Con questo articolo termina la seconda serie di interventi di Franco Gabbani, attraverso i quali sono state esaminate e rivitalizzate storie e vicende del nostro territorio lungo tutto il secolo del 1800, spaziando tra fine '700 e inizi del '900 su accadimenti storici e vite di personaggi, che hanno inciso fortemente oppure sono state semplici testimonianze del vivere civile di quei tempi.
Sottomissione - Schlein si sente più al sicuro sotto l’ombrello di Berlinguer (e di Conte)
La foto dell’ex segretario del Pci nella tessera del Pd è uno sguardo al passato, un messaggio dubbio sui grandi temi internazionali e una risposta errata alla propaganda grillina
La scelta del Partito democratico di mettere sulla tessera 2024 l’immagine di Enrico Berlinguer piacerà a molti militanti nostalgici di un tempo in cui la politica era una cosa forte, che dava un senso a tutto, alla vita persino, un tempo nel quale il segretario del Pci, di cui l’11 giugno ricorre il quarantennale della morte, fu grande protagonista.
Un uomo importantissimo nella vicenda della sinistra italiana, del quale giustamente si continua a rievocare la politica e anche l’umanità.
Eppure a nostro modesto avviso si tratta di una scelta sbagliata. Non per ragioni di marketing, seppure con quella effige si dia l’impressione di guardare indietro, il che non è esattamente congruente per un partito che voglia volgere tutto se stesso al futuro. Ma per due ragioni, non tanto e non solo di comunicazione: soprattutto politiche in senso stretto.
Una prima ragione è questa. Se è vero che l’identità di un partito non può non modellarsi sulle grandi questioni internazionali, e specie in questo tempo, viene facile osservare che la figura di Enrico Berlinguer non ci dice nulla sulla doppia guerra dei nostri giorni, in Ucraina e in Medio Oriente, anzi, semmai, pur con la dimostrata autonomia da Mosca fino allo “strappo”, egli per un lunghissimo tratto appartenne al campo dominato da quell’Unione Sovietica che è la “madre legittima” della Russia attuale, cioè di uno Stato che ha nel terrore e nella guerra le sue cifre essenziali. Anche se la Storia non è mai identica, tra Breznev e Putin non c’è differenza. E pur con le revisioni finali della sua leadership, Berlinguer potrebbe essere oggi un punto di riferimento per la causa ucraina.
Lo stesso dicasi per la guerra al terrorismo di Hamas combattuta, pur con tutte gli orrori di questi mesi, da Israele, terra mai amata dai comunisti italiani (con qualche eccezione come quella di Umberto Terracini, non a caso per decenni emarginato dal gruppo dirigente). Solo negli anni più vicini – Berlinguer non c’era più da anni – il Pci poi Pds abbandonò il terzomondismo filoarabo per impostare, con Giorgio Napolitano e Piero Fassino, un rapporto di autentica vicinanza con lo Stato ebraico.
Dunque, al di là delle tessere, i simboli del Partito democratico dovrebbero piuttosto essere Alexei Navalny, o Shani Louk, la ragazza morta per le ferite riportate durante il massacro al Nova Festival diventata simbolo degli ostaggi di Hamas. Queste sarebbero state scelte belle. Ma è chiaro – ecco un altro punto critico – che i collaboratori di Elly Schlein hanno voluto ribadire che sulla cosiddetta questione morale che Berlinguer mise al centro della sua iniziativa, il Partito democratico non prende lezioni da nessuno: e a Giuseppe Conte fischieranno le orecchie.
Se così fosse non solo si tratterebbe di una scelta subalterna alla propaganda dell’avvocato, ma condotta nel modo più stereotipato, quello del «noi abbiamo le mani pulite, chi può dire altrettanto?», come si leggeva su un vecchio manifesto del Pci, nel che riemergerebbe uno dei cascami più discutibili di quel partito, la cosiddetta superiorità morale prerogativa dei comunisti.
In realtà Berlinguer fece del rispetto del codice penale uno spartiacque tra “noi” e “loro” che non solo si dimostrò concretamente fallace, ma soprattutto sostituì alla politica la morale, innescando un cortocircuito che portò rapidamente alla supremazia dei magistrati sulla politica.
In quarant’anni si era creduto che tutto questo appartenesse al passato, che cioè la figura, in sé nobile, del segretario del Pci dovesse ormai essere oggetto di studio e di ricordo e non stemma identitario di un partito come il Partito democratico nato per superare le antiche famiglie politiche.
Infine, è probabile che il gruppo dirigente del Partito democratico, che non pare esattamente scosso da fulmini di guerra, voglia veicolare l’ultimo drammatico messaggio che Berlinguer rivolse ai militanti sul palco di Padova dove lo raggiunse il fatale ictus: «Andate casa per casa, strada per strada, scuola per scuola…». Un modo per recuperare un antico e difficile modo di fare politica ormai abbandonato da un paio di generazioni di dirigenti della sinistra, e che la sola immagine di “Enrico” sulla tessera, passata la prima emozione, temiamo che non basterà a rianimare i dirigenti di oggi.