Tornano, dopo la pausa estiva, i racconti storici di Franco Gabbani.
Un articolo, come per altri in precedenza, legato interamente alle vicende personali di una persona dell'epoca, una donna che ha vissuto intensamente una vita, ragionevolmente lunga, che potremmo definire di ribellione al ruolo che ai tempi si riconosceva alle donne, in aperta opposizione ai vincoli, alle scelte e al giudizio che la società di allora le riservava.
Cent’anni fa Giacomo Leopardi scrisse uno dei più bei Canti, sempre mesti come il suo essere, ma che hanno lasciato un segno nei piccoli cuori degli scolari, anche i più retrivi a studiar poesie: Il passero solitario.
Monticola solitarius, nome scientifico datole da Linneo nel 1758, dice tutto sul suo habitat e abitudini. È frequente sulle pareti rocciose dei monti vecchianesi, ma molto schiva tanto da costringere chi vuol fotografarla a lunghi appostamenti, cosa lontanissima dal mio modo di far foto.
Quel giorno che sono andato a Calci da amici di mio figlio lei, anzi lui (ma lo sapeva Giacomo che sono azzurri solo i maschi?) era lì, sfatando tutte le dicerie che lo davano per animale scontroso.
Non è un impagliato da museo o da salotto, ha cacato in diretta sul ginocchio!
Riduco per non tediare il lettore abituato alle mie sconclusionate scritture, ma (tristemente a malincuore) mi immedesimo, usando però il nome vero ornitologico: Passera!
D’in su la vetta della torre antica,
passero solitario, alla campagna
cantando vai finché non more il giorno;
ed erra l’armonia per questa valle. […]
non compagni, non voli,
non ti cal d’allegria, schivi gli spassi;
canti, e così trapassi
dell’anno e di tua vita il più bel fiore. […]
Oimè, quanto somiglia
al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
della novella età dolce famiglia,
e te, german di giovinezza, amore, […]
che parrà di tal voglia?
Che di quest’anni miei? Che di me stesso?
Ahi! pentirommi, e spesso,
ma sconsolato, volgerommi indietro.