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Anche per il 2024 si terrà il concorso ideato da MdS Editore dedicato al territorio e all'ambiente, attraverso le espressioni letterarie ed artistiche delle sezioni Racconto, Poesia, Pittura.tpl_page_itolo di quest'anno sarà "Area Protetta".Per questa dodicesima edizione, oltre al consueto patrocinio dell'Ente Parco Regionale Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli, che metterà a disposizione la bella sala Gronchi per la cerimonia di premiazione, partner dell'iniziativa saranno la Sezione Soci Versilia-Valdiserchio di Unicoop Firenze e l'associazione La Voce del Serchio.

. . . non discuto. Voi riformisti fate il vostro cammino .....
. . . l'area di centro. Vero!
Succede quando alla .....
. . . ipotetica, assurda e illogica. L'unica cosa .....
. . . leggo:
Bardi (c. d) 56% e rotti
Marrese ( c. .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Di Gavia
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di Michelle Rose Reardon a cura di Giampiero Mazzini
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di Mollica's
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Di Siciliainprogress
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C'è qualcosa, un tesoro
che tutti cercano.
Non è pietra preziosa
ne' scrigno d'oro:
si chiama semplicemente
LAVORO
Se poi al lavoro
si aggiunge .....
La Proloco di San Giuliano Terme, attenta alla promozione e alla valorizzazione dell'ambiente indice il concorso "il giardino e il terrazzo più bello" .....
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La SITA.

23/11/2023 - 17:58


La SITA (Società Italiana Trasporti Automobilistici) partiva da Nodica per Pisa la mattina presto, passando per: Vecchiano - Pontasserchio - Limiti - Pappiana - Orzignano - Mammozze - San Giuliano - Via del Brennero.Era il solo mezzo che portava operai e impiegati al lavoro in città e riportava a casa la sera e per anni i viaggiatori, gli utenti, hanno chiamato Sita ogni sorta di pullman.Un'amica mi racconta che quando era bimbetta si chiedeva cosa fosse quella "corriera" che la zia di città diceva aver preso per venire a trovarla."Oh,  c'era la Sita, mia la ‘orriera!"  e un'altra signora siciliana, sposata a Vecchiano, dice di essersi sempre domandata cosa volesse dire il suocero, quella volta che andò a conoscere i parenti in Sicilia, quando diceva di essere arrivato con la Sita dalla stazione in paese.La Sita?

 "Mi 'ompri un sitino?", diceva il bimbetto alla mamma quando alla fiera vedeva le automobiline e i purmini di latta, belli colorati rossi e blu, che andavano a molla e che la perdevi subito.Questa è la storia di un viaggio in purma, o colla Sita.

Cesarino del Palla e la Vincenzina del Bertelli, dopo venti anni di fidanzamento, si sposarono nella chiesa di San Michele Arcangelo in una bella mattina di fine primavera, dopo aver finito di potare le viti lui e di munger le vacche lei.Il rinfresco fu fatto con una decina di parenti stretti, in casa della nonna della Vincenzina, sotto monte, in quello stanzone dove mettevano a seccare il granoturco dopo la morte del nonno e dello zio, quando furono vendute tutte le mucche, non avendo più la vecchia, che comunque era voluta restare da sola con le sue cose e i suoi ricordi, forza di mantenere gli animali.Gli invitati si sedettero sulle mangiatoie vuote, a mo' di panche, mangiarono pane e prosciutto, dolci fatti in casa, duri come mattoni, ma che si ammorbidivano bene con due o tre bicchieri di vino dolce, quello che ogni famiglia si faceva con l'uva bianca imbottigliata mentre ancora il mosto bolliva e che veniva poi filtrato e travasato tre o quattro volte, se prima la bottiglia non scoppiava per i gas di fermentazione. Finiti una decina di fiaschi di vino, un intero rotolo di carne secca e quasi un prosciutto, gli invitati si incamminarono dietro il calesse prestato loro dal fattore del Massarosa e dove avevano preso posto i due sposini.Stretti entrambi sulla panca e negli abiti nuovi, eccitati dal vino bevuto, toccando lei leggermente la mano del compagno pensando alla sera che l’aspettava e della quale le aveva parlato sua zia, non sua madre, infilandosi nervosamente lui l'altra mano in tasca per vedere se c'erano le fedi e pensando a quanto le aveva pagate, con quel corteo di amici che sfottevano per il passo che stavano facendo e azzardando anche battute maliziose sulla prima notte che si domandavano avessero retto, la sposa e lo sposo arrivarono alla chiesa dove si era radunata già una piccola folla di curiosi e conoscenti.Tutto andò liscio fino al sì.La mamma di lei, che osservava tutto e tutti, i vestiti delle donne riunite nella destra della chiesa e le facce degli uomini raccolti nell'altro lato, avrebbe voluto spostarsi dal suo posto in prima fila per andare a dare due scapaccioni ai due bambini che avevano avuto il compito di tenere lo strascico della figlia, lungo e immacolato, come d'altra parte lo era chi lo portava.I due bimbi stavano dondolandosi un po' troppo, anzi non stavano mai fermi e, quando poi al maschietto venne la voglia di pulirsi alla becca del velo il dito che aveva ficcato poco prima nel naso, allora la donna non ce la fece più e con uno scatto si alzò facendo volare su quella testolina una patta che suonò come un gong nel silenzio della chiesa.La mamma del bambino balzò dalla sua panca prendendo al volo con una mano il figlio che stava cadendo e dando con l'altra una spinta nel petto della suocera dello sposo che si era girato per baciare la "ora moglie" e aveva visto che il fratello della donna, zio del bimbetto, stava cercando di uscire dal suo posto facendosi largo a gomitate.Cesarino corse allora verso suo cognato per dirgli di stare attento alla madre e si dimenticò che aveva, un secondo prima, aperto le braccia per accogliere la sposa nel primo bacio solenne e solennizzato.La Vincenzina, chiudendo gli occhi, si era lasciata andare in avanti, convinta di essere accolta nelle braccia sognate e sicure.Cadde in giù, battendo una solenne nasata nella sedia da dove si era appena alzato il marito ed il sangue sprizzò a macchiare di rosso il bianco dell'abito con dodici ore di anticipo su quello che avrebbe indicato il lenzuolo la mattina successiv. Il prete si mise le mani nei capelli indignato per quello che stava succedendo e si rovesciò in capo il secchiellino dell'acqua santa che era servito a benedire gli anelli e che non aveva ancora posato.I chierichetti dettero sfogo ad un'ora di tensione che li aveva attanagliati per tutta la durata della funzione e cominciarono a correre per la navata girando intorno all'altare facendo un baccano del diavolo in quel luogo santo con le loro scarpe di "coio" con le suole di legno dai tacchi rinforzati con piastrine di ferro fatte a mezzaluna.Fortunatamente l'indignazione prese il sopravvento sulla rabbia e chi si era creduto offeso si allontanò dalla chiesa senza cercare soddisfazione in un litigio che sarebbe poi degenerato in una rissa.Cesarino baciò e consolò la sposa più affettuosamente che poté', suo suocero disse alla moglie che gliela avrebbe fatta pagare perchè, quando c'era da far confusione, "lei era sempre pronta", i parenti si erano radunati tutti in cerchio intorno agli sposi quasi a difenderli ed il prete farfugliò un frettoloso "ite missa est" mentre raccoglieva il breviario e cercava fra le panche il pennello delle benedizioni.Al pranzo apparecchiato nella stessa stanza del rinfresco, su tavole fatte con assi da muratore, sistemate su caprette di legno e ricoperte di lenzuoli, fu ristabilita la calma perchè bisognava fare onore ai primi e ai secondi.Davanti al posto della Vincenzina c'era un piatto coperto dove la sposa scoprì una bella carota un po' ricurva con due pomodori di contorno e capì a cosa si riferissero solo quando gli altri commensali cominciarono a ridere a crepapelle facendola arrossire ed abbassare la testa, mentre con una mano, sotto il tavolo, stringeva il ginocchio del marito così forte che lui si girò a guardarla con un sobbalzo.Vino e lasagne con un ragù che era un secondo piatto, coniglio arrosto e vino, vino e anatra muta in umido con le olive delle loro serbate in salamoia, pollo fritto con patate e vino, vino con gallina e asparagi lessi, paste tonde con lo zucchero di vaniglia sopra che si vedeva bene anche sui vestiti scuri fatti apposta per l'occasione, altro vino e finì anche quel pranzo con la promessa di ritrovarsi a cena "a finire gli avanzi", per quelli che abitavano vicino, ed il rammarico degli altri che la Vincenzina era l'ultima donna della famiglia che si sposasse.C'era ora il problema del viaggio di nozze. Lo facevano e lo avevano fatto tutti gli altri, parenti e non, e quindi andava fatto.Avevano saputo di gente che era andata a Roma e che aveva avuto scippata la borsa con i soldi ed era dovuta ritornare a casa con il foglio di via dei carabinieri, ma loro non avevano soldi e non sapevano neppure dove fosse Roma.Altri erano andati a fare un giro in treno, ma loro il treno non l'avevano nemmeno mai visto e poi di lì non ci passava.C'era chi aveva usato il calesse, l'auto, la diligenza, ma da quel misero posto isolato non c'era nessun mezzo di trasporto che fosse utilizzabile.Rimaneva la SITA che passava due volte al giorno dal paese distante tre o quattro chilometri, di là dalla collina, dietro la curva che il Serchio fa dopo aver lasciato il territorio lucchese e superate le Cateratte.Andarono al bar davanti al quale fermava l'autobus e domandarono agli affaccendati, che sembrava non facessero altro che aspettare di veder arrivare il pullman, a che ora passasse:"Alle tre e mezzo.""E dove va?""Va a Pisa e viceversa."Cesarino e Vincenzina si consultarono senza parlare, guardandosi negli occhi, e decisero di avventurarsi a Pisa e viceversa.Salutarono padre e madre, nipoti e cognati e, con gli stessi abiti della cerimonia lui ed una gonna plissettata lei, con sopra un golfino di lana che aveva fatto e ricamato sua nonna quando ancora aveva la vista buona e non le tremavano le mani, salirono sul pullman celeste che era arrivato dal lungomonte.Al conduttore chiesero due biglietti per Pisa e Viceversa, pagarono con gli spiccioli nascosti nel fazzoletto annodato che la mogliettina, previdente e malfidata, slacciò volgendo le spalle, cercando di allargarle il più possibile come fa la chioccia per nascondere i pulcini.Si misero a sedere a destra del pullman che, in quella corsa, contava solamente tre donne che andavano all'ospedale per il passo delle quattro a trovare e portare cena a parenti allettati che non richiedevano il semolino e l'acqua che passava il Santa Chiara, ma vino e spezzatino di maiale con le patate e bello unto.Dopo i primi muti minuti di viaggio ed i primi chilometri fatti con il naso appiccicato al vetro ed appiccicati loro stessi l'uno all'altra, per non perdere niente di quello che sfilava fuori dallo stretto finestrino, cominciarono a commentare quello che vedevano."Badalì ver trattore come mangia la tèra!", diceva lui, "sembra vello der mi' zio.""O Ce', varda quanti panni stesi a quella 'asa. O quanti letti ci avrà per ave' tante lenzola?" replicava lei."O Vi', varda vell'omo 'olla vespa! Boia 'ome mi garberebbe anco a me, saddìo però vanto 'osta!""Vanta tera, vanti arberi, ma poi se si vanga anco vel pezzetto che mi toccherà vando moie nonna, ci si mettano anco noi, eh Ce'?"Arrivarono in città dopo venti minuti dalla partenza e dopo aver visto più cose di quante ne potessero immaginare e Pisa li finì.Automobili che li frastornavano, semafori che li facevano arrabbiare perchè non passava nessuno quando prima ti venivano tutti addosso, palazzi alti e fitti fitti, gente dappertutto e rumori mai sentiti.La sirena lacerante di un'autoambulanza che li sorpassò fece accapponare loro la pelle e spinse i due sposini nelle braccia l'uno dell'altra a cercar reciproco conforto, anche se non sapevano il significato di quel suono, ma intuendone il segno di pericolo.Al capolinea della stazione, dopo che erano rimasti gli unici passeggeri, non si accorsero nemmeno dei dieci minuti di sosta che il pullman stava facendo, tutti presi a contemplare quel casermone marroncino, con le porte e senza "porte", da dove entravano e uscivano decine e decine di persone con borse e valige, chiedendosi se andavano a portare o a prendere qualcosa là dentro.Salì un nuovo autista ed un nuovo fattorino chiese e strappò loro i biglietti, e gli sposi si prepararono a partire per la nuova destinazione.Rividero case e auto, negozi e genti, tanti quanti nel primo viaggio e poi ancora campi ed un meraviglioso viale di alberi, che riconobbero come platani, ed in lontananza verdi colline.Guardavano e sorridevano alle persone che erano salite a Pisa e che ora scendevano in quel bel paese dove erano appena entrati, con un bel canale di acqua pulita e corrente e il treno che passò sbuffando davanti al loro pullman, inspiegabilmente fermo, li fece riabbracciare.O cosa era?Un accidente di ferro che fischiava e strideva si allontanò verso i monti, una campanella suonò e finalmente ripresero a camminare, restando sempre stretti al finestrino, eccitati da tutto quello che vedevano e che avevano paura di non farcela a tenere a mente per raccontarlo ai parenti.Dopo altri dieci minuti di viaggio lungomonte e lungo un argine, arrivarono in un paese che aveva una chiesa con qualcosa di familiare.La fermata era vicina ad un bar e ad una fontanella dove le donne del paese andavano a riempire brocche e fiaschi.Con le guance arrossate dall'eccitazione e dagli stropiccii per poter far entrare ambedue le teste fra le tendine di quel piccolo spazio da dove sfilava quel meraviglioso mondo, Cesarino si rivolse a Vincenzina contento e sorridente."O Vi', ma bada un po' com'è strano 'r mondo. Si cammina, si cammina, si vede tante 'ose belle, ma la gente sembra sempre l'istessa. Varda là vella donna alla fonte 'ndella piazza. Se 'un si fusse a Viceversa, sembrerebbe la mi' zia Argia!"

 

La foto è di una "Sita" parcheggiata in Via del Serchio a Nodica di fronte alla casa dell'autista che usciva ogni tanto, con la tazza del caffè in mano, per controllare se c'erano "clienti".

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7/12/2023 - 8:48

AUTORE:
Anna Tomeo

Ma che bel matrimonio e che viaggio di nozze originale, mi piace proprio molto meglio di quelli che fanno oggi e con milioni di soldi spesi soltanto per far mangiare bene gli ospiti e per ricordare una giornata così importante. Bene io sono sicura che Vincenzina ha portato con se il ricordo di quel bellissimo viaggio in un autobus rosso come il suo sangue sull'altare.