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L'articolo di oggi non poteva non far riferimento alla festa del SS. Crocifisso che Pontasserchio si appresta a celebrare, il 28 aprile.Da quella ricorrenza è nata la Fiera del 28, che poi da diversi anni si è trasformata in Agrifiera, pronta ad essere inaugurata il 19 aprile per aprire i battenti sabato 20.La vicenda che viene narrata, con il riferimento al miracolo del SS. Crocifisso, riguarda la diatriba sorta tra parroci per il possesso di una campana alla fine del '700, originata dalla "dismissione" delle due vecchie chiese di Vecchializia. 

. . . non discuto. Voi riformisti fate il vostro cammino .....
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Succede quando alla .....
. . . ipotetica, assurda e illogica. L'unica cosa .....
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Bardi (c. d) 56% e rotti
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per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Ecco la lista di Vicopisano in Cammino.
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di Federica Fantozzi
Arturo Parisi. “Non tutta la colpa è di Schlein. E non tutti i segretari sono leader”

1/6/2023 - 17:51

Arturo Parisi. “Non tutta la colpa è di Schlein. E non tutti i segretari sono leader”

Intervista col professore ideologo dell’Ulivo:

 

“Oggi l’appeal di Meloni è più forte di quello di Elly, e la destra sa selezionare i candidati meglio della sinistra. O magari sono i migliori candidati a scegliere la destra. L’unica scissione di cui preoccuparsi è quella degli elettori”

“A meno di 80 giorni dalla sua proclamazione a segretaria Elly Schlein è già sola. La luna di miele con gli elettori, ammesso che ci sia stata, sembra finita prima della data convenzionale dei cento giorni. Non tutti i segretari sono leader”. Arturo Parisi è di ritorno dal tredicesimo convegno internazionale “Elections and Democracy Today. Where Is Representation Going?” promosso presso l’Università di Urbino dalla Sise (Società Italiana di Studi Elettorali) della quale il professore ideologo dell’Ulivo è stato prima tra i fondatori e poi presidente. Un ritorno al suo mestiere di analista “scientifico” della politica che gli ha offerto una finestra particolareggiata su questo voto. Spiega: “Purtroppo dobbiamo prendere atto che al momento l’appeal di Elly Schlein è meno forte di quello di Giorgia Meloni. Ma non caricherei sulla nuova segretaria tutte le responsabilità”.

Il primo turno delle amministrative lasciava molti conti aperti, ma questi ballottaggi per il centrosinistra sono una disfatta. Al centrodestra vanno 5 capoluoghi su 7. Sorpreso?

Lasciamo da parte gli addendi, dove tra capoluoghi e comuni superiori ai 15mila abitanti ho letto di uno squilibrio tra i due campi ancora peggiore. Quello che conta è il totale e, aggiungo, la lettura totale. Più che l’irrisione scontata dei giornali ostili, a colpirmi è stata la gara delle testate considerate vicine alla segreteria attuale nel prendere le distanze dal Pd. E scendendo precipitosamente dal carro dato appena ieri vincitore, a prendere così le distanze da sé stessi. Mentre ci parliamo ho sotto gli occhi un “Il vento della destra” gridato a tutta pagina sotto la stessa testata che appena due settimane fa aveva titolato, egualmente a tutta pagina, “L’onda di destra si è fermata”.
Forse è stato l’effetto doccia gelata: storicamente al secondo turno è favorita la sinistra.
Povera Elly Schlein! A meno di 80 giorni dalla sua proclamazione a segretaria è già così sola. La luna di miele con gli elettori, ammesso che ci sia stata, sembra già finita prima della data convenzionale dei cento giorni. Nulla di male: non tutti i segretari sono leader, e lei è legittima titolare della carica a cui si era candidata”.
Lei quale spiegazione si è data? Attribuire ogni colpa al vento di destra che soffia dappertutto è vero ma anche un po’ auto-consolatorio.
Spiegazioni?

Diciamo che in un turno amministrativo locale così circoscritto sono più chiare le conseguenze che le cause. L’estensione territoriale qualche domanda tuttavia la impone. E più che in domande astrali che cercano la risposta nelle stelle dell’intero Paese e, come vedo, sempre più in su, nel cielo dell’intera Europa e addirittura del Mondo, cercherei la risposta riconoscendo che gli eventi locali di cui parliamo sono innanzitutto tra loro distinti, e allo stesso esito dell’azione dei candidati in competizione. Non di una partita di livello nazionale giocata e diretta da soggetti nazionali. Da protagonisti locali sempre più soli e sempre più frequentemente gelosi della propria solitudine.
Sta dicendo che il centrodestra aveva candidati più competitivi? Anche la storia della buona capacità di amministrare i territori da parte della sinistra si sta trasformando in leggenda?
La domanda che mi porrei è proprio: come accade che abbiano prevalso quelli che hanno accettato di essere in qualche modo associati alla destra più che al campo avverso? E ancora prima: come è accaduto che la destra abbia intercettato candidati che disponevano di un maggiore consenso di quelli intercettati dalla sinistra? Una risposta è quella che ha dato Salvatore Vassallo direttore dell’Istituto Cattaneo: che la destra abbia sviluppato, cioè, una maggiore capacità di selezione. Un’altra spiegazione potrebbe essere invece che a scegliere siano stati i candidati più che i partiti. Cioè a dire che i candidati più competitivi fossero più disponibili ad essere associati alla destra o più indisponibili ad essere associati alla sinistra. Questo perché pensavano che i voti, e prima ancora le liste di candidati coalizzate, e i voti conquistati o perduti a causa di un tipo di connotazione fossero maggiori da quelli derivanti dalla connotazione opposta.
Pisa, Siena e Massa a destra: la Toscana è un’ex regione rossa. Nelle Marche, Ancona passa a Forza Italia nonostante il buon governo riconosciuto all’amministrazione uscente. Meloni ha detto che non esistono più roccaforti. È il dato più preoccupante?
In verità le roccaforti di un tempo sopravvivono solo grazie alla pigrizia intellettuale di troppi analisti e a quella professionale di troppi narratori. Certo, anche con un semplice drone si può intravvedere tra l’erba la traccia di mura di costruzioni dei secoli andati. Ma le zone cosiddette zone geopolitiche della mia giovinezza di studioso, la rossa, la bianca, eccetera, sono oramai da tempo un ricordo passato. Ho ancora negli occhi le ultime mappe elettorali appena illustrate a Urbino da Ilvo Diamanti: un’Italia tutta blu con al centro a cavallo tra Emilia e Toscana solo dieci province con il Pd primo partito. E solo in quattro vincente alla guida di una coalizione di centrosinistra.
Si salva solo Vicenza con il trentenne Giacomo Possamai, Dem con un profilo molto locale, quasi civico. A punto che non ha voluto né la leader né big di partito sul palco. Quasi il bis della vittoria di Damiano Tommasi a Verona. L'unica strada residua è questa?
Non a caso. In comuni che furono a lungo bianchi, e poi contesi dalla Liga, associarsi al Pd e ancor più a quello attuale è sembrata una strada sconsigliabile. Meglio vincere da soli grazie ad un profilo inclusivo, che perdere a causa di un profilo che esclude e respinge.
Le note dolenti per il Pd, insomma, vanno ben oltre le contingenze. Schlein ha detto: sconfitta netta, ma non si vince da soli, la responsabilità di costruire una coalizione è di tutti. Cinque stelle in primis. La neo-segretaria Dem può ancora chiamarsi fuori da questa sconfitta o, come nota maliziosamente Matteo Salvini, il suo effetto non c’è stato?
Lasciamo stare Salvini. Purtroppo dobbiamo prendere atto che al momento l’appeal di Elly Schlein è meno forte di quello di Giorgia Meloni. Nonostante o forse a causa che la prima segga al Nazareno da settantasette giorni, e nonostante o forse a causa che la seconda segga a Palazzo Chigi oramai da sette mesi. Quanto alle responsabilità mi guarderei tuttavia dal caricarle sulla nuova segretaria. Se si è certo esagerato nel ricondurre ai suoi meriti l’interruzione della discesa a vite attivata dal suo predecessore e sponsor, a sua volta caricato di tre anni di errori, non vorrei si esagerasse nell’intestarle le colpe della mancata avanzata.
Il campo largo, anche dove c’era, non ha funzionato. Giuseppe Conte è più competitor che alleato. Siamo all’accanimento terapeutico?
Campo largo! Prima delle ultime politiche era poco più di una formula. Dopo soltanto un’eco. Ora né una cosa né l’altra. Leggo che in quel “non si vince da soli” della segretaria a botta calda starebbe un’accusa a Conte e ai suoi. Sconsiglierei di insistere. L’unione è infatti al momento poco più di una ipotesi. Perché diventi tesi c’è ancora da lavorare. Molto. La costruzione delle coalizioni è un’arte faticosa che, oltre a condizioni oggettive favorevoli, richiede pazienza, sapienza, ed esperienza. Niente è dovuto. Niente è scontato. Mai! Ancor di più mentre già l’orologio di una competizione di tutti contro tutti come quella europea ha iniziato a scandire il conto alla rovescia.
Le correnti più moderate e i cattolici sono sul piede di guerra imputando a Schlein un deficit di riformismo e una gestione solipsistica. Lei è preoccupato? Vede un rischio scissione?
La scissione della quale preoccuparsi – ripeto: scissione, non fuoriuscite isolate – è la scissione tra gli elettori, non tra gli eletti. Per il Pd, così come per ogni partito fatto di nominati sempre in attesa di conferma, il rischio maggiore è quello di conservare tutti gli eletti e di perdere gli elettori. Come dissi proprio a Huffpost all’indomani dell’elezione di Elly Schlein, e diversamente da quel che è poi accaduto, l’unico modo per evitare il destino di un partito unanimistico composto di quadri sempre incerti tra l’applauso e la valigia sull’uscio, è un confronto aperto, leale e trasparente dentro una stabile unità. Chi ha vinto guidi il partito dentro le regole convenute. Chi non concorda dica la sua senza chiedere spazi o permesso, rispettando le decisioni della maggioranza, ma senza mettere in causa l’unità.
A proposito di elezioni e democrazia, come si intitolava il suo convegno, tra un anno ci saranno le Europee che potrebbero cambiare radicalmente gli assetti dell’Ue. A questo Pd è imputata finora un’impalpabilità e un’assenza di mordente su questioni chiave. Qual è – se c’è – la ricetta per evitare dieci anni di governo del centrodestra?
Puntare di nuovo verso il largo. Ricordando che la politica è finalizzata al governo del Paese, non alla semplice rappresentanza di una parte in nome del passato. E che in democrazia il governo si fonda sul consenso più ampio raccolto su un progetto tra la gente e non invece tessuto alle sue spalle.
 




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