Nei suoi numerosi articoli sulla storia del territorio, Franco Gabbani ha finora preso come riferimento, personaggi o avvenimenti storici, inquadrandoli nella cornice degli usi e delle norme dell'epoca.
Questa volta prende spunto da situazioni e argomenti curiosi, spigolature come le chiama.
Al di là dei fatti precisi, quello che colpisce particolarmente, è il linguaggio usato nei documenti, non solo formale e involuto, come da sempre ci ha abituato la burocrazia, ma spesso anche di difficile comprensione, esplicitando l'evoluzione continua della lingua e dei termini.
JOBS ACT, VUOL DIRE ANCHE INTEGRAZIONE E CITTADINANZA.
Prima di essere sommersi dalla marea di chiacchiere sul Jobs Act dagli estrattori di reddito parlamentare, i faticatori dalle “man callose ed il viso abbronzato” dei VeS, dei 5S e di alcuni elefanti PD, o essere trasformati in statue di sale per aver guardato Landini concionare sull’argomento, segnaliamo tre menzogne che, in vista del referendum abrogativo, saranno il cavallo di battaglia del sì alla cancellazione di una legge che ha fatto solo bene ai lavoratori e all’Italia.
UNO: il JA (JOBS ACT) avrebbe aumentato la precarietà dei lavoratori. Falso! Dalla sua entrata in vigore (marzo 2015) ad oggi l’Istat ha certificato che gli occupati a tempo indeterminato sul totale dei lavoratori dipendenti ha mantenuto stabile la sua tendenza in aumento.
Questo aumento ha smentito le previsioni catastrofiche della Cgil sui licenziamenti di massa favoriti dal JA, che non solo non si sono verificati ma il saldo tra chi perdeva e ritrovava o trovava lavoro è rimasto sempre attivo. Anche dopo la fine degli incentivi fiscali per le assunzioni che, paradossalmente per un sindacato, erano stati definiti una “droga” spacciata da Renzi a fini elettoralistici.
DUE: il JA ha reso precari anche i lavoratori a tempo indeterminato perché i licenziati per motivi economici non possono essere reintegrati essendo abolito l’articolo 18. Falso!
Occorre ricordare che l’art. 18 NON è stato abolito dal JA ma dalla legge Fornero nel 2012 approvata dal governo Monti – Berlusconi – Bersani, il primo governo nel quale il leader “più de sinistra” faceva maggioranza col cavaliere che portava in sella, o più realisticamente sul basto.
Renzi, allora, non era neanche alle viste. Comunque l’art. 18 non si applicava a milioni di lavoratori delle imprese al di sotto dei 15 dipendenti che non avevano alcuna tutela che, come diremo, darà loro il JA.
Nel merito, premesso che nella maggior parte dei Paesi europei vige il sistema dell’indennizzo per i licenziamenti per motivi economici, le statistiche ci dicono che, prima del JA, quasi mai questo tipo di licenziati erano reintegrati. Perché le cause di lavoro erano lunghe, costose e psicologicamente pesanti da sopportare. In molti concludevano accettando un indennizzo spesso insoddisfacente.
Il JA ha reso il processo più breve e aumentato gli indennizzi, estendendoli anche a chi ne era escluso.
TRE: il JA ha tolto o ridotto le tutele che avevano i lavoratori prima della sua entrata in vigore. Falso!Prima del JA i milioni di lavoratori di imprese con meno di 15 dipendenti se licenziati, anche per motivi illegittimi, non avevano né reintegro, né indennizzo. Col JA anche quei lavoratori hanno diritto all’indennizzo.Il JA ha reso possibile la sentenza favorevole alla regolarizzazione contrattuale dei Riders, i veri e propri “paria” della precarietà, che col JA hanno ottenuto un quadro legislativo col quale ora tocca ai sindacati dare battaglia, invece che tentare di azzerarlo.Il JA ha abolito la “fabbrica del precariato” costituita dai famigerati contratti a progetto (co.co.pro.) e la vergogna delle dimissioni in bianco per le donne in maternità.
QUATTRO: Il JA non ha certo risolto tutti i problemi del mercato del lavoro, ma dire che è stato negativo non è solo una menzogna, ma un atto ostile nei confronti dei lavoratori.Il JA ha quasi dieci anni, deve essere adeguato ai cambiamenti intervenuti nel frattempo, ma l’allentamento dei vincoli allo sviluppo dell’occupazione che ha permesso il JA ha prodotto, da allora, 4 milioni di occupati in più e dei quali, in quota progressivamente crescente, oltre il 50% a tempo pieno e indeterminato.Il problema di oggi non è di certo l’abrogazione del JA, contro la quale Italia Viva si mobiliterà e staremo a vedere cosa faranno i dirigenti del PD che lo votarono con convinzione.
Il problema di oggi è quello dei bassi salari e stipendi. Occorre dare di più ai lavoratori e la proposta di Italia Viva è detassare completamente tutti gli aumenti derivanti dalla contrattazione, così detta, di secondo livello. Cioè straordinari, premi di produzione e ogni altro beneficio economico derivante dagli accordi con le singole imprese o in specifici territori. Che siano soldi netti in busta paga. Anche per rilanciare i consumi interni e aiutare il ciclo economico. E serve un grande piano di formazione e sostegno alla mobilità dei lavoratori, per adeguarci alle nuove professioni e per far finire questo scandalo delle imprese che cercano i lavoratori che mancano. Con un pensiero forte alla crisi demografica, all’integrazione del lavoro immigrato e al riconoscimento della cittadinanza ai nuovi italiani.
Non è tutto questo importante da discutere, invece dello stolkeraggio di Conte con la fissa di Renzi, delle meschinerie di Bonelli e Fratoianni o delle solite, vecchie polemiche di qualche catafalco del PD?
Serve un nuovo centro sinistra e le battaglie di Italia Viva serviranno a sollecitare tutti, partiti e cittadini, a fare una scelta nuova.
Il resto è la solita minestra.