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In questo nuovo articolo di Franco Gabbani viene trattato un argomento basilare per la società dell'epoca, la crescita culturale della popolazione e dei lavoratori, destinati nella stragrande maggioranza ad un completo analfabetismo, e, anzi, il progresso culturale, peraltro ancora a livelli infinitesimali, era totalmente avversato dalle classi governanti e abbienti, per le quali la popolazione delle campagne era destinata esclusivamente ai lavori agricoli, ed inoltre la cultura era vista come strumento rivoluzionario. 

Sei fuori tema. Ma sappiamo per chi parli. . .
. . . non so se sono in tema; ma però partito vuol .....
Quelle sono opinioni contrastanti, il sale della democrazia, .....
. . . non siamo sui canali Mediaset del dopodesinare .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Prima regola generale: in politica, la forma è sempre sostanza.
Seconda regola generale: in politica...

6/5/2024 - 12:36

Prima regola generale: in politica, la forma è sempre sostanza.
Seconda regola generale: in politica, cullarsi sul passato significa perdere l’appuntamento con il futuro.


E’ con il richiamo a queste sue basilari asserzioni che possiamo fare qualche riflessione sulla decisione di Elly Schlein di firmare il referendum della Cgil sull’abrogazione del JobsAct.

Una decisione che, sul versante interno, ha un doppio significato. Il primo: l’archiviazione definitiva del “Partiamo da Noi”, che rimane solo uno slogan, e la consacrazione del modello leaderistico e personalistico che tanto si voleva archiviare. Schlein non ha riunito nessun organo interno per assumere una decisione, e poi comunicarla. Nessuna riunione di segreteria, di direzione, nessun comunicato finale, nessun dibattito. Siccome un segretario di partito, quando firma un referendum, compie un atto che impegna un partito e che esprime una linea politica, da chi ha passato anni a fare il racconto del “partito-comunità”, del “noi che prevale sull’io” e via discorrendo, ci si sarebbe attesi una coerenza sul metodo. Invece, la risposta è stata nel pieno solco del decisionismo personalistico e maggioritario che si voleva archiviare: questo era un punto della mia piattaforma delle primarie (quelle che per inciso lei aveva perso tra gli iscritti, anche se Bonaccini non glielo ha mai ricordato), quindi si fa così. E tanti saluti alla collegialità. La forma è, dunque sostanza: il Pd è sempre più PdS (Partito di Schlein).

Il secondo: alla decisione di firmare, Schlein arriva dopo giorni in cui i principali esponenti interni dell’ala “riformista” avevano fatto appello alla prudenza.

Risultati? Tutti scaricati e tacitati.

Anzi, si rivendica con orgoglio l’alterità rispetto a loro, alla loro linea politica, alle loro decisioni del passato.
E qui si arriva alla seconda regola generale. Nel rincorrere la Cgil, il Movimento 5 Stelle e finanche Alleanza Verdi-Sinistra (forse pungolata dalla intimazione di Fratoianni a “fare i conti con il passato e chiudere definitivamente la stagione renziana”), Elly Schlein decide semplicemente di rinchiudersi nella comoda placenta del passato, con buona pace del suo presunto modernismo wokista.

Il JobsAct, al netto delle discussioni sul merito che pure ne dimostrano la validità contro la logica della caccia alle streghe su di esso costruita, è stata una risposta politica con la quale il principale partito della sinistra italiana, il Partito Democratico, si confrontò con un velocissimo mutamento della struttura economica, sempre più globale, sempre più connessa, cercando un punto di equilibrio tra il libero mercato e la giustizia sociale. E’ proprio contro questa logica di compromesso, di equilibrio e di sintesi che è scagliata tutta la retorica di una sinistra tradizionalista e conservatrice che non ha mai digerito il superamento delle dicotomie che avevano caratterizzato il Novecento, e che avevano creato comode rendite di posizione per la parte meno riformatrice del sindacato.

Resta il fatto che un partito, nel momento in cui decide di abiurare il proprio passato, soprattutto in una materia importante come quella del lavoro cui è intimamente connessa l’identità della sinistra o del centrosinistra se si preferisce, dovrebbe contemporaneamente dire anche come intende sostituire l’aborrita legge.

Invece no. Si pretende sostanzialmente di tornare indietro, di prendere per buone le indicazioni di Conte, di Fratoianni e di Landini pensando che si possa tornare all’Italia degli anni ‘70, magari con la scala mobile, gli scioperi di massa, i sindacati a trattare sul punto unico della contingenza, la cinghia di trasmissione e le bandiere (rosse, ca va sans dire!) in piazza.
Peccato che quel mondo non esista più, che il dentifricio non torna più nel tubetto, e che vivere di passato significa consegnare ad altri (nella fattispecie alla destra di Meloni, tanto aborrita a chiacchiere quanto agevolata nei fatti) una rendita di posizione.
Ma al di là di tutto, questa vicenda ci consegna una constatazione finale, indubbia: con il Pd che arriva ad abiurare le sue scelte del passato, c’è il disvelamento finale di una verità oggettiva. In quel partito lo spazio politico per il riformismo, per la conciliazione delle politiche di libero mercato con un forte impegno per la giustizia sociale in un’ottica di modernità, non esiste più. Gli sforzi del cosiddetto “impegno interno”, per quanto condotti da persone amiche e degne di stima, non servono più a nulla, anzi vengono spazzati via con ignominia e con stizza.

Quello spazio politico, se non si vuole assistere a un copione già scritto che vede una sinistra massimalista consegnare alla destra il potere di default, va tutto riorganizzato e riscritto dentro una nuova dimensione, che non alberga più al Nazareno. Questa è la lezione di questi giorni.





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6/5/2024 - 18:30

AUTORE:
Marco

Che cos’è l’articolo 18?

Il riferimento è alla norma dello Statuto dei lavoratori, approvato nel 1970, che prevede un meccanismo di tutela reale, e non risarcitoria, del lavoratore illegittimamente licenziato, ovvero il diritto a essere reintegrato nel suo posto di lavoro.

È una forma di privilegio?

È un meccanismo normativo che rafforza la tutela di particolari soggetti in particolari situazioni. Una scelta politica «coperta» dall’articolo uno della Costituzione, che fonda la Repubblica democratica sul lavoro. In termini generali, la lesione di un diritto contrattuale può essere sanzionata in due modi: risarcimento monetario o tutela reale. Facciamo un esempio: ordino una pizza a domicilio e me la portano fredda. Il contratto (pizza in cambio di soldi) è stato violato dal pizzaiolo e ho diritto al risarcimento. Posso scegliere che mi diano dei soldi o un’altra pizza, calda. Quest’ultima è una forma di tutela reale. Il legislatore del 1970 riteneva giusto rafforzare la tutela del lavoratore (soggetto debole) nei confronti dell’imprenditore, garantendogli la certezza che, se ingiustamente licenziato, avrebbe riavuto il suo posto di lavoro.

Perché esiste una regola diversa per le piccole imprese?

Nel 1990, la misura del reintegro fu attenuata per le imprese fino a 15 dipendenti (e quelle agricole fino a 5), ovvero il 97 per cento delle aziende italiane, prevedendo la misura della riassunzione (meno onerosa) e quella risarcitoria. Due i motivi: garantire più flessibilità alle imprese meno strutturate e tenere conto della oggettiva difficoltà, per una piccola impresa, di inserire nuovamente nel ciclo produttivo un lavoratore con cui si è rotto il rapporto fiduciario.

Quanti lavoratori sono coinvolti nell’applicazione dell’articolo 18?

Oggi, circa due terzi dei lavoratori nelle imprese private (otto su dodici milioni) lavora in imprese con più di 15 dipendenti ed è interessato al dibattito sull’articolo 18.

Come la riforma Fornero ha cambiato l’articolo 18 nelle imprese con più di 15 dipendenti?

Nel 2012, il governo Monti e il Parlamento hanno modificato la disciplina sui licenziamenti. Prima della riforma, anche un vizio formale del licenziamento (mancata o imprecisa contestazione, intempestività...) dava luogo al reintegro. Dopo la riforma, il giudice deve distinguere: il reintegro resta solo se il fatto su cui è basato si rivela «insussistente» (l’imprenditore dice che l’operaio ha rubato, ma non è vero; l’imprenditore dice che l’operaio arriva tardi in azienda, ma i cartellini risultano timbrati in orario; l’imprenditore dice che l’ufficio viene chiuso e l’impiegato non serve più, in realtà fa fare lo stesso lavoro a un altro che ha appena assunto). Insomma, se l’azienda la fa proprio sporca. In tutti gli altri casi (quindi tutte le violazioni formali e quelle sostanziali purché non manifeste), anche se accerta l’illegittimità, il giudice non può più reintegrare il lavoratore, ma solo stabilire un risarcimento tra dodici e ventiquattro mensilità.

Quali sono le conseguenze della riforma Fornero?

Una cosa è certa: l’applicabilità della tutela del reintegro in caso di licenziamento illegittimo è stata ridotta, quella del risarcimento ampliata. Sui nuovi confini, i giudici si stanno esprimendo con non poche difficoltà interpretative. In generale, il reintegro resta solo nei casi estremi di palese violazione da parte del datore di lavoro. Nei casi in cui le prove non sono univoche, c’è il risarcimento. Nell’incertezza, aumenta l’incentivo a trovare un accordo economico. Anche il lavoratore che ritiene di essere stato licenziato ingiustamente, è indotto a rinunciare all’azione giudiziaria, dal momento che il giudice, anche dandogli ragione, potrebbe alla fine non reintegralo bensì corrispondergli un risarcimento. Allora, come si dice, meglio «pochi maledetti e subito».

Questo vale anche per i licenziamenti discriminatori?

No. Sia prima che dopo la riforma Fornero, il reintegro resta la sanzione naturale ai licenziamenti discriminatori (orientamenti sessuali, religione, opinioni politiche, attività sindacale, motivi razziali o linguistici, handicap, gravidanza, matrimonio, malattia) a prescindere dal numero di dipendenti dell’impresa. «L’articolo 18 che esiste attualmente è ben lontano da quello originario dello Statuto dei lavoratori e di fatto esiste solo per i licenziamenti discriminatori», ha detto a Radio Radicale Donata Gottardi, docente di diritto del lavoro all’università di Verona ed ex europarlamentare del Pd.

Che cosa vuole fare Renzi?

Eliminare il reintegro in tutti i casi, eccetto i licenziamenti discriminatori. In uno scambio di sms con il governatore del Piemonte Sergio Chiamparino, pubblicato da Paolo Griseri sul quotidiano «La Repubblica», si ipotizzavano alcune proposte più specifiche.

Che cosa prevede il «lodo Chiamparino»?

In sintesi, la disciplina che verrebbe fuori sarebbe questa: se il lavoratore ritiene di essere stato licenziato ingiustamente, non può rivolgersi al giudice ma solo a una commissione arbitrale. «Il giudice non ci deve mettere becco», scrive Chiamparino in un sms. Non si capisce ancora chi sceglie l’arbitro, tra quali soggetti, e chi lo paga, ma è evidente l’intento di «degiurisdizionalizzare» la materia. In ogni caso, l’arbitro può stabilire che il licenziamento è giustificato (e allora il lavoratore paga le spese e non ha diritto al risarcimento) oppure che è illegittimo. In tal caso, decide la misura del risarcimento, minore rispetto a quello oggi previsto. Il reintegro resterebbe solo in caso di licenziamento discriminatorio, ma con una «casistica molto limitata» di «violazione di diritti civili e politici». Ritenendo di essere stato discriminato, il lavoratore si rivolgerebbe al giudice. Ma cambierebbero anche le regole della prova, che sarebbe invertita: da un lato, l’azienda sarebbe garantita da una «presunzione di giusta causa» quando licenzia (non deve dimostrare la negligenza del lavoratore, è il lavoratore a dover dimostrare che l’azienda sbaglia); dall’altro, il lavoratore sarebbe gravato dall’onore di provare la discriminazione (il che è talmente difficile che l’Unione Europea ha emanato nel 2000 una direttiva per alleviare l’onere probatorio del lavoratore).

Quali sarebbero gli effetti del «lodo Chiamparino»?

L’ulteriore riduzione dell’applicabilità del reintegro e l’inversione della prova, al limite di quella che i giuristi definiscono «probatio diabolica», provocherebbe un ulteriore incentivo a «monetizzare» il licenziamento. Il risarcimento resterebbe come ipotesi «virtuale».

Fonte " La Stampa " 29 settembre 2014 by G. Salvaggiulo

6/5/2024 - 15:21

AUTORE:
Dispetto

...albergherebbe di grazia ? Ah...au milieu...oui oui