Il mese scorso è stato presentato un nuovo libro pubblicato dall'Editore MdS, "Il coraggio tra i fiori di ortica", un'opera intensa e profonda cheracconta l'infanzia non solo nella sua dimensione più luminosa, ma anche nelle sue ombre, fatta di giochi e risate, ma anche nelle sue ombre, tra segreti, paure, abusi e battaglie quotidiane che i più piccoli affrontano con straordinaria forza.
Un libro che ci ha subito colpito e per il quale si preannunciava un sicuro interessamento e successo a livello nazionale.
…E quando la Rivoluzione, l’Ottocento, la democrazia fanno discendere pian piano, da quelle auliche altezze delle reggie e dei palagi nella trattoria di lusso aperta a tutti il cuoco i maggiordomi i servitori; quando, con gli scambi ormai tanto frequenti e rapidi tra le nazioni, sono finalmente fusi in ogni dove usi e costumi, e l’uniformità della cucina regna su le mense ricche, pubbliche e private; ecco la tradizione toscana resta ancora casalinga a dominare su le tavole del ceto medio. Dove prima era la cella o la taverna, ecco tu trovi, appena trasformata, la gargotta, la fiaschetteria, la buca; trovi il pizzicagnolo co' suoi tavoleggianti, che t’invitano ai sapori schietti; e tutti, dal celliere, ti mandano il mezzino o il litro o il fiasco di quel vino mero chiantigiano che non trova eguali, e il pizzicagnolo dal banco ti spedisce la leccornia paesana, e il rosticciere è presso a distillare nella ghiotta i sughi più mirifici dell’uccellame e del pollame, e il pasticciere manderà la sfoglia, il berlingozzo, il bericuocolo, la cialda e il brigidino, il ricciarello e la cupata, il buccellato e la schiacciata.
Lì, nella fiaschetteria, dal pizzicagnolo, nella gargotta, non pensare a chiedere la lista mistilingue, il piatto montato, la salsa alla straniera, l’intingolo di mille droghe, il pasticcio astruso e lambiccato, il manicaretto d’ogni intruglio; chiedi il coscio, la bistecca, l’uccellino arrosto, la braciuola all’umido di pomodoro, il pollo ·o il pesce cotti semplici, alla buona, o in pentola o in tegame o sulla griglia; e statti pago d’una salsa d’erbe, d’un soffritto d’aglio o di cipolle, d’un cibreo di salvia; e allora sentirai quello che valga, a petto d’ogni droga, un po’ del nostro condimento sempliciotto, un po’ del nostro aroma orticolo di siepe, quando vada ben s’intende a rilevare il gusto già saporitissimo di que’ prodotti della nostra terra e delle nostre stalle, che i toscani appunto chiamano nostrali, e vogliono così dalla bottega, ed offriranno al forestiero come gli ottimi di tutta Italia.
Sì; tu sentirai da tutti, in Toscana, decantarti il pregio del nostrale; sia con carni, o vini, od olii, o erbaggi e legumi. Perché, appunto, molto del segreto per il quale la cucina nostra è tanto appetitosa, sta, come dicemmo, nella squisitezza dei prodotti ch’escono dal nostro suolo fino al punto, che potremmo dire essere la Natura stessa il primo e più sapiente artista gastronomico della Toscana.
Ed ecco anche perché, se altrove la cucina nostra può essere imitata esteriormente, non sarà mai raggiunta nella vera intrinseca bontà della sostanza —ed a chi voglia veramente godersela a pieno, altro non resta che venirsene a gustarla qui, sul luogo.
Tratto da “Cucina toscana” di Gustavo Pierotti, Edizioni dell’Ente per le attività toscane, Firenze 1927