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Anche per il 2024 si terrà il concorso ideato da MdS Editore dedicato al territorio e all'ambiente, attraverso le espressioni letterarie ed artistiche delle sezioni Racconto, Poesia, Pittura.tpl_page_itolo di quest'anno sarà "Area Protetta".Per questa dodicesima edizione, oltre al consueto patrocinio dell'Ente Parco Regionale Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli, che metterà a disposizione la bella sala Gronchi per la cerimonia di premiazione, partner dell'iniziativa saranno la Sezione Soci Versilia-Valdiserchio di Unicoop Firenze e l'associazione La Voce del Serchio.

Comune di San Giuliano Terme - comunicazione
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Prefettura di Pisa – Ufficio Territoriale del Governo
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Massimiliano Angori
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. . . non discuto. Voi riformisti fate il vostro cammino .....
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Succede quando alla .....
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Bardi (c. d) 56% e rotti
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per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com

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IMMAGINA San Giuliano Terme
I nostri candidati
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Se poi al lavoro
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di Emilia Patta
L’elezione diretta del premier e i nodi non risolti: che cosa ci dice la riforma del governo

7/4/2024 - 11:49

L’elezione diretta del premier e i nodi non risolti: che cosa ci dice la riforma del governo


Il Ddl Casellati pronto per l’esame dell’Aula del Senato. Elezione diretta per governare cinque anni, legge elettorale che garantisce la maggioranza, niente più governi tecnici. Ma restano i nodi del sistema di voto e del “secondo premier”

 I punti chiave

La rivoluzione copernicana dell’elezione diretta del premier
La legge elettorale e il nodo ballottaggio che divide la maggioranza....
... e quello del voto dei 5 milioni di italiani all’estero
Il potere di scioglimento delle Camere c’è, ma a metà
I tre casi previsti di soluzione delle crisi
Il caso (non normato) della mancata fiducia su un provvedimento
Il ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica....
... e i suoi poteri reali
Il problema della flessibilità del sistema in caso di crisi esterne

Elezione diretta del premier, che resta al potere per cinque anni grazie a una legge elettorale che “garantisce” la maggioranza dei seggi in Parlamento, che non può essere rieletto dopo due mandati consecutivi e che può essere sostituito in casi particolari solo una volta nella legislatura, e comunque solo da un parlamentare che fa parte della coalizione vincitrice delle elezioni. Tradotto: niente più governi di larghe intese e niente più governi tecnici guidati da personalità estranee al Parlamento (Mario Monti, Mario Draghi). Almeno queste sono le intenzioni della riforma della Costituzione messa in campo dal governo. «Scelgono gli italiani chi li governa, non i giochi di palazzo», è lo slogan già pronto per la campagna elettorale delle europee della premier Giorgia Meloni. La dead line per il primo via libera della commissione Affari costituzionali al Ddl Casellati e l’approdo in Aula è già fissato: 23 aprile. Ma che cosa prevede nel dettaglio il testo che verosimilmente, salvo qualche piccola ulteriore modifica, uscirà in prima lettura dal Senato?

La rivoluzione copernicana dell’elezione diretta del premier

L’intenzione del governo è stata sempre, fin dall’inizio, quella di modificare pochissimi articoli della Costituzione per un ritocco “chirurgico” alla forma di governo. E in effetti ad essere completamente riscritti sono solo gli articoli 92 e 94 della Costituzione (Titolo III - Il Governo/Sezione I-Il Consiglio dei Ministri), ma l’effetto è quello di una vera e propria rivoluzione copernicana del nostro sistema istituzionale. «Il presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto per cinque anni, per non più di due legislature consecutive, elevate a tre qualora nella precedenti abbia ricoperto l’incarico per un periodo inferiore a sette anni e sei mesi. Le elezioni delle Camere e del presidente del Consiglio hanno luogo contestualmente», recita il nuovo articolo 92. Ma come verrà eletto il premier, con quale sistema elettorale? Ecco che cosa stabilisce il testo: «La legge disciplina il sistema per l’elezione delle Camere e del presidente del Consiglio, assegnando un premio di base nazionale che garantisca una maggioranza dei seggi in ciascuna delle Camere alle liste e ai candidati collegati al presidente del Consiglio, nel rispetto del principio di rappresentatività e di tutela della minoranze linguistiche».

La legge elettorale e il nodo ballottaggio che divide la maggioranza....

Viene dunque fissato il principio della governabilità, ossia della maggioranza certa per il premier eletto, demandando alla legge ordinaria i meccanismi del sistema di voto. La previsione di un premio di maggioranza rimanda a una legge di impianto proporzionale, ma non è fissata una soglia al di sopra della quale può scattare il premio per evitare che sia abnorme (la Consulta ha stabilito nelle sue sentenze che il premio di maggioranza non può superare il 15%), né quindi viene previsto che cosa accade se nessuno raggiunge quella soglia (unica soluzione per avere un esito certo in questo caso è la previsione di un ballottaggio nazionale tra i primi due arrivati). Una mancanza che rende il testo obiettivamente lacunoso e problematico, come ha sottolineato dalle file di Fratelli d’Italia anche l’ex presidente del Senato Marcello Pera. La verità è che la maggioranza di governo è divisa sul nodo fondamentale delle modalità di elezione del premier e, a ricasco, dei parlamentari: Fratelli d’Italia e Forza Italia sono favorevoli a fissare una soglia al 40/45% al di sotto della quale si va al ballottaggio (anche se le opposizioni fanno notare che così si rischia di eleggere un premier di minoranza, laddove in tutti i Paesi dove è prevista l’elezione diretta di una carica monocratica la soglia per il ballottaggio è il 50%), mentre la Lega è storicamente contraria al ballottaggio e immagina un sistema a turno unico con premio come quello in vigore per eleggere i presidenti di regione. Ma un tale sistema sarebbe quasi sicuramente bocciato dalla Consulta...

... e quello del voto dei 5 milioni di italiani all’estero

Inoltre è stato sottovalutato, per stessa ammissione della ministra azzurra per le Riforme Elisabetta Casellati e del presidente meloniano della commissione Affari costituzionali del Senato Alberto Balboni, il nodo del voto degli italiani all’Estero. Come ha fatto notare per prima in audizione la costituzionalista Roberta Caivano, i cinque milioni di nostri concittadini all’estero potrebbero rovesciare qualsiasi risultato: oggi il loro voto viene incanalato nella circoscrizione estero, che elegge otto deputati e quattro senatori, ma in caso di elezione diretta ogni voto vale uno. «L’unica soluzione - suggerisce l’esperto di sistemi elettorali e istituzionali Giuseppe Calderisi - è quella di determinare l’esito delle elezioni in base ai seggi. Ma in questo caso non si potrebbe più scrivere in Costituzione che il premier è “eletto a suffragio universale e diretto”, ma si potrebbe comunque scrivere che è “eletto il candidato premier collegato con il raggruppamento che ha ottenuto...”». Insomma, un bel rebus anche questo.

Il potere di scioglimento delle Camere c’è, ma a metà

Veniamo ora al nuovo articolo 94 che regola la formazione del governo. La premessa è che la premier Meloni e anche la ministra Casellati avrebbero preferito il sistema del “simul stabunt simul cadent” in vigore nei comuni e nelle regioni, ossia in caso di crisi e di sfiducia si torna alle urne. Ma poi, anche per insistenza della Lega, si è optato per un sistema che lascia un qualche margine di flessibilità. Intanto va sottolineato che il premier aggiunge al potere di proporre al Capo dello Stato la nomina dei ministri anche quello di proporne la revoca. Quanto al potere del premier di proporre e ottenere lo scioglimento delle Camere in caso in crisi, potere che è il vero deterrente delle crisi politiche e che molti colleghi europei hanno sia pure in diverse forme, la strada scelta con il Ddl Casellati è variegata.

I tre casi previsti di soluzione delle crisi

Caso uno: «In caso di revoca della fiducia al Presidente del Consiglio eletto, mediante mozione motivata, il Presidente della Repubblica scioglie le Camere». Qui tutto chiaro: si torna dritti alle urne, e quindi è improbabile che venga presentata tale mozione di sfiducia a meno di non volere la fine della legislatura. Caso due: «In caso di dimissioni volontarie del presidente del Consiglio eletto, previa informativa parlamentare, questi può proporre, entro sette giorni, lo scioglimento delle Camere al Presidente della Repubblica, che lo dispone». Il premier ha dunque la facoltà di chiedere e ottenere lo scioglimento anticipato se c’è una crisi politica extraparlamentare che gli faccia venire meno il supporto di un partito della maggioranza. Caso tre: «Qualora non eserciti tale facoltà e nei casi di morte, impedimento permanente, decadenza, il Presidente della Repubblica può conferire, per una sola volta nel corso della legislatura, l’incarico di formare il Governo al Presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare eletto in collegamento con il presidente del Consiglio». Nel caso in cui il premier eletto non voglia tornare alle urne ha dunque due opzioni: o tentare la strada del reincarico e magari provare a cambiare la maggioranza, sostituendo ad esempio il partito che gli ha tolto l’appoggio con un partito dell’opposizione, oppure può passare la mano ad altro esponente della maggioranza che a quel punto non potrà più essere sostituito («una sola volta nella legislatura»).

Il caso (non normato) della mancata fiducia su un provvedimento

Ma che cosa accade nel caso in cui l’eletto viene battuto nel voto di fiducia su un provvedimento? Il caso semplicemente non è stato normato. Per volontà della Lega, per la precisione, che evidentemente vuole riservarsi la possibilità di disarcionare l’eletto senza rischiare il ritorno alle urne. Secondo il presidente della commissione Balboni e secondo la ministra Casellati, suffragati da alcuni costituzionalisti vicini al governo, questo caso rientra in quello delle dimissioni volontarie e dunque l’eletto potrebbe essere rimandato di fronte alle Camere per verificare la sussistenza del rapporto fiduciario. Per i critici e per molti altri costituzionalisti, invece, nel caso di sconfitta sul voto di fiducia le dimissioni sono obbligate, non volontarie, e dunque l’eletto non potrebbe chiedere lo scioglimento delle Camere e potrebbe essere sostituito. L’interpretazione del testo è dunque incerta, e la non risoluzione di questo nodo espone al non banale rischio di un potenziale conflitto tra poteri dello Stato, ossia il premier eletto e il presidente della Repubblica.

Il ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica....

Le altre modifiche riguardano l’articolo 59, con l’abolizione dei senatori a vita nominati dal presidente della Repubblica (saranno senatori a vita di diritto solo gli ex presidenti della Repubblica) e gli articoli 88 e 89: da una parte viene abolito il semestre bianco, ossia quel periodo di tempo che coincide con gli ultimi sei mesi del settennato del Capo dello Stato in cui non è possibile sciogliere le Camere; dall’altra vengono rafforzati i poteri del presidente della Repubblica togliendo la controfirma a tutta una serie di atti (la nomina del presidente del Consiglio, la nomina dei giudici della Corte costituzionale, la concessione della grazia e la commutazione delle pene, il decreto di indizione delle elezioni e dei referendum, i messaggi al Parlamento e il rinvio delle leggi alla Camere). Inoltre, intervenendo sull’articolo 83, si rafforza il ruolo di garanzia del presidente della Repubblica con la previsione che per la sua elezione la maggioranza assoluta invece dei due terzi dei voti del Parlamento riunito scatta dopo il sesto scrutinio invece che dopo il terzo.

... e i suoi poteri reali

Ma è vero, come sostiene il governo, che i poteri del presidente della Repubblica non vengono toccati dal Ddl Casellati? Formalmente è vero, ma nella sostanza politica il suo ruolo ne esce fortemente ridimensionato. Come si è visto analizzando i nuovi articoli 92 e 94, la risoluzione delle crisi politiche ha sbocchi predeterminati nella maggioranza dei casi. Il Capo dello Stato deve sciogliere le Camere se glie lo chiede il premier eletto, perdendo così il suo vero potere politico che è appunto lo scioglimento. E nel caso in cui il premier decida di passare la mano invece di tornare alle urne i paletti per la nomina del successore impediscono quelle soluzioni di governi tecnici o del presidente che gli inquilini del Colle hanno scelto negli ultimi anni. In sostanza, se questa riforma della Costituzione fosse stata in vigore, non sarebbe stato possibile dar vita al governo di larghe intese presieduto da Mario Monti nel 2011 né a quello presieduto da Mario Draghi nel 2021, in quanto né Monti né Draghi erano parlamentari eletti in collegamento al premier. Allo stesso modo il presidente Sergio Mattarella non avrebbe potuto nel 2018 nominare premier Giuseppe Conte alla guida del governo giallo-verde (M5s-Lega), in quanto non parlamentare.

Il problema della flessibilità del sistema in caso di crisi esterne

Certo, le ultime due legislature sono state particolarmente movimentate perché gli esiti elettorali sia nel 2013 sia nel 2018 non hanno prodotto un vincitore certo che fosse in grado di formare una maggioranza. Con un sistema elettorale maggioritario che produca un vincitore certo il ruolo del presidente della Repubblica sarebbe naturalmente ridotto: egli dovrebbe semplicemente prendere atto del risultato delle elezioni, come per altro accaduto nel 2022 con la netta vittoria del centrodestra a guida Meloni e prima ancora con le vittorie del centrodestra a guida Silvio Berlusconi e del centrosinistra a guida Romano Prodi. Il problema, per i critici, è che il Ddl Casellati disegna un sistema troppo rigido di uscita dalle crisi di governo, mentre occorrerebbe lasciare maggiore flessibilità per affrontare eventuali concomitanze esterne come potrebbero essere una pandemia, una grave crisi internazionale o una guerra.






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