Con questo articolo termina la seconda serie di interventi di Franco Gabbani, attraverso i quali sono state esaminate e rivitalizzate storie e vicende del nostro territorio lungo tutto il secolo del 1800, spaziando tra fine '700 e inizi del '900 su accadimenti storici e vite di personaggi, che hanno inciso fortemente oppure sono state semplici testimonianze del vivere civile di quei tempi.
Uno dei più scontrosi uccelli della fauna “alata” si è fatto vedere nel mio giardino, in fondo in fondo, per un breve sopralluogo, ma abbastanza da essere fotografato.
Bell’esemplare di uno dei più discussi uccelli per la sua disattenzione della prole che differenzia il cuculo dalle altre specie per la mancanza della cova da parte della femmina. Una volta pronta alla deposizione, questa cerca un nido nei canneti del padule e vi depone un solo uovo togliendo uno di quelli già deposti. I nidi prescelti, stranamente, sono di uccelli insettivori di piccola taglia, in special modo quelli di cannaiole o cannareccioni, dove il nuovo inquilino, appena schiuderà, se la farà da padrone.
La veloce crescita dell’intruso fa deperire i legittimi figli che sono alla fine cacciati dal nido, quasi sempre sfiniti per la denutrizione. La coppia dei genitori adottivi si adopererà così al solo suo mantenimento con un amore che va oltre alla differenza di taglia, colore e razza. In tempi lontani era considerato un segno di ben augurio per la sua comparsa all’inizio della primavera e una credenza imponeva ai contadini di tenere un pezzo di pane sotto il cuscino perché, appena svegli, potessero non essere digiuni al primo canto del cuculo, pena disgrazie o malattie durante la giornata.
Un’altra credenza era quella che attribuiva l’immortalità al cuculo tanto che, ancora adesso, si mantiene il detto “vecchio come il cucco”. Ancora un’altra: il suo schivare l’uomo, e i luoghi abitati in genere, ha trasposto in un gioco da bambini il suo verso che viene detto all’apparire di chi si era nascosto: “CUCÙ”.
Numerose sono le filastrocche o le poesie sul modo di cantare o di comportamento di questo affascinante uccello.
Al sud dicono:
“All’Annunziata si u’ cucule n’à cantate, o è muerte o è malate”
In Toscana cantano:
“Al cinque d’aprile il cucco deve venire:
se non viene ai sette o agli otto
o ch’è perso o ch’è morto;
se non viene ai dieci
egli è perso per le siepi;
se non viene ai venti
egli è perso tra i frumenti;
se non viene ai trenta
il pastor l’ha mangiato con la polenta”.
Il Pascoli recita:
“Fantasma tu giungi, tu parti mistero. ...Quest’anno…oh quest’anno la gioia vien teco: già l’odo, o m’inganno, quell’eco dell’eco; già l’odo cantare Cu…cu”.
Le ragazze nubili domandano:
"O cucco, cucco dal becco fiorito,
dimmi quant’anni sto a prender marito,
o cucco, o cucco dalle penne d’oro
dimmi quant’anni sto a prender tesoro,
o cucco, o cucco dalle penne rare
dimmi quant’anni starò qui a parlare”.
E basta contare il numero delle volte che l’uccello ripete il suo verso.
Vi sono pure credenze di simbolismo negativo da parte del cuculo, derivate dal comportamento strano della sua femmina. Bisogna però dire che il parassitismo non è adulterio e la “cucula” non tradisce il maschio, ma si limita solamente a deporre le uova in altri nidi, ma ciò non basta a non far chiamare “cuculo”, dai francesi e dagli inglesi, (rispettivamente “cocu” e “cuckold”), il marito cornuto.
In Bretagna la mamma dello sposo dice al figlio appena sposato: “Attento a non fare entrare il cuculo in casa!”
E Shakespeare, allora, ricorda:
“Quante viole e pratoline e i billeri d’argento e i ranuncoli dal giallo crine fanno ogni prato d’april contento, il cucco allor su ogni pianta burla i mariti ché così canta:
Cucù
Cucù, cucù, lugubre suono
ingrato a orecchi di consorte!”