Il nuovo articolo di Franco Gabbani non riguarda un personaggio o un evento in particolare, ma esamina un aspetto sociale e lavorativo che, presente da molti secoli, ebbe grande sviluppo nell'800 ( fino all'inizio del '900), ma che fortunatamente terminò relativamente presto, grazie agli sviluppi economici e scientifici.
Si tratta del baliatico, un'attività spesso vista benevolmente, ma che è stata definita "calamità occupazionale"
“I figli non sono nostri, non vengono da noi ma attraverso noi, non bisogna considerarli nostre proprietà, non devono essere costretti a pensarla come noi, a fare la nostra vita, perché hanno i loro pensieri, in ogni caso è bene che li abbiano e se li tengano stretti…” Khalil Gibran
“ La stanza di Giovanni “ di James Baldwin è un libro che non ho collocato nel suo tempo fino a quando non ho consultato la biografia dello scrittore, subito dopo averlo letto. Di solito faccio il contrario. Stavolta no. Sono le strane percezioni che nascono dall’ approccio emotivo al “leggere”, per cui in quel momento sentivo che fosse necessario che ignorassi qualsiasi informazione sul libro e sullo scrittore. Fin dall’ inizio ho capito che è una storia doppia, di un figlio e del suo vivere nel mondo, faticosamente e avvilendo la propria natura.
I figli, che spesso o quasi sempre devono portare il peso e le aspettative dei padri e delle madri, i quali si dimenticano la sofferenza che a loro volta hanno dovuto subire quando non sono stati in grado di soddisfarle. E’ un oblio della memoria che permette la ricerca di un riscatto o la prosecuzione della propria vita attraverso i figli. Un avvitarsi della frustrazione per non riuscire a lasciare questa perversione familiare. Prigionieri di uno specchio che fatalmente non può che riflettere se stessi e a cui vogliamo aggiungere forzatamente i figli e le figlie.
Non possiamo permettere che vi si sottraggano …
” Ma da chi sei nato tu ? “
Frase agghiacciante che li sprofonda nel senso di colpa, ma anche imprigiona il genitore nel ruolo di carnefice, così lontano e in contraddizione con l’ amore che in realtà essi provano per loro. David, il protagonista di questo libro, vive in pieno questo dramma sociale. Decide quindi di sottrarvisi lasciando gli Stati Uniti, che sono casa, per andare in Francia. A Parigi scopre che se ne è andato soprattutto per cercare di negare a sé stesso la propria omosessualità, che affiora prepotente in una città aperta e permissiva, in cui essere diversi vuol dire comunque vivere in un ghetto, fatto di locali e personaggi promiscui, con una sessualità sconcia, feroce perversa. Come se si volesse punire la propria natura, sentendola e ritenendola malata. Imponendole il sesso e negandole il sentimento. Il vivere in una relazione affettiva compiuta. Probabilmente è proprio a questo punto che ho capito che il tempo della storia non coincideva con quello attuale. Non poteva tanta disperata sofferenza appartenere al mondo odierno, di cui una parte ancora non accetta l‘omosessualità ma in cui gli omosessuali accettano finalmente sé stessi. Come tutti quanti diversi e unici.
E liberi di amare chi si vuole.
(Giovanni morirà perché David rifiuterà di amarlo.. scegliendo per ambedue l‘abisso)
Ps “ I nostri pensieri divergono come il modo di interpretare la vita, ma questo dimostra quanta libertà ti ho dato… faticosamente dato…”