Il mese scorso è stato presentato un nuovo libro pubblicato dall'Editore MdS, "Il coraggio tra i fiori di ortica", un'opera intensa e profonda cheracconta l'infanzia non solo nella sua dimensione più luminosa, ma anche nelle sue ombre, fatta di giochi e risate, ma anche nelle sue ombre, tra segreti, paure, abusi e battaglie quotidiane che i più piccoli affrontano con straordinaria forza.
Un libro che ci ha subito colpito e per il quale si preannunciava un sicuro interessamento e successo a livello nazionale.
La fiera questa volta sarebbe stata eccezionale: Giappone nella sua Tokio.
Volo sempre senza turbolenze tranne l’arrivo in tarda serata sulle piste giapponesi dove una tormenta inaspettata di neve rendeva l’atterraggio difficile, capito dalla fila interminabile di auto con le luci rotanti sul tetto che erano ai lati della pista. A dire il vero eravamo un po’ preoccupati e la tensione sparì quando l’aereo si fermò slittando ma senza problemi. Tutti i passeggeri applaudirono e noi ci mettemmo a cantare e urlare: Buon Natale (ci mancavano due mesi)!
Saisho, il primo, si chiamava il nostro albergo e noi ne tenemmo fede!
Era impossibile capire la lingua nipponica e più impossibile capire le scritture che invadevano negozi e insegne. Il turismo era più dalle centinaia di isole che Invadevano il Mar del Giappone verso il continente asiatico e l’oceano pacifico di fronte, che quello internazionale come adesso.
La mattina dell’ingresso nel nostro padiglione si presentarono addetti all’ambasciata italiana e una ragazza giapponese, la nostra interprete che ci avrebbe seguito nella comunicazione con i locali. Si presentò con il loro inchino al quale risposi solo io, lei fece un bis e io la segui, poi un altro e un altro ancora finché le chiesi il nome e come si doveva terminare quel piegamento di schiena.
“Sumiko mi chiamo, rispose, e deve terminare la persona che si sente inferiore”. Nel nostro gruppo c’era un viareggino che disse che la ragazza era “sciroccata” e decise di chiamarla “Scirocco”, nome che le rimase per tutto il tempo.
Sumiko mi fece conoscere il Giappone, le sue peculiarità, la sua storia, i costumi e l’alimentazione. Un giorno andammo a seguire una processione in costume antico e ci fermammo davanti ad un carretto che aveva come piano una lastra di metallo con incavi a mezz’uovo e sotto una bombola del gas che la scaldava. Nelle coppette venivano messe pallottole di un macinato di carne (boh?), appena unto e fatto cuocere girandolo spesso. Sumiko ne ordina un cartoccio, io le mangio con gusto e un signore alto e vestito al l’europea domanda alla ragazza che lui era giapponese, ma quelle “cose lì” non le avrebbe mai mangiate e chiedeva il permesso di farmi una fotografia con la bocca piena. Mi veniva da ridere e risposi che se voleva le foto contribuisse all’acquisto. Affare fatto! (il signore in questione è quello alto e pelato della foto di apertura). Il cibo era ottimo saporito, ma meglio non sapere da dove provenisse.
I colleghi erano disperati, non mangiavano quasi nulla, non si fidavano, finché una sera, in una stretta strada del centro di Tokio, arrivò alle narici un conosciuto odore di… funghi fritti! Era un ristorantino dove pagavi un tot e potevi mangiare a sazietà. Una padellata di “morecci asiatici” (l’odore e il sapore erano simili a quelli della nostra macchia) sparì in un ammen, ci mettemmo a turno vicini al forno per prendere per primi la seconda mandata, poi la terza, quarta fino all’esaurimento delle scorte. La sera successiva rieravamo al ristorante delle delizie…ma…appena ci videro arrivare… misero il cartello “CLOSED” alla porta!
Mi sono comprato un kimono per me e uno per mia moglie, una macchina fotografica, bevute di sakè, inebriato di odori sconosciuti e nuovi sapori. A proposito di sakè e inebriato, una sera ero in una strada dove vi erano banchetti di “tuttunpò” e un profumino di arrosto mi stuzzica. In un girarrosto artigianale girava, infilato in uno spiedo, un animale e non potevo rinunciare all’assaggio. Un morso, buono, un bicchiere di sakè, meglio. Un altro e un altro e mi sento toccare su una spalla e dire: “sei italiano?”. Mi volto e vedo un giapponese che ride e continua:
“ho giocato nel Milan anni fa e ho imparato l’italiano. Ma te come fai a mangiare questo arrosto? Ti anticipo la domanda cosa è… è cane!”. Stupito, ma non tanto e, per stare al gioco, dico se vogliamo bere, ovviamente sakè, e così uno io, uno lui mi sembra che tutto intorno tremi mettendomi in imbarazzo passando da ubriaco.
“Hai avuto paura”, mi dice, “no, devo aver bevuto troppo e mi sembra che tutto traballi” e lui: ”qui da noi il terremoto è di casa, ma non temere, non casca nulla!”.
Sumiko mi spiegò perché il Giappone si chiama Impero del Sol Levante: l’isola sulla quale sorge Tokio in antichità si chiamava Nippon, nome che significava o dio o sole e da lì “Sol levante”.
Sayonara Nippon . Ti penserò a lungo.
Sayonara Sumiko. Ti penserò anche con la tramontana o con il libeccio.