Il nuovo articolo di Franco Gabbani non riguarda un personaggio o un evento in particolare, ma esamina un aspetto sociale e lavorativo che, presente da molti secoli, ebbe grande sviluppo nell'800 ( fino all'inizio del '900), ma che fortunatamente terminò relativamente presto, grazie agli sviluppi economici e scientifici.
Si tratta del baliatico, un'attività spesso vista benevolmente, ma che è stata definita "calamità occupazionale"
PAROLE
Mi è molto piaciuto l’articolo di Madamadorè sulle parole come testimonianza diretta del cambiare del nostro tempo, del mutare della nostra società, che ho avuto il desiderio di rimanere in argomento, naturalmente da un diverso punto di vista.
E’ evidente che ormai siamo circondati, assediati, sommersi, affogati dalle parole.
In questo settore i nostri politici sono in prima fila nel promettere, ripromettere, smentire, tranquillizzare, perorare, precisare, puntualizzare, rassicurare, proclamare, offendere talvolta. Ma con molto garbo però, come si addice ad un politico che si guarda bene dall’usare la lingua dei comuni cittadini, quella di tutti i giorni, ma che ha imparato negli anni (spesso nei molti e nei moltissimi anni), ad usare il linguaggio ben più fine e più sottile della politica per cui non dice rivolgendosi all’avversario "sei un bugiardo schifoso e in malafede" ma piuttosto "guardi che lei sta dicendo cose non vere".
E’ dal tempo delle "convergenze parallele" che la politica si trincera dietro a delle parole che spesso non dicono niente o sono addirittura un controsenso, come nel caso appunto delle convergenze che non si incontrano mai. E così nascono il catto-comunista oppure la sfiducia costruttiva, il passo indietro per ripartire (fa venire in mente qualche passata azione bellica non proprio riuscita) o il papa straniero per guardare finalmente in avanti.
Ci circondano, ci circuiscono, ci affondano nelle parole, sempre le stesse anno dopo anno, governo dopo governo e noi, incredibilmente, molto spesso anche gli crediamo. Ma forse vogliamo farlo perché i partiti, nel bene e nel male, rappresentano comunque la nostra speranza, il nostro desiderio di un futuro migliore, per noi e per gli altri, e siamo facilmente condizionati coinvolti dalle loro belle frasi di speranza. Sappiamo bene che per altro verso sono uno dei mali della nostra società avendo occupato, con la loro prepotenza e arroganza, ogni angolo del nostro paese, ogni organo amministrativo, dalle massime cariche fino a quello più infimo, ogni singolo posto a sedere disponibile, come una metastasi che emette cellule maligne per tutto il corpo ma purtroppo non abbiamo altri mezzi di rappresentanza ed è a loro, bene o male, che ci dobbiamo appellare per guardare avanti, per cercare di migliorare la nostra e l’altrui condizione di vita.
Loro ci ricambiano di solito con belle parole, molto spesso vane, che tendono a giustificare con altre parole, sempre nuove che si aggiungono alle vecchie, che specificano, che rassicurano, che spiegano in un divenire continuo che alla fine rischia di mortificare anche la speranza.
Tutto questo disagio lo testimonia la disaffezione crescente dei cittadini verso la politica, il progressivo aumento delle astensioni nelle tornate elettorali, la presenza decrescente di partecipazione nelle riunioni ed assemblee anche di quei partiti di popolo che erano riusciti sempre a smuovere un grande numero di iscritti e simpatizzanti.
Se diamo un’occhiata poi ai programmi elettorali dei partiti è ben difficile distinguere uno dall’altro perché nessuno dichiarerà mai di aumentare le tasse o di non riparare le strade. Perché sono solo parole, non costano niente e fanno un bell’effetto. Sono scritte spesso su depliant patinati, pagati chissà da chi ma qualche sospetto che siano poi a carico nostro penso tutti noi lo abbiamo avuto.
Io spero che in futuro i programmi elettorali siano fatti di poche righe, con indicazioni di tipo generale e con una solenne dichiarazione di onestà e di assoluta garanzia di partecipazione dei cittadini. Basterebbe questo a tracciare la caratteristica di un governo, centrale o periferico, non occorrerebbero dichiarazioni di intenti che rimangono quasi sempre sulla carta, dimenticati dagli stessi elettori che conoscono benissimo lo scopo elettoralistico di questi inutili proclami.
Se poi dalla politica passiamo alla televisione ecco che le parole diventano veramente un’arma micidiale per obnubilare le coscienze. Qui c’è la gara a chi ne usa di più. Non importa se si parla di sciocchezze, non conta la qualità del discorso, la sua utilità sociale, il suo senso educativo, la sua serietà, la sua capacità di far riflettere o di informare. Sono attributi del passato, di una televisione arcaica che non c’è più, quella che voleva insegnare la lingua italiana agli analfabeti e alle popolazioni ancora ancorate all’uso del dialetto, che insegnava ai contadini le principali regole dell’agricoltura, che elargiva anche qualche conforto religioso, qualche notizia sanitaria.
Ora la sua funzione principale è cambiata e deve servire solo come intrattenimento, per far passare il tempo, per evadere da una quotidianità spesso modesta e frustrante, per ascoltare i problemi degli altri per confortarsi dei propri, sempre più spesso per trasformare orrendi fatti di cronaca nera in un vero e proprio reality dove si è oramai smarrito il senso dell’orrore, della pena, del dolore per una povera ragazzina barbaramente uccisa per far posto alla pantomima di un’ennesima puntata di CSI Miami.
Le poche trasmissioni di giornalismo e di inchiesta sono continuamente boicottate, ma anche in queste è molto raro assistere ad una discussione che non esca fuori dalle righe, che il dialogo e la discussione non alzino i toni e si trasformino nel solito duello verbale con sconfinamenti frequenti nel gossip che fanno passare in secondo piano i veri problemi del paese.
Un mare di parole quindi che ci sommerge e ci confonde.
C’è un grande tempio in Cina, uno dei pochi rimasti, che prende il nome di Xuandong Si, il tempio del cielo. Fu eretto circa 1600 anni fa in un posto incredibile, sulla parete rocciosa di un monte che si estende, come grigia roccia per centinaia di metri in alto e su un autentico precipizio in basso.
E’ una struttura imponente sostenuta solamente da sottilissime colonne di legno che ne evidenziano il senso di precarietà. Il tempio è composto da quaranta sale, tutte scolpite nella pietra e collegate tra loro da una serie di passaggi e ponti.
I templi in Cina, nel momento della presa di potere da parte di Mao Tze Dong, erano numerosissimi, diffusissimi sia nelle città che nelle campagne e le varie divinità molto venerate dai cittadini. Ma consumavano troppa ricchezza in olio per gli idoli - diceva Mao- e non era giusto che ci fossero così tanti monaci che non facevano niente mentre il popolo lavorava duro. Molti furono distrutti ed molti altri trasformati in fabbriche, in scuole, in edifici di pubblica utilità. Cose senz’altro più utili al popolo ma in questa maniera, assieme ai templi, furono distrutte anche le vestigia, il prestigio e la storia di una delle più grandi antiche e nobili civiltà di ogni tempo. Una civiltà millenaria permeata dei principi del confucianesimo che aveva alla base della propria religione il rispetto per la famiglia, l’obbedienza, la giustizia, l’altruismo, la benevolenza, doti che sono ancora oggi caratteristiche della civiltà cinese.
Più che una religione il confucianesimo era piuttosto una specie di filosofia esistenziale, indicava semplicemente un modo giusto di vivere, ed infatti nel confucianesimo non esistevano né dogmi assoluti da rispettare né clero da assecondare.
Tutto questo fu spazzato via, insieme ai monaci, agli idoli e ai numerosi templi.
Quello di Xuankong Si è però fortunatamente rimasto. Abbarbicato sulle rocce del monte Heng Shang, vicino a Datong, vi vivono tuttora in perfetta armonia monaci confuciani, buddisti e taoisti.
I monaci taoisti cercano il Tao, la Via, il Sentiero, e la cercano nella quiete assoluta di un luogo lontano da tutto e da tutti, attraverso la meditazione, la contemplazione, l’esercizio del pensiero, l’ascolto del silenzio.
Quando vedono in lontananza qualche puntino nero che avanza, qualche pellegrino che si trascina a piedi lungo il sentiero impervio, mettono sul fuoco una pentola d’acqua per offrire loro un po’ di tè caldo.
Due mondi estremi. Due modi così diversi di vivere la propria vita. Di realizzare se stessi.
Trilussa