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L'articolo di oggi non poteva non far riferimento alla festa del SS. Crocifisso che Pontasserchio si appresta a celebrare, il 28 aprile.Da quella ricorrenza è nata la Fiera del 28, che poi da diversi anni si è trasformata in Agrifiera, pronta ad essere inaugurata il 19 aprile per aprire i battenti sabato 20.La vicenda che viene narrata, con il riferimento al miracolo del SS. Crocifisso, riguarda la diatriba sorta tra parroci per il possesso di una campana alla fine del '700, originata dalla "dismissione" delle due vecchie chiese di Vecchializia. 

. . . non discuto. Voi riformisti fate il vostro cammino .....
. . . l'area di centro. Vero!
Succede quando alla .....
. . . ipotetica, assurda e illogica. L'unica cosa .....
. . . leggo:
Bardi (c. d) 56% e rotti
Marrese ( c. .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Di Gavia
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di Michelle Rose Reardon a cura di Giampiero Mazzini
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di Mollica's
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Di Siciliainprogress
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C'è qualcosa, un tesoro
che tutti cercano.
Non è pietra preziosa
ne' scrigno d'oro:
si chiama semplicemente
LAVORO
Se poi al lavoro
si aggiunge .....
La Proloco di San Giuliano Terme, attenta alla promozione e alla valorizzazione dell'ambiente indice il concorso "il giardino e il terrazzo più bello" .....
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Da sotto l'albero a sotto il bicchiere aspettando primavera.

26/12/2023 - 8:07



La filastrocca
 
I bambini correvano nell’erba umida del prato.
Erano felici di quella libertà concessa loro dalle mamme riunite a parlare sotto il portico dopo la fine delle faccende domestiche. Le donne sapevano che nulla sarebbe successo, non c’erano auto in giro, i cani erano legati e non c’erano nemmeno i famosi perïoli dei quali temevano le massaie anziane.
La luna illuminava dolcemente il frutteto alla fine del campo d’erba medica; si potevano intravedere i peschi che portavano già grossi frutti verdi, ancora troppo acerbi per essere addentati, anche se qualche tentativo era già stato fatto, con le solite sgridate del capoccia:
“Lassatele sta’, en dure come ‘r muro, vi fan male alla pancia e se ‘un vi fan male loro, ve lo faccio io con du’ nocchini ner ceppione, o duri ‘ome le pina verde!”
Mancava poco alla fine della scuola, i compiti erano diradati, c’era più tempo la sera per giocare e si stava bene al fresco della notte, i genitori erano raddolciti come il clima e poi erano arrivate le lucciole. Dio come erano belle!
Il prato era un cielo rovesciato, un firmamento a portata di mano dove non c’era il turbamento della immensità della quantità che sconvolgeva le giovani menti dei ragazzi e quelle stelle, con gli amici, potevi anche azzardarti a contarle, se non si fossero spente lì e accese più in là riconfondendoti in continuazione e facendoti ridere.
Con i pipistrelli che si intravedevano alla lampadina della strada, (tutti gli altri uccelli erano a dormire), le lucciole erano i soli animali delle notti di maggio.
Il buio salvava le lucertole dalla caccia fatta loro con uno stelo di avena con la cima fatta ad anello tipo nodo scorsoio; così pure i passerotti, che l’amore rendeva più avvicinabili, si erano salvati dalle sassate con le fionde fatte con forcelle di olivo o di sanguinella, elastici di gomme di rote di camio, gialle, e stoppaccini di pezzetti di coio di tomaia di zoccoli.
Le mamme avevano promesso, ai maschi, una carabina ad aria compressa, la mitica “Diana 28”, se fossero passati a scuola e quell’idea non faceva dormire, non faceva mai scorrere il tempo.
Nella notte si sentivano le voci di altre bande di ragazzini del paese che abitavano in case coloniche sparse nella campagna. Le grida erano o sembravano vicine, ma non era permesso di andare a trovare i coetanei, solo l’indomani a scuola si sarebbe saputo il perché di tanto chiasso.
A rimpiattarello, alla cavallina, alla settimana, ma dopo un poco tutti a giocare a chiappare le lucciole!
Tutti, piccolini, più grandicelli e ragazzetti, a correre dietro quelle lucine.  
Quante vittime si facevano, involontariamente, nello sbattere le mani per la cattura!
E quanta delusione nel vedere spengersi, con la vita, anche quel tremolio che ti aveva stregato.
Le lucciole erano insensibili al chiasso che i bambini facevano. La loro sola preoccupazione era quella, i ragazzi lo avrebbero capito tanti anni dopo, di cercare la compagna nascosta nell’erba, ma sembrava che i loro zig-zag si moltiplicassero e la velocità aumentasse e una cattura era allora motivo di urla di gioia, era un piccolo trionfo. 

“Ora basta, su bambini, a letto!”
Niente. 
Al terzo, quarto chiamo, a qualcuno venne in mente un acchiapparello.
“Via, ora prendetene due o tre per uno, mettetele sotto un bicchiere rovesciato e andate svelti a letto che domattina, al posto delle lucciole, ci troverete un soldino.”
La cosa funzionò, anche se poi qualche genitore maledì chi l’aveva detto per primo, non per le monete spese per niente, ma per il sonno perso nell’attesa che i figli prendessero il loro, perché la promessa andava mantenuta.
Una parola è una parola!
 
 Come al solito mi sono divertito a scrivere un sonetto, in vernacolo naturalmente perché il dialetto è “natura”, che riguarda questo animaletto che tutti conosciamo come conosciamo la sua filastrocca:


Lucciola, lucciola vien da me,
ti darò pan di re;
pan di re e di regina
lucciola, lucciola  vien vicina!

 

Ecco la mia:

 

La filastrocca bugiarda
 
Sogna e su’ prati uggiosi dalla guazza,
‘velle serate lunghe e appicciose
‘vando ‘r calore ar sòlo ti stramazza                                     
 e amore fa ‘ndorcì’ le più scontrose.
 
Cantò ‘r bimbo pe’ falla  su’ regina,
promisse una vita degna di pascià,
ori, gioielli, come re di Cina,
ma ‘nvece ora ni tocca ‘ntegamà’.
 
Chiusa coll’amïe fa lippe lappe,
ora costretta tutta la nottata
a fa’ vienì’ e sòrdi dalle ‘hiappe.
 
Chi l’averà pe’ pprimo araccontata
che ‘velle beschie, messe sotto vetro,
cianno la ‘assaforte ner didietro?

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