Nei suoi numerosi articoli sulla storia del territorio, Franco Gabbani ha finora preso come riferimento, personaggi o avvenimenti storici, inquadrandoli nella cornice degli usi e delle norme dell'epoca.
Questa volta prende spunto da situazioni e argomenti curiosi, spigolature come le chiama.
Al di là dei fatti precisi, quello che colpisce particolarmente, è il linguaggio usato nei documenti, non solo formale e involuto, come da sempre ci ha abituato la burocrazia, ma spesso anche di difficile comprensione, esplicitando l'evoluzione continua della lingua e dei termini.
“Babbo e ci sciarba là, ‘ndell’acqua torba,
ora ci butto ‘r becio colla lenza”
“Attrapoo m’accei, popò di ‘hiorba,
chi va a ppescà bisogna abbi pazienza!”
“Guardami mamma come corro sodo
E ccome chiapp’ar volo la ciccina”
“O chiorbone riguarda ‘r cibo ammodo
No! Fermo! Presto chiudi la bocchina!”
“Dai nini, ora tira ‘r pescio fori,
io dio di cert’è ‘n ber testone.
È un cefalo! Cioccone … se n’è ito!”
“Cosa dian di sopra e pescatori?
L’han capita che eri un mugginone
e fan ben’a cchiamatti ‘ncefal…ito!”