Nella prestigiosa Sala Gronchi del Parco Naturale di Migliarino, San Rossore e Massaciuccoli, il 20 ottobre alle ore 16, avrà luogo la cerimonia di premiazione della dodicesima edizione del concorso artistico-letterario "Area Protetta", organizzato da MdS Editore, Associazione La Voce del Serchio e Unicoop Firenze Sezione Soci Valdiserchio-Versilia.
NESSUNO SI SENTA ESCLUSO.
Le polemiche di queste settimane sulla “svolta” di Italia Viva proposta da Renzi mi hanno riportato indietro nel tempo. A trentacinque anni fa quando, nell’autunno dell’’89, Occhetto cambiò radicalmente la storia del Pci proponendo un cambiamento che non era solo del nome ma, come sia i favorevoli, sia i contrari avvertirono, sarebbe stato l’avvio di un vero e proprio cambio di partito.
Non intendo dire che i due avvenimenti siano di eguale portata storica. La decisione di Occhetto si lasciava alle spalle una eredità, positiva o negativa che fosse giudicata, davvero enorme rispetto alla più giovane, anche se intensa, storia di Italia Viva.
E anche i due protagonisti sono persone e politici del tutto differenti tra loro.
Più passionale ed emotivo il primo, con un mite tratto ideologico, più capace il secondo di intrecciare analisi, tattiche e strategie risolutive, non sempre vincenti, ma sicuramente in gran parte giuste, a testimonianza che spesso il mondo non va nel senso migliore.
Un tratto comune il coraggio.
Vicende politiche diverse, ma la cosa che mi impressiona è la reazione negativa di alcuni (ex?) sostenitori di Italia Viva che ho trovato del tutto identiche, nella forma e nei contenuti, alle critiche anche allora così aspre dei contrari della svolta della Bolognina, sia contro Occhetto, sia contro i compagni che si schierarono con lui.
Anche allora le critiche erano, come oggi, riconducibili a due questioni.
La prima riguardava l’autoritarismo di Occhetto e l’assenza di democrazia nel Pci.
Il Segretario genarale del Pci aveva deciso da solo una svolta così radicale e l’aveva solennizzata, rendendola praticamente irreversibile, con una dichiarazione pubblica in un luogo simbolico della storia del Pci.
Quale articolo dello Statuto lo autorizzava a farlo? Come aveva potuto infischiarsene così platealmente delle regole della democrazia interna?
Quanta arroganza nell’escludere almeno una consultazione dei prestigiosissimi dirigenti – storici o più recenti – del più grande partito di opposizione! Quanto disprezzo per la sensibilità di oltre un milione di iscritti che, improvvisamente, si sarebbero trovati irreggimentati burocraticamente in un partito diverso da quello nel quale avevano scelto di militare!
La seconda consisteva in una pessima valutazione di chi si pronunciava a favore di quella svolta. Tutto il filone del tradimento fu declinato in ogni forma e contenuto.
Dai servi, sciocchi o interessati, di un padrone liquidatore di una storia di quasi settanta anni di lotte, alle accuse di essere diventati il vero e più abbietto nemico di classe. E poi le analisi psicologiche con diagnosi delle tare mentali degli “occhettiani”, il disprezzo per i motivi abbietti della loro scelta che rinnegava quella del 1921 e i vaticini su un futuro di irrilevanza e schiavitù politica.
Occhetto aveva forzato la situazione, ma dopo il primo momento di sconcerto per tutti, o quasi, fu sempre più chiaro che quella svolta era giusta.
Era addirittura in ritardo di una decina d’anni e che se il Segretario generale avesse seguito le vie statutarie probabilmente non se ne sarebbe fatto nulla. O si sarebbe sfilacciata una operazione politica che aveva senso nell’immediatezza degli avvenimenti che stavano sconvolgendo l’Europa
Anche allora in molti chiesero un congresso. Che si fece, ma due anni dopo.
Chi non volle entrare nel Pds se ne andò costituendo Rifondazione comunista. Della quale ricordo soprattutto il ritiro dell’astensione concessa al primo governo Prodi che nel ‘98 cadde per questo.
Dunque la svolta “solitaria” fu discussa e approvata non da un congresso, ma dal Comitato Centrale, l’organismo dirigente ampio, assimilabile all’attuale Assemblea Nazionale convocata per il 28 settembre prossimo.
Lo ripeto, si tratta di due avvenimenti di ambito e portata politica differente. Tuttavia quello di oggi può costituire una svolta decisiva per cambiare un sistema politico che si rivela ogni giorno sempre più inadeguato. Con alcuni elementi di pericolosità dovuti all’incapacità operativa e alla pessima concezione della democrazia da parte della destra.
A destra assistiamo ad una lotta di FI per riconquistare l’egemonia di quell’area che, nel mare grande del conservatorismo spesso becero, fa galleggiare qualche pallido elemento di liberalismo. Ma il liberalismo, come il socialismo, non è uno e FI lo interpreta da destra.
Forse, ora che il TP è stato demolito dall’interno e sappiamo da chi, conviene affermare un’anima liberale progressista da far vivere nel centro sinistra. Niente è scritto, tutto è in movimento e i vaticini negativi sono ridicoli. Si tratta di lavorarci.
Ma quello che mi impressiona è rileggere nei commenti rancorosi di oggi, la stessa acrimonia, il medesimo disprezzo, le identiche accuse indirizzate in quell’’89 a chi, nel più perfetto disinteresse personale, aveva condiviso autonomamente quella decisione solitaria che individualmente lo aveva escluso.
Ognuno scelga la strada che gli pare giusta, ma sapendo che siamo tutti parte della stessa storia. Nessuno si senta offeso.