L'analisi del nuovo articolo di Franco Gabbani si sposta questa volta nel mondo di un associazionismo antesignano, le confraternite, necessarie per togliere dall'isolamento e dal mutismo le popolazioni delle campagne, anche se basate esclusivamente sui pricipi della religione.
E d'altra parte, le confraternite, sia pur "laiche", erano sottoposte alla guida del parroco.Sono state comunque i primi strumenti non solo di carità per i più bisognosi, ma soprattutto le prime esperienze di protezione sociale verso contadini ed operai.
In questo nuovo articolo sui protagonisti dei Mondi Naturali, Simona smette l'abito filosofico-ambientalista degli ultimi scritti, per tornare agli elementi fondamentali dell'osservazione e della descrizione di esistenze spesso brevi ma complesse, affascinanti per le interazioni e le connessioni nei vari momenti.
Una descrizione a tratti anche romantica, ma senza perdere i caratteri micidiali lella competizione per la vita.
Un testo bellissimo che, come dice lei, tenta di far immergere le persone nei prati. E ci riesce benissimo.
Sandro Petri
MONDI NATURALI
Il soggetto occulto
di Simona Tedesco
Primavera: in bonifica il canneto dello scorso anno predomina nella scena.
Non è più fitto, ma diradato e la luce passa attraverso i rami più lunghi che sembrano scheletri fruscianti fatti ondeggiare dal vento.
La nuova stagione sta arrivando e alla base di canali e stagni spuntano le nuove foglie verdeggianti che in una manciata di settimane cambieranno il paesaggio.
Da pochi giorni sono arrivati gli uccelli migratori: tra loro i cannareccioni.
Passano il periodo invernale nell’Africa tropicale, subsahariana, per poi affrontare la lunga migrazione verso nord per venire a fare il nido e riprodursi alle nostre latitudini.
Hanno viaggiato per migliaia di chilometri, attraversando il Mediterraneo e risalendo le coste italiche con la sola forza delle ali, guidati da un istinto superiore dopo aver superato le mille difficoltà che possono aver incontrato.
Passeriformi di una ventina di centimetri e pochi grammi di peso, dalla coda lunga e dal colore marroncino per nascondersi facilmente in mezzo alle canne che custodiranno il loro nido: un meraviglioso cestino costruito ad arte e ben ancorato ai fusti più robusti.
Sebbene sia piuttosto elusivo, la presenza di questo piccolo uccello non è discreta ed è facile avvistarlo verso il tramonto sulla cima di una canna mentre canta a perdifiato con postura fiera e talvoSlta acrobatica.
Sono i maschi a farlo; arrivano qualche giorno prima delle femmine nel canneto e ingaggiano sfide canore molto rumorose per difendere il fazzoletto di territorio che hanno scelto e per conquistare la compagna.
La scelta sessuale che porterà alla formazione della coppia si basa proprio sulla forza e sull’abilità del canto del maschio.
Anche se le note emesse dal cannareccione non sono melodiose come avviene per altri “cantanti selvatici”, poter assistere a questo momento della loro vita è un’esperienza affascinante. (foto 1,2,3)
Estate, notte: nel campo incolto l’erba alta nasconde l’esistenza frenetica di piccoli esseri. Alcuni riposano dopo aver volato per tutto il giorno, altri approfittano dell’oscurità per uscire dai ripari diurni e cacciare. Il ciclo vitale per quasi tutti è al massimo dello splendore in questa stagione: fra nuove nascite, metamorfosi, mute e accoppiamenti il prato è un brulicare di esperienze e più l’ambiente è naturale e più saranno gli incontri che si potranno fare.
Sotto gli ombrelli del fiore della carota selvatica riposa una libellula piuttosto comune: il cardinale venerosse (foto 4).
È una specie definita pioniera, una buona colonizzatrice di ambienti anche non perfettamente integri.
Per tutto il giorno ha cacciato senza sosta, nutrendosi di zanzare, effimere e mosche e adesso desidera soltanto recuperare la fatica attaccandosi allo stelo saldamente. Il corpo e le ali si coprono di minuscole goccioline di rugiada, se non viene disturbata passerà qui la notte evitando di volare e disperdere energie.
A poca distanza da questa scena tranquilla qualcuno sta architettando un agguato.
È una mantide religiosa: è uscita dal suo nascondiglio diurno per salire sopra uno stelo.
Sta immobile in attesa che qualche sventurato insetto le passi abbastanza vicino da poterlo catturare con uno scatto fulmineo.
Le sue zampe anteriori, le raptatorie, vengono usate come pinze per cingere la preda che avrà poche chances di scappare. (foto 5 e 6)
Qualche passo nell’erba alta rivela un nuovo miracolo…la muta di una locusta dalle lunghe antenne in fase di passaggio dallo stadio di neanide a quello di adulto. Il suo corpo è diventato troppo stretto per contenerla e la liberazione da quell’armatura trasparente è uno spettacolo affascinante da osservare.
Si è attaccata saldamente ad un esile filo d’erba e con uno sforzo pazzesco il piccolo corpicino emerge dall’esoscheletro. Impiegherà circa un’ora per fuoriuscire totalmente con movimenti lenti ma decisi e attenderà dell’altro tempo per distendere le grandi ali che adesso appaiono fragili e mollicce.
Una fase delicata in cui l’animale è completamente esposto ai predatori. (foto 7 e 8)
Le scene appena descritte sono quelle documentate nelle fotografie che accompagnano questo testo, in cui gli animali si stagliano in qualche modo nella luce naturale del tramonto o in quella artificiale di una torcia.
La silhouette messa in risalto dal controluce rende i soggetti protagonisti delle fotografie, andando ad occupare in parte il fotogramma proprio nel punto in cui dovrebbe cadere l’occhio di chi guarda l’immagine.
Il cannareccione, la libellula, la mantide, la cavalletta sembrano a turno solitarie nello scatto ma è un’illusione.
Personalmente ho sempre cercato, guardando una fotografia di scovare il soggetto occulto. Colui o colei che è presente nella scena anche se non si vede: il fotografo.
Quasi subito nel processo di analisi di un’immagine, dopo aver osservato la composizione, la luce, il soggetto, la situazione, l‘inquadratura, la mente inizia a fare domande sull’altro soggetto, quello nascosto dietro alla fotocamera.
Dov’era il fotografo? Come ha fatto a realizzare quella fotografia? Ha interagito con il soggetto? Com’era posizionato? Cosa pensava?
La risposta a tutte queste domande è nella fotografia: non possiamo vedere il fotografo ma possiamo capire molto di lui.
L’ampiezza della scena, l’altezza da terra, svelano il posizionamento. Il momento rappresentato e il comportamento dell’animale inquadrato tradiscono se c’è stata una qualche interazione, se sono stati usati richiami sonori, nel caso degli uccelli o se gli insetti sono stati spostati dal loro posatoio naturale.
E ancora: la distanza dal soggetto, l’obiettivo utilizzato, la posizione del punto di ripresa fanno comprendere molto della psicologia di chi immortala quella scena.
Conoscendo gli animali e il loro comportamento si arriva a determinare con buona certezza l’atteggiamento umano di chi vuole controllare la situazione, dominarla o semplicemente osservarla.
Personalmente diffido da certe fotografie spettacolari, quando alla fine di tutte queste domande anche una soltanto mi fa intuire che la situazione rappresentata è stata ricreata, costruita o artefatta.
O peggio, quando si comprende che l’animale è una preda dell’uomo e che la fotografia è paragonabile a una cattura, che può aver messo in pericolo una nidificazione o fase delicata della vita del selvatico.
Preferisco pensare al fotografo di natura come ad un osservatore errante che rimane affascinato da quello che gli accade attorno durante le passeggiate per boschi, prati e acquitrini.
Una persona che conosce le regole naturali e che decide di non alterare nessuna situazione, che sa rinunciare a una fotografia quando le condizioni non sono possibili, che si inchina di fronte all’esistenza di un essere fragile, abbassando lo sguardo fino a portare l’obiettivo all’altezza dei suoi occhi.