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Anche per il 2024 si terrà il concorso ideato da MdS Editore dedicato al territorio e all'ambiente, attraverso le espressioni letterarie ed artistiche delle sezioni Racconto, Poesia, Pittura.tpl_page_itolo di quest'anno sarà "Area Protetta".Per questa dodicesima edizione, oltre al consueto patrocinio dell'Ente Parco Regionale Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli, che metterà a disposizione la bella sala Gronchi per la cerimonia di premiazione, partner dell'iniziativa saranno la Sezione Soci Versilia-Valdiserchio di Unicoop Firenze e l'associazione La Voce del Serchio.

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Di Gavia
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di Michelle Rose Reardon a cura di Giampiero Mazzini
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di Mollica's
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Di Siciliainprogress
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C'è qualcosa, un tesoro
che tutti cercano.
Non è pietra preziosa
ne' scrigno d'oro:
si chiama semplicemente
LAVORO
Se poi al lavoro
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La Proloco di San Giuliano Terme, attenta alla promozione e alla valorizzazione dell'ambiente indice il concorso "il giardino e il terrazzo più bello" .....
D'ANNUNZIO
a cura di Andrea Balestri
D'ANNUNZIO E LA RELIGIONE
(con una missiva a Padre PIO)

17/1/2011 - 20:34

D’ANNUNZIO E LA RELIGIONE
La Contemplazione della morte” 1916, scritta ad Arcachon, alla notizia giunta contemporaneamente, della morte di Giovanni Pascoli e di Adolphe Bermond, l’ottuagenario amico cattolico che aveva cercato di convertire alla religione cristiana Gabriele. Pur nel linguaggio che già mostra i segni delle letture francescane, l’opera è decisamente anticristiana nel senso della celebrazione dell’arte e della bellezza nell’attimo stesso della celebrazione della morte dei due amici: eppure questo è un libro fondamentalmente religioso, proprio per la capacità, che vi si dimostra, di affrontare con trepidazione e un’ombra di timore la presenza e l’immagine della morte. L’opera è preceduta con una dedica “A Mario da Pisa”, nella quale in forma aforistica, è definita la religiosità dannunziana, non più dominata da spiriti anticristiani, ma, anzi disposto a contemplare e a conversare con Cristo, pur cercando un'altra divinità  al di la di lui, quel dio del futuro che è sempre nuovo e diverso e che significa l’assoluta libertà interiore, la creatività continua della vita come dell’arte.  A Bermond è dedicata, con il titolo “XV aprile MCMXII”. E’ questa la vera e propria meditazione della malattia e della morte, con il vecchio amico, sofferente per un cancro, che prega Dio di soffrire ancora un poco, e quindi di avere la grazia di poter sopportare la sofferenza. Altre prose sono “Gesù e il resuscitato” e “Gesù deposto”, dove al motivo evangelico si unisce la celebrazione dei quadri dell’amico Domenico Trentacoste. Poi ci sono le tre parabole del bellissimo nemico: “Il vangelo secondo l’avversario”, “La parabola del figliol prodigo” e “La parabola dell’uomo ricco e del povero Labaro”, hanno la struttura di veri e propri racconti, secondo una misura fra tematica religiosa di ambito cristiano e sottile intento blasfemo. L’arte, insomma, finisce a trionfare della religione.  Esistenza di Dio? Immortalità dell’anima? Problema dell’ al di la? Chi ne ha mai udito parlare e discutere da d’Annunzio? Eppure la solitudine e la clausura, condizione di vita ambedue favorevolissime al raccoglimento, all’astrazione e al distacco dalle cose terrene, sono state praticate da lui con frequenza e durante lunghi periodi della vita. Eppure la morte lo ha sfiorato cento volte, con la sua ala, in pace e in guerra. Ebbene: quale fu il risultato di tutto ciò per il suo animo, dal punto di vista religioso? Nulla. Nemmeno la più lieve modificazione del suo modo di pensare o dei suoi atteggiamenti: Si deve quindi dedurne che “l’inconoscibile”  non risveglia in d’Annunzio, pur così intellettualmente curioso, alcuna curiosità. A 16 anni trovandosi un giorno con alcuni amici che parlavano di suicidio così si espresse:
“Molti si uccidono per fuggire alla vita, nessuno si uccide per fuggire alla morte. Ciò significa che la morte è meno insopportabile della vita”

Cinquant’anni dopo, nel 1929 scrisse:
Che io non sperimenti la malattia ignobile, la pesante vecchiezza, la vergogna della tarda carne superstite allo spirito dimezzato ed estinto”
 
Si può dire che egli accenni alla morte ogni qual volta l’occasione gli viene offerta dalla scomparsa di qualche eroe, o di una persona particolarmente cara; letteralmente egli ne è assolutamente ossessionato. La maggior parte dei suoi scritti ne contengono accenni palesi o velati.  Ora come potrebbe accordarsi una tale convinzione del nostro eroe, col fatto che egli non ha mai accennato alla possibilità di una esistenza ultraterrena, ma al contrario sembra, in ogni suo attodare notevolissima importanza ai godimenti terreni ed uniformarsi al detto: “Post mortem nella voluptas?” Quale convinzione filosofica o religiosa nasconde egli dunque nel profondo del suo animo? Quella dei credenti? Quella degli scettici? Oppure questo suo appello costante alla morte non trova le sue basi in alcuna dottrina filosofica o religiosa, ma è dovuto semplicemente alla sazietà di vivere ad un invincibile orrore alla vecchiaia? D’annunzio non si limita solo ad affermare di desiderare la morte, ma la “bella morte”, e per bella morte non intende affatto quella confortata dalla fede, ma una morte gloriosa in piena efficienza di corpo e di spirito. Sembra che d’Annunzio fosse attratto dal culto di San Francesco d’Assisi; la verità è che egli non crede almeno nel senso cristiano dell’espressione, di una vera fede. Su questo non vi è alcun dubbio. Come non vi è alcun dubbio che il suo proclamato e decantato culto per il santo non abbia di religioso, che l’apparenza. Probabilmente il costante, inconcepibile parallelo che d’Annunzio si ostina a creare fra se ed il santo, ha avuto nell’animo del poeta origini modeste. San Francesco soleva cantare in Francese ed in provenzale, amava i vestiti eleganti e sfarzosi e ne faceva confezionare colorati per attirare a se la sua attrazione, , si appassionava ai tornei, alle cacce, alle giostre ed ai banchetti. Che amava vivande squisite e cibi rari; che nella piana fra Assisi e Perugina combatte da eroe, alla presa alla rocca di Nardi diede la scalata alle mura. Non ha fatto d’Annunzio anche lui tutto questo, in pace ed in guerra?. Per i periodi di misticismo, d’imitazione cristiana, di spregio delle cose terrene esse non esistono che nella sua fervida fantasia; la verità è che l’anima del poeta non è mai stata sostanzialmente religiosa e che le sue emozioni sono sempre state d’essenza profana. Già nella sua gioventù d’Annunzio aveva dato indubbie prove della sua incomprensione religiosa che gli permetteva di vedere e scrivere ambienti e scene di chiesa da un punto di vista esclusivamente profano. Rispettosissimo è invece d’Annunzio e lo è sempre stato per le forme esteriori de culto e la Religione; in genere le relazioni personali con le alte ed umili gerarchie del Clero sono sempre state cordialissime. Anche se alcuni suoi libri furono messi all’ Indice ebbe stima dal papa Leone XIII:
E’ ancora l’unico che sappia scrivere in italiano
 
RAPPORTO TRA SAN FRANCESCO e D’ANNUNZIO
Che la figura di San Francesco in qualche modo sia un punto di riferimento e un modello importante per d'Annunzio non è un'ipotesi azzardata di qualche critico troppo audace, ma è una verità testimoniata dallo stesso poeta che si circonda di immagini del santo anche nella villa di Gardone, passata alla storia con il nome di "Vittoriale degli Italiani", dove trascorse molti anni prima di morire. In effetti è lecito chiedersi cosa accomuni al mito di santità e di spiritualità rinnovata predicato da Francesco il vitalismo "dionisiaco" di d'Annunzio, soprattutto se si pensa ai miti dannunziani dell'esteta e del superuomo così evidentemente antitetici rispetto alla sensibilità del santo tutta votata all'umiltà. La "religiosità francescana", infatti, non è solo un approdo dell'ultimo D'Annunzio, quello del Notturno, ripiegato a esplorare la propria interiorità e inquieto di fronte al pensiero della morte, ma si avverte già nella poesia delle Laudi una certa «commistione di sacro e profano, di sensualità e liturgia» [Baldi, 1994], affatto estranea al decadentismo in genere. Che Francesco si affianchi alla figura dell'esteta-superuomo, in un'interpretazione estetizzante della religiosità cattolica è evidente soprattutto in La sera fiesolana, dove la parola poetica, riecheggiando il Cantico delle creature "Laudata sii" si fa formula magico-liturgica del poeta vate. Il modello è, dunque, funzionale alla trama mitico-religiosa volta a ritualizzare la figura del superuomo (si pensi anche al rapporto panico con la natura), ma l'assidua presenza del santo nella vita e nell'opera del poeta fa pensare ad un'adesione più profonda, all'approdo, o meglio, alla tensione verso un nuovo "mito" dopo il fallimento dei precedenti, destinati ad un'inesorabile sconfitta
 
MISSIVA di D’ANNUNZIO a PADRE PIO
La lettera che d’Annunzio scrisse nella sua residenza del Vittoriale e inviò il 28 Novembre 1924 indicando così il destinatario:
“A Padre Pio in San Francesco”. Una lettera profonda nella quale il Vate, oltre a scavare nel suo spirito, fa riferimento ad un incontro proprio con il frate di Pietralcina. Recluso di lusso al Vittoriale; il Vate non accettò di diventare nel 1923 senatore del Regno d’Italia. Frequenti in quel periodo i suoi viaggi a Lonato, Brescia, “al Monastero dei Padri Trappisti”. Colpito da misticismo, d’Annunzio chiamava “Clarisse” le sue amanti e voleva trasformare la sua dimora in un convento, scrisse così al giovane frate, su cui si erano abbattuti i fulmini del Santo Uffizio

 

“Mio fratello, so da quante favole mondane, o stupide o perfide, sia offuscato l’ardore verace del mio spirito. E perciò m’è testimonianza della tua purità e del tuo acume di Veggente l’aver tu consentito a visitarmi nel mio Eremo, l’aver tu consentito ad un colloquio fraterno con colui che non cessa di cercare coraggiosamente se medesimo. Caterina la Senese mi ha insegnato a “gustare” le anime. Già conosco il pregio della tua anima, Padre Pio. E son certo che Francesco ci sorriderà come quando dall’inconsueto innesto prevedeva il fiore ed il frutto inconsueti. Ave. Pax et bonum. Malum et pax”  
                                                                                       

G. D’Annunzio

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