Un paese che amo, il paese della mia mamma.Anche ora quando vado a RIPAFRATTA sono la figlia della "Cocca".
Un paese con una storia importante che conserva vestigia di grande rilievo.
Un paese rimasto inalterato nel tempo, non ci sono insediamenti nuovi, potrebbe essere il set di film d'epoca perché anche le case, le facciate conservano la patina del tempo.Un paese che è ancora comunità.
Prima regola generale: in politica, la forma è sempre sostanza.
Seconda regola generale: in politica, cullarsi sul passato significa perdere l’appuntamento con il futuro.
E’ con il richiamo a queste sue basilari asserzioni che possiamo fare qualche riflessione sulla decisione di Elly Schlein di firmare il referendum della Cgil sull’abrogazione del JobsAct.
Una decisione che, sul versante interno, ha un doppio significato. Il primo: l’archiviazione definitiva del “Partiamo da Noi”, che rimane solo uno slogan, e la consacrazione del modello leaderistico e personalistico che tanto si voleva archiviare. Schlein non ha riunito nessun organo interno per assumere una decisione, e poi comunicarla. Nessuna riunione di segreteria, di direzione, nessun comunicato finale, nessun dibattito. Siccome un segretario di partito, quando firma un referendum, compie un atto che impegna un partito e che esprime una linea politica, da chi ha passato anni a fare il racconto del “partito-comunità”, del “noi che prevale sull’io” e via discorrendo, ci si sarebbe attesi una coerenza sul metodo. Invece, la risposta è stata nel pieno solco del decisionismo personalistico e maggioritario che si voleva archiviare: questo era un punto della mia piattaforma delle primarie (quelle che per inciso lei aveva perso tra gli iscritti, anche se Bonaccini non glielo ha mai ricordato), quindi si fa così. E tanti saluti alla collegialità. La forma è, dunque sostanza: il Pd è sempre più PdS (Partito di Schlein).
Il secondo: alla decisione di firmare, Schlein arriva dopo giorni in cui i principali esponenti interni dell’ala “riformista” avevano fatto appello alla prudenza.
Risultati? Tutti scaricati e tacitati.
Anzi, si rivendica con orgoglio l’alterità rispetto a loro, alla loro linea politica, alle loro decisioni del passato.
E qui si arriva alla seconda regola generale. Nel rincorrere la Cgil, il Movimento 5 Stelle e finanche Alleanza Verdi-Sinistra (forse pungolata dalla intimazione di Fratoianni a “fare i conti con il passato e chiudere definitivamente la stagione renziana”), Elly Schlein decide semplicemente di rinchiudersi nella comoda placenta del passato, con buona pace del suo presunto modernismo wokista.
Il JobsAct, al netto delle discussioni sul merito che pure ne dimostrano la validità contro la logica della caccia alle streghe su di esso costruita, è stata una risposta politica con la quale il principale partito della sinistra italiana, il Partito Democratico, si confrontò con un velocissimo mutamento della struttura economica, sempre più globale, sempre più connessa, cercando un punto di equilibrio tra il libero mercato e la giustizia sociale. E’ proprio contro questa logica di compromesso, di equilibrio e di sintesi che è scagliata tutta la retorica di una sinistra tradizionalista e conservatrice che non ha mai digerito il superamento delle dicotomie che avevano caratterizzato il Novecento, e che avevano creato comode rendite di posizione per la parte meno riformatrice del sindacato.
Resta il fatto che un partito, nel momento in cui decide di abiurare il proprio passato, soprattutto in una materia importante come quella del lavoro cui è intimamente connessa l’identità della sinistra o del centrosinistra se si preferisce, dovrebbe contemporaneamente dire anche come intende sostituire l’aborrita legge.
Invece no. Si pretende sostanzialmente di tornare indietro, di prendere per buone le indicazioni di Conte, di Fratoianni e di Landini pensando che si possa tornare all’Italia degli anni ‘70, magari con la scala mobile, gli scioperi di massa, i sindacati a trattare sul punto unico della contingenza, la cinghia di trasmissione e le bandiere (rosse, ca va sans dire!) in piazza.
Peccato che quel mondo non esista più, che il dentifricio non torna più nel tubetto, e che vivere di passato significa consegnare ad altri (nella fattispecie alla destra di Meloni, tanto aborrita a chiacchiere quanto agevolata nei fatti) una rendita di posizione.
Ma al di là di tutto, questa vicenda ci consegna una constatazione finale, indubbia: con il Pd che arriva ad abiurare le sue scelte del passato, c’è il disvelamento finale di una verità oggettiva. In quel partito lo spazio politico per il riformismo, per la conciliazione delle politiche di libero mercato con un forte impegno per la giustizia sociale in un’ottica di modernità, non esiste più. Gli sforzi del cosiddetto “impegno interno”, per quanto condotti da persone amiche e degne di stima, non servono più a nulla, anzi vengono spazzati via con ignominia e con stizza.
Quello spazio politico, se non si vuole assistere a un copione già scritto che vede una sinistra massimalista consegnare alla destra il potere di default, va tutto riorganizzato e riscritto dentro una nuova dimensione, che non alberga più al Nazareno. Questa è la lezione di questi giorni.