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In questo nuovo articolo di Franco Gabbani viene trattato un argomento basilare per la società dell'epoca, la crescita culturale della popolazione e dei lavoratori, destinati nella stragrande maggioranza ad un completo analfabetismo, e, anzi, il progresso culturale, peraltro ancora a livelli infinitesimali, era totalmente avversato dalle classi governanti e abbienti, per le quali la popolazione delle campagne era destinata esclusivamente ai lavori agricoli, ed inoltre la cultura era vista come strumento rivoluzionario. 

Sei fuori tema. Ma sappiamo per chi parli. . .
. . . non so se sono in tema; ma però partito vuol .....
Quelle sono opinioni contrastanti, il sale della democrazia, .....
. . . non siamo sui canali Mediaset del dopodesinare .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Ma non ti potei solcare
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Se gira il vento dritta
Al cuore
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RICORRENZA
Helenio Herrera

10/4/2012 - 15:46


Helenio Herrera Gavilán, o soltanto Helenio Herrera, nasce a Buenos Aires, in Argentina, il 10 aprile del 1910.

È stato un buon calciatore, ma soprattutto un grandissimo allenatore, artefice delle fortune dell'Inter dalla metà degli anni '60, ma vincente anche sulla panchina del Barcellona e della Roma.

 

Tra i suoi soprannomi, si ricordano "H. H." e, soprattutto, "Il Mago".

I natali del futuro campione sportivo non sono dei più semplici. Figlio dell'immigrato andaluso Paco Herrera, falegname con pochissime risorse, il piccolo Helenio vive fino all'età di otto anni nel quartiere povero di Palermo. Nel 1918 la famiglia decide di ritornare sui suoi passi. Tuttavia, anziché in Europa, gli Herrera approdano in Marocco, a Casablanca. Qui, ancora bambino, il piccolo Helenito, come ricorderà poi, si dà da fare con la boxe, spinto dai soldati francesi di stanza in città, i quali lo fanno combattere contro altri ragazzini della sua età, facendo scommesse e puntando sempre più spesso sul futuro allenatore di calcio.

 

A dire dello stesso Helenio, sarebbe stato proprio durante questi incontri clandestini che avrebbe cominciato ad assaporare il gusto della fama e, soprattutto, della vittoria. Nello stesso periodo, sempre nella città marocchina, il giovane Helenio gioca anche a calcio, che diventa a poco a poco la sua passione. Una piccola squadra locale, il Roca Negra, lo nota, e lo prende con sé. Qui milita poco, il tempo di attirare le attenzioni del Racing Club di Casablanca, nel 1931.

Herrera gioca con questa squadra fino al 1934, alternando contemporaneamente altri lavori, come l'operaio, il magazziniere, il tornitore.

 

Grazie all'esperienza nella società di Casablanca ottiene il doppio passaporto e la naturalizzazione francese. Viene inserito nella rappresentativa marocchina che incontra Algeria e Tunisia e, grazie al suo talento, si guadagna un posto nella formazione dell'Africa del Nord che gioca contro la Francia in una partita amichevole.

Un piccolo club francese, il Frangais di Parigi, lo nota, invitandolo a sostenere un provino. Helenio Herrera si fa prestare i soldi per il viaggio da un amico, così può approdare nella capitale francese. Il Club Frangais gli propone un piccolo ingaggio e, come accade in quegli anni per i calciatori, anche un impiego aggiuntivo, prima da venditore di carbone e poi da tornitore.

 

 In campo gioca in più ruoli, spesso come stopper, a volte anche come attaccante.

Dal 1934 al 1937 milita nell'Olympique di Charleville, poi passa all'Excelsior de Roubaix-Tourcoing, dove gioca fino al 1939.

Con il Red Star poi, dal 1940 al 1942, vince una Coppa di Francia, per poi passare prima per il Parigi, fino al 1943, e poi nella selezione di Paris-Ile de-France, per finire nel JS Puteaux, dove ricopre sia il ruolo di allenatore che quello di giocatore.

 

Nel frattempo Herrera aveva imparato infatti quanto occorreva per allenare, avendo frequentato un corso per allenatori; entro il 1945 viene cooptato come insegnante all'interno dello stesso corso.

Ottiene il primo ingaggio di rilievo, da coach, in Spagna. Con la squadra del Valladolid, ottiene la salvezza. Nella stagione 1949-1950 invece, vince il titolo di Spagna sulla panchina dell'Atletico Madrid. Dopo un altro scudetto con i madrileni e un ottimo secondo posto, a sorpresa, Herrera dà le dimissioni e passa al Malaga.

Con il Deportivo La Coruna riesce a salvarsi; a Siviglia, dove va l'anno seguente, si rende protagonista di tre buone stagioni, per poi darsi letteralmente alla fuga dopo la morte del presidente Sanchez Pizjuan.

In pratica l'allenatore argentino ha ancora due anni di contratto ma, anche a causa dei turbolenti rapporti con la dirigenza, non ha nessuna intenzione di onorare quanto sancito su carta. Scappa in vacanza e la Federcalcio spagnola lo squalifica.

 

L'anno successivo emigra in Portogallo, al Belenenses, per poi ritornare in Spagna alla corte del Barcellona, la squadra che lo fa graziare dalla Federazione dandogli inoltre la possibilità di dare vita al suo periodo d'oro. È il 1958 quando arriva alla corte del Barcellona. In due anni, fino al 1960, Helenio Herrera vince due campionati, una Coppa di Spagna (allora "Copa del Generalissimo"), e due Coppe delle Fiere, che diventerà poi la Coppa Uefa. Durante una partita di questa competizione, "El Mago" batte sia nella gara d'andata che in quella di ritorno l'Internazionale di Milano, allora guidata dal presidente Angelo Moratti (papà di Massimo Moratti).

 

Il buon Valentini, uomo di fiducia del presidente dell'Inter, viene mandato in spedizione quando la stagione con il Barcellona è ancora in corso, per assicurarsi l'allenatore argentino per la prossima stagione. Helenio Herrera vuole molti soldi, chiedendo quasi il triplo degli stipendi allora percepiti dai suoi colleghi, e premi doppi, garantendo la vittoria dello scudetto in soli tre anni.

 

Herrera arriva a Milano: l'allenatore dà una scossa all'ambiente. La sua filosofia di calcio, incentrata tutta sul pressing e sul gioco veloce, è una vera rivoluzione nel mondo del calcio italiano. Riempie gli spogliatoi di cartelli che esaltano il gioco veloce e il gioco di squadra, come il celebre "Giocando individualmente, giochi per l'avversario", o l'altro spot altrettanto leggendario: "Il calcio moderno è velocità. Gioca veloce, corri velocemente, pensa velocemente, marca e smarcati velocemente". Il suo motto, d'altronde, è "Taca la bala!", versione un po' maccheronica del francese "Attaquez le ballon!".

 

Tuttavia, dopo una partenza a razzo, l'Inter crolla in primavera e sono molti coloro i quali attribuiscono lo strano trend di forma dei giocatori all'effetto del doping. In due anni, Herrera non vince nulla e nella primavera del 1962, alcuni giocatori dell'Inter vengono squalificati. Nell'estate di quell'anno, El Mago, come se nulla fosse, va ad allenare la nazionale spagnola, per i Mondiali del 1962.Moratti per la nuova stagione ha già scelto Edmondo Fabbri, ma Herrera a sorpresa ritorna e l'allenatore italiano, autore del cosiddetto "miracolo Mantova", ripiega - si fa per dire - con la panchina della nazionale italiana.

 

Alla sua stagione numero tre, quella del 1962-1963, Herrera comincia a vincere. La svolta, molto probabilmente, arriva con l'esplosione della stella di Sandrino Mazzola, portatore di una ventata di freschezza, al posto del lento Maschio, pupillo dell'allenatore.Tra polemiche e grandi partite, H. H., soprannome ri-coniato dall'avversario Nereo Rocco in "Habla Habla", nelle sue otto stagioni con l'Inter, in totale, vince due Coppe dei Campioni, due Coppe Intercontinentali e ben tre scudetti. E, pur tra molte polemiche, entra nella leggenda, dando vita a quella che verrà ricordata come la "Grande Inter".

 

Nella stagione 1968-1969 poi, attratto da un contratto da 259 milioni (all'Inter prendeva quasi 50 milioni a stagione), viene ingaggiato dalla Roma, dove rimane per ben cinque anni. Il miglior piazzamento però, è solo un sesto posto nel 1970-1971. Tuttavia con i giallorossi vince una Coppa Italia, la Coppa Anglo-Italiana e perde alle semifinali di Coppa delle Coppe solo a causa del sorteggio della monetina.

Nel frattempo Herrera passa anche dalla nazionale italiana, che allena nel tra il 1967 e il 1968, ma solo per poco tempo, condividendo la panchina con Ferruccio Valcareggi e dando le dimissioni dopo otto mesi.

 

Il resto della sua carriera è di sicuro inferiore al decennio degli anni '60. Dopo essere passato sulla panchina del Rimini, in due stagioni sul finire degli anni '70, a seguito dell'esperienza romana, si trasferisce nuovamente in Spagna, chiamato da Josep Lluís Núñez alla guida del Barcellona.

È il canto del cigno per H.H. il quale, con la squadra catalana, riesce prima a qualificarsi per la Coppa Uefa, nel 1980, e, l'anno dopo, a vincere la Coppa del Re.

 

Dopo questa parentesi spagnola, Herrera decide di lasciare definitivamente l'attività, dedicandosi soprattutto a commentare eventi sportivi in trasmissioni televisive popolari.

Ritiratosi nel sestiere di Rialto, a Venezia, Helenio Herrera muore il 9 novembre del 1997 per un arresto cardiaco.

 

Anni dopo, nel 2004, Ferruccio Mazzola (fratello di Sandro) pubblica un libro che contiene diverse accuse al Mago interista, dal titolo "Il terzo incomodo". Qui si racconta dell'abuso di sostanze dopanti durante le stagioni che hanno fatto grande Herrera e l'Inter. Mazzola parla di pasticche che, a suo dire, l'allenatore argentino avrebbe distribuito sia ai titolari che alle riserve. Ad ogni modo, non sono pochi i giocatori che hanno fatto parte di quella squadra morti a causa di gravi malattie e quasi sempre in giovane età.

Nell'intervista rilasciata all'Espresso, nel 2005, Mazzola cita il caso di Armando Picchi, il capitano della squadra, morto a 36 anni di tumore alla colonna vertebrale, o anche quello di Marcello Giusti, anche lui ucciso dal cancro alla fine degli anni '90. La stessa sorte, inoltre, sarebbe toccata anche a Carlo Tagnin nel 2000, Mauro Bicicli nel 2001 e Ferdinando Miniussi, nel 2002.

 

Infine, ci sarebbe anche il ben noto caso di Giuliano Taccola, l'attaccante di soli 26 anni morto dopo una trasferta della Roma a Cagliari, durante il primo anno sulla panchina capitolina di Helenio Herrera.

Querelato nel 2009 dalla stessa società interista, nella persona di Giacinto Facchetti, il fratello di Sandro Mazzola, con cui avrebbe rotto i rapporti proprio a causa di questa difficile vicenda, ne esce però del tutto pulito, in quanto il Tribunale non riscontra nelle sue parole alcuna diffamazione.

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