Nei suoi numerosi articoli sulla storia del territorio, Franco Gabbani ha finora preso come riferimento, personaggi o avvenimenti storici, inquadrandoli nella cornice degli usi e delle norme dell'epoca.
Questa volta prende spunto da situazioni e argomenti curiosi, spigolature come le chiama.
Al di là dei fatti precisi, quello che colpisce particolarmente, è il linguaggio usato nei documenti, non solo formale e involuto, come da sempre ci ha abituato la burocrazia, ma spesso anche di difficile comprensione, esplicitando l'evoluzione continua della lingua e dei termini.
Ricordando Lucio Magri
Io penso ancora a Lucio Magri. Un lucido suicidio il suo. Dopo la perdita della sua compagna la sua vita non era più vita. È andato in Svizzera, accompagnato da Rossana Rossanda, e ha deciso di morire. Non ha voluto funerali pubblici né commemorazioni. Gli sembravano una doppia sepoltura. Con Lucio Magri se ne va un pezzo importante della nostra anima e mente. Era giovane, colto e bello. La cosa più importante che ha fatto da giovane è fondare il manifesto, il quotidiano comunista sempre in crisi e sempre vivo. Lo conobbi nel Pdup, di cui fu segretario. A Pisa veniva volentieri. Venne in un periodo di baruffe interne a quel partito, a vederle con gli occhi di oggi mi sembrano ridicole. Allora mi colpì una sua riflessione sulle zuffe interne alla sinistra come sintomo evidente della difficoltà di far avanzare le nostre idee politiche al di fuori dei nostri recinti. Io non lo seguii nel Pci, avevo venti anni meno di lui e mi sentivo più rivoluzionario di lui e vivo era “quello spirto guerrier ch’entro mi rugge”. La differenza di età mi sembra più corta ora che Lucio Magri è morto. Era un uomo che non aveva avuto ruoli di potere. Voleva solo che fosse ricordato il suo pensiero che in certi momenti ebbe una certa influenza. La cosa più importante che ha fatto poco prima di morire è scrivere il suo libro “Il sarto di Ulm. Una possibile storia del Pci”, dedicato a Mara, sua moglie. Leggo nell’introduzione: “Per una persona ormai anziana l’isolamento è dignitoso, ma per un comunista è il peccato più grave… ma potrebbe permettere un utile distacco. Non posso affermare ‘non c’ero’, non sapevo; qualcosa anzi l’ho detta quand’era scomodo, ho perciò la libertà di difendere ciò che non va ripudiato”.
Quando mi commuovo per la morte di persone con le quali ho condiviso un pezzo della mia storia mi sembra di morire un po’ con loro. Ma scatta anche il solito egoismo consolatorio pensando a quel che da vivere mi resta. E anche un po’ allucinante, se penso a quel metro del film Aprile nelle mani di Nanni Moretti: 75 centimetri la durata media della vita, 60 anni la mia età, 75 meno 60 fanno 15 centimetri; ecco questo è quello che mi resta, se tutto va bene. Però succede anche che in certi momenti penso a quello che altri possono provare davanti al mio funerale e non mi interessa tanto vedere che qualcuno poi piange davvero. Ecco che qui arriva un senso di vicinanza maggiore più con chi è morto che con chi, per fortuna sua, è ancora in vita. In questo pensiero non c’è, come credo nel suicidio di Magri, la rinuncia conseguente al fallimento politico. Delle nostre idee ci siamo un po’ scordati “in giorni bui dominati da gelide dispute di Borsa e di bilanci” (Pietro Ingrao). Ha scritto Alfonso Maurizio Jacono ricordando Lucio Magri: non abbiamo perso per le nostre idee, ma per quello che siamo diventati. La “vecchia talpa”, vivaddio (come diceva Magri), scava ancora, “ma, essendo cieca, non sa bene da dove viene e dove va”.
Lucio Magri ha intitolato il suo ultimo libro usando questo famoso apologo di Bertold Brecht, Il sarto di Ulm.
(Ulm, 1592) «Vescovo, so volare», il sarto disse al vescovo. «Guarda come si fa!» E salì, con arnesi che parevano ali, sopra la grande, grande cattedrale. Il vescovo andò innanzi. «Non sono che bugie, non è un uccello, l'uomo: mai l'uomo volerà», disse del sarto il vescovo. «Il sarto è morto», disse al vescovo la gente. «Era proprio pazzia. Le ali si son rotte e lui sta là, schiantato sui duri, duri selci del sagrato». «Che le campane suonino, erano solo bugie. Non è un uccello, l'uomo: mai l'uomo volerà» disse il vescovo alla gente. (Da Poesie di Svendborg, 1934).
Il sarto si lanciò e ovviamente si spiaccicò sul selciato. Tuttavia - commenta Brecht - alcuni secoli dopo gli uomini riuscirono effettivamente a volare.