Il nuovo articolo di Franco Gabbani non riguarda un personaggio o un evento in particolare, ma esamina un aspetto sociale e lavorativo che, presente da molti secoli, ebbe grande sviluppo nell'800 ( fino all'inizio del '900), ma che fortunatamente terminò relativamente presto, grazie agli sviluppi economici e scientifici.
Si tratta del baliatico, un'attività spesso vista benevolmente, ma che è stata definita "calamità occupazionale"
Munch e Delli, urli e gabbiani. E Concita De Gregorio che scrive: Così è la vita
Troppa pioggia in questi giorni. Si sta bene in casa a guardare gli alberi piegati dal vento, fuori. E a guardare i “Gabbiani di Essaouira” fotografati da Carlo Delli. Negli “Eventi” della Voce del Serchio le indicazioni per accedere a questa nuova “Galleria-Natura” fatta di ali di gabbiani che si aprono e lottano col vento.
Ma che strani questi gabbiani, volano controvento sopra un mare colorato di rosso come la malinconia di certi giorni d’autunno. Qualcuno vola più in alto e allora lo sfondo si colora di celeste, bellissimo, lo guardi e sprofondi nella tua giovinezza. O del bianco dei giorni corti d’inverno. Uno guarda questi gabbiani e pensa che vorrebbe essere come loro, finalmente libero di volare in piena aria, sempre, in tutte le stagioni, fino alla fine.
Ma che strano guardare in successione L’urlo di Munch e la fotografia di un albero fatta da Delli. Questa fotografia si intitola L’urlo del parco, è l’immagine reale di Natura che io conosca più vicina all’Urlo di Munch. Un quadro e una fotografia che si somigliano: si avvicinano alla realtà, ma realtà non sono. Per questo sono due opere d’arte che possono essere confrontate.
Edvard Munch considerava i quadri come suoi figli, e li esponeva alle intemperie come per educarli alle avversità. Delli il suo quadro ce l’ha già esposto alle intemperie. È lui che sta ore e ore nel parco di Migliarino per fotografare quelle incisioni sulla corteccia; o se ne sta imbacuccato per ripararsi dal freddo e dal vento “su uno dei terrazzi più alti lungo le mura del porto africano di Essaouira in Marocco affacciato sull’Oceano Atlantico” a fotografare gabbiani. Questa è la dura pedagogia che impone la foto di Natura.
Edvard Munch racconta di aver sentito realmente “un grande urlo infinito che pervadeva la Natura”, al tramonto, mentre camminava su un fiordo nero-azzurro in compagnia di amici, e sulla città c’erano tinte sangue e fuoco e dice: “io tremavo ancora di paura”. Munch, uno dei protagonisti del Novecento, per me è un mistero, ogni sua tela mi rimanda a fantasie, ansie e ossessioni. Per esempio, la paura delle malattie; vorrei arrivare all’ultimo momento in piena salute. E dire: Finalmente!, con quel leggero spirito di sollievo che ogni fine porta con sé. Ma ha piovuto troppo in questi giorni e gli urli sommersi di Genova ci ricordano cosa sia la vita.
Delli è l’asprezza e l’allegria del vivere. Guardo i suoi gabbiani e penso che noi tentiamo di volare liberamente come dei giovani gabbiani reali, ma cancelliamo le stagioni della nostra vita e ci troviamo a svolazzare in un eterno presente, come se il tempo non scorresse e tutte le diverse età che attraversiamo fossero schiacciate in un punto e tentassimo di agitare le ali, ma rimanessimo fermi in un unico istante, cancellando quello che c’è prima e dopo. È un fatto dei nostri tempi. Ma non possiamo espellere dalla vita le sofferenze, le malattie, la morte e tutte le nostre fragilità.
Ultimamente ho partecipato a due funerali e ho incontrato il mio carissimo amico Gabriele che scattava fotografie alle tombe, perché c’è la storia di un paese al cimitero. La morte racconta la vita. So che esiste il mestiere di “accompagnatore” del momento della fine, una persona che affianca chi si trova in quella situazione e sente il bisogno di raccontare e confidare quello che vorrebbe fosse ricordato. Dice alla fine di una sua memorabile poesia Edoardo Sanguineti: “di un uomo sopravvivono, non so, / ma dieci frasi, forse (mettendo insieme: i tic / i detti memorabili, i lapsus): / e questi sono i casi fortunati:
Ho letto la storia di un “accompagnatore” nel nuovo libro di Concita De Gregorio, libro breve e fortissimo, composto da una ventina di storie raccontate da persone che parlano e possono dire frasi come dice il titolo: Così è la vita. O fare domande come fanno i bambini sul fatto che si può morire di colpo, anche prima di colazione e dare questa risposta: “Vabbè, io caso mai preferisco dopo colazione”. Questo libro rimette al centro del discorso pubblico la precarietà dell’esistenza, le nostre rughe e cicatrici, lacrime e malattie. Imparare a dirsi addio è il sottotitolo. E vede la bellezza nelle esperienze autentiche che ogni stagione ci dona. E quando siamo alla fine (finalmente in spagnolo si dice "alfin, vuol dire alla fine ma anche finalmente"), possiamo augurarci di avere vicino qualcuno a cui consegnare i nostri ricordi e i nostri sogni, le nostre tracce, le nostre parole. Una persona che ci faccia come dei ritratti di memoria, che colga la nostra umanità, voglia di vivere e di fare, i nostri tentativi di volare controvento. Io, casomai, mi accontento anche di un “fotografo” meno bravo di Carlo Delli. E dopo colazione, grazie.
P.S.
Immagini: L’urlo di Edvard Munch, L’urlo del Parco di Carlo Delli, la foto n° 13 di Gabbiani a Essaouira di Carlo Delli e la copertina del libro Così è la vita di Concita De Gregorio.