, piano, piano. Quando n'artrite t'averà rosiato l'ossa, allora capirai i misteri del padule e della notte. Ammettiamo che nessuno abbia cantato sennò regali fii! Se è folaga, è scesa giù a tonfo, quindi avrai sentito "cioff', eppoi la storia delle rincorse. Se è uccello invece, avrà fatto una scivolata a ciarella, quindi avrai sentito "cioff­ciaccià-cià", quindi fai te!"
"O se invece è venuto a noto dal lago?"
"Ci sta, ma è difficile. Allora spara, quarcosa si mangerà, ma spara e falla finita!"
Io non sparai perchè nel frattempo avevo allentata la presa dell'occhiata e mi si era confuso tutto: ora sembrava che tutto corresse dietro a tutto e un attimo dopo erano sparite anche le stampe finché, senza che me lo aspettassi, mi si presentò uno spettacolo così affascinante che avrei buttato il fucile nell'acqua se fosse stato sufficiente per fermare quell'attimo.
Dal nulla, da dove prima c'era la parte più nera della notte, verso il monte, ora tutto si presentava di un blu intenso, con la silouette delle montagne ancora più blu.
Non avevo ancora finito di ammirare quelle incredibili sfumature, tanto che gli occhi mi correvano da una cresta ad un'altra di quella catena che di giorno vedevi e non vedevi, indifferente ad uno scenario più che consueto, quando i colori cambiarono improvvisamente e si fecero più chiari, più belli.
Dopo ancora pochi attimi, il blu era divenuto rosa, poi giallo, arancio, rosso, poi di nuovo celeste ed il mio compagno mi richiamava dicendomi di stare attento, quella era l'albetta, la zona di tempo prima dell'alba, ancor prima del giorno.
"Senti come tirano i viareggini. Questo era un branchetto di siùro!"
Difatti, dall'altro lato del lago, di fronte, dieci chilometri a nord, una gragnola di colpi si era sentita distintamente e l'invidia per i rivali di caccia e di paese, era pari all'interesse per l'avvenimento.
Ora vedevi le cannelle dove prima era un rigo nero, il lago cambiò posizione, da unica orizzontale linea chiara, divenne acqua e circolo ed i primi storni si allontanavano dal luogo dove avevano dormito.
Anche i rumori cambiavano: la notte li esaltava ed il giorno li affievoliva. Ora sentivi solo un brusio indistinto ed era il mondo che si svegliava.
Prima due, poi cinque, poi stormi di uccellini ed uccelletti si alzarono dalle canne e dal falasco per andare nei campi o sui tetti del paese, come tanti pendolari alati.
Ora si allentava la tensione spasmodica dell'udito e della vista che avevi martoriato nella notte. Il sole che stava nascendo alle tue spalle ti diceva che era l'ora di smontare.
Raccolte le anatre, intirizzite quanto te e forse più, anche se erano state messe sul tardi a cambio delle altre, perchè erano le più chiacchierone, raccolto un uovo che una aveva fatto nell'acqua bassa e che era meglio che niente, si spinse il barchino con quel lungo legno che serviva per remare in piedi ed era insieme stanga e remo e, con la promessa fattami dall'amico di riportarmici un'altra volta, andai a casa con gli occhi che ancora mi facevano male, le gambe che non funzionavano tanto bene, i piedi che non li sentivo, le mani che se le avessi battute mi sarebbero cascate le dita a pezzetti, una fame che mi stritolava le budella che mi si torcevano per l'ultima bevuta di gnacche, come diceva Toni, ma nel cuore un rimpianto per la fine di quella meravigliosa, indimenticabile, inverosimile e irripetibile notte all'aspetto in una botte su un chiaro in padule.
Forse questo è l'unico modo di capire i vecchianesi, che sennò sarebbe un lavorone!

Fonte: la foto è di tanto, tanto tempo fa!
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